Se muri e pietre potessero parlare

La geologia urbana come opportunità didattica

AMBIENTE – SCIENZE DELLA TERRA

Immaginiamo di camminare in un centro abitato: cosa vediamo? Probabilmente guardandoci intorno non è una lezione di scienze della Terra la prima cosa che ci viene in mente.
Eppure c’è un modo un po’ inusuale per guardare le nostre città: considerarle una enorme e variegata collezione didattica di rocce a nostra completa disposizione. E non solo.

di Ilaria Selvaggio

Negli ultimi anni si stanno diffondendo numerose attività di geologia urbana, sia a scopo educativo che a scopo turistico e di intrattenimento.
Inanimati e apparentemente immutabili, i lapidei utilizzati nelle aree urbane possono essere in realtà uno spunto per raccontare i processi geologici che li hanno originati e riflettere sulle dinamiche che ruotano intorno all’utilizzo dei materiali, mettendo in relazione la città o il paese con il territorio d’origine delle risorse, sia esso vicino o lontano, e con la sua storia.
Superato l’imbarazzo di tenere il naso incollato a muri e colonne o di chinarsi a fissare la pavimentazione, i materiali lapidei messi in mostra da un centro urbano si rivelano uno zibaldone di suggerimenti interessanti.

La città attraverso la lente del geologo

Una prima esperienza possibile è l’analisi macroscopica delle rocce. L’esplorazione urbana può essere svolta come lezione frontale e descrittiva dei caratteri dei diversi lapidei. In alternativa, può essere utilizzata come esercitazione pratica: più o meno guidati a seconda delle competenze, gli studenti possono sperimentare in autonomia l’osservazione diretta dei caratteri visibili, a occhio nudo o con una lente, e quelli evidenziati dai diversi tipi di lavorazione, ipotizzando dove possibile una classificazione dei materiali. Non sarà difficile riconoscere almeno alcune delle grandi categorie di rocce.

Un primo esempio sono le grandi lastre di granito lucidato, modello ideale per osservare i caratteri principali delle rocce magmatiche intrusive e dei loro processi di formazione; i graniti rossi o rosa permettono di distinguere facilmente i minerali principali (feldspato alcalino, quarzo, minore plagioclasio e biotite) per l’evidente differenza di colore e per le loro dimensioni: è possibile così osservare i grandi cristalli rossastri di feldspato alcalino, di cui spesso si notano belle sezioni rettangolari, indizio del progressivo raffreddamento di un magma che inizialmente ha determinato la formazione di cristalli liberi di esprimere il loro abito cristallino. Diverso è l’aspetto del quarzo, trasparente e dalla forma irregolare, interstiziale perché formato per ultimo: insomma, chi prima raffredda meglio cristallizza, per parafrasare un vecchio proverbio.
Le pavimentazioni in porfido offrono invece un esempio del corrispondente effusivo dei graniti. Nei cubetti rossastri del pavé è decisamente più difficile distinguere le componenti mineralogiche, molto più piccole e immerse in una massa di fondo microcristallina, a testimonianza del raffreddamento rapido dei fusi in superficie.

A volte, però, per capire la storia di una roccia non c’è bisogno di fare analisi approfondite: è facile imbattersi nelle spettacolari ammoniti fossili dell’inconfondibile “Rosso Verona”, che ne suggeriscono la natura sedimentaria, così come non è difficile individuare i fossili abbondanti nel “Marmo Botticino”, che a dispetto del nome è un calcare dai toni beige. Talvolta il processo geologico si percepisce persino sotto le dita: la struttura delle arenarie fa pensare ai granelli di sabbia e suggerisce l’idea di mari lontani nel tempo.

Come suggerisce il nome del cosiddetto Marmo Botticino, le denominazioni commerciali raramente corrispondono alla classificazione geologica. Se a un geologo venisse in mente di utilizzare la splendida meta-oficalcite dovrebbe rassegnarsi a chiedere, suo malgrado, il “Marmo verde Alpi”, che marmo non è: si tratta invece di uno dei più begli esempi di roccia metamorfica fra i lapidei ornamentali, formato da frammenti verde scuro di serpentinite cementati da un reticolo bianco di calcite. Se la si trova è possibile anche fare un piccolo esperimento, coinvolgente a tutte le età: cercare con l’aiuto di una calamita i cristalli di magnetite che può essere dispersa in questa roccia; se la quantità è sufficiente se ne percepisce l’attrazione.

La presenza di magnetite testimonia i processi di trasformazione in presenza di acqua di rocce come le peridotiti, con la conseguente formazione di minerali del gruppo del serpentino associati a ossidi.
E se il Verde Alpi non è un marmo dal punto di vista geologico, lo è invece sicuramente quello di Candoglia, che con le sfumature rosa pesca e le venature grigio-verdi rende inimitabile una delle cattedrali gotiche più famose al mondo: il Duomo di Milano. Ciò che lo rende unico però non è soltanto il materiale, che associa a elevate qualità estetiche le idonee proprietà strutturali: è anche la storia che lo permea.

Dalla storia della Terra alla storia dell’Uomo

Nella storia della costruzione della cattedrale milanese accade qualcosa di unico: dal 1387 la “Veneranda Fabbrica del Duomo” ha il privilegio esclusivo di utilizzare il prezioso marmo, destinato quasi esclusivamente per la costruzione e il restauro del Duomo: la cava stessa diventa un monumento che testimonia l’evolversi di relazioni politiche, economiche, progresso tecnologico. La foresta di guglie e la fioritura di intagli e decorazioni della cattedrale rimandano ai laboratori di lavorazione, alle raffinate capacità artigiane e artistiche, tuttora vive.
“Lungh 'me la Fabrica del Domm”, lungo come la Fabbrica del Duomo, è invece un modo di dire piuttosto popolare che ben rappresenta l’incessante lavoro di estrazione e restauro del marmo alterato dall’esposizione agli agenti atmosferici nel corso di secoli e accelerato negli ultimi decenni dalla presenza di gas inquinanti.

Le pietre di una città, dunque, non sono solo utili per le osservazioni di carattere geologico, ma consentono riflessioni di carattere molto più ampio, che possono essere sviluppate in un lavoro interdisciplinare in cui trattare anche aspetti storici, artistici e tecnologici.

Uno strumento molto interessante a questo proposito può essere il Censimento delle pietre piemontesi da decorazione e da costruzione dall'epoca romana a oggi, reperibile sul sito della Regione Piemonte (Le pietre ornamentali >>), che fornisce nomi tradizionali, petrografici, luogo e periodo di estrazione e di utilizzo di molti lapidei.

Alcuni materiali sono destinati al commercio, altri esclusivamente all’uso locale per attività ordinarie, a seconda della qualità e della quantità disponibile: ma la geologia urbana è ovunque, anche nei centri abitati più piccoli, e svela la storia del territorio nei suoi molteplici aspetti attraverso ciottolati, muri, tetti in pietra, elementi decorativi, macine e acquasantiere…

E così, se a Torino la facciata ottocentesca di Palazzo Carignano rivela l’utilizzo del granito bianco di Montorfano (Verbania), le case bianche del piccolo paese a ridosso delle sue cave svelano che i materiali di scarto venivano portati via un pezzo alla volta e usati per costruire le case dei cavatori.
La presenza di alcuni materiali e l’assenza di altri hanno determinato la necessità di usare quello che si trova in loco, sviluppando tecnologie e soluzioni architettoniche ad hoc: ne sono un esempio i tetti in pietra in molte località delle Alpi, che sfruttano la scistosità delle pietre locali per ricavarne lastre. I loro nomi tradizionali quali lose, piode, beole finiscono col rispecchiarsi anche nei toponimi come Luserna, in Valle Pellice (Torino), Piode, in Valle Sesia (Vercelli) o Beura, in Ossola (Verbania).

Andando a Roma troviamo anche un esempio molto particolare di cava, il Colosseo: in questo caso è l'assenza dei materiali di rivestimento a rivelare che nel Medioevo e nel Rinascimento fu utilizzato come cava di lapidei; riflettendo sulla sostenibilità potremmo forse considerarlo un esempio estremo di riutilizzo delle risorse non rinnovabili!

Paesaggio geologico e paesaggio culturale

C’è infine un altro aspetto che riguarda i processi geologici e la loro relazione con la vita dell’Uomo, anche se non direttamente collegato ai materiali ornamentali o da costruzione: è quello delle forme del paesaggio, che influenzano la costruzione degli insediamenti, delle infrastrutture e sono dimostrazione della capacità umana di attarsi all’ambiente, ma anche di adattare l’ambiente a seconda delle proprie esigenze, in un equilibrio dinamico che può perdersi con l’abbandono di alcune pratiche.

Ne sono un esempio i versanti terrazzati per rendere adatti all’agricoltura versanti ripidi o lo spietramento dei pascoli che consentono agli animali di brucare e agli uomini di usare le pietre per disegnare i muretti di confine e lo dimostra anche la cultura internazionale dei muri a secco, iscritti dal 2018 nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell'UNESCO. In ogni caso il paesaggio non è solo modellato dai processi geomorfologici ma anche dalle attività umane, che possiamo considerare un agente morfogenetico a tutti gli effetti.

Talvolta le peculiarità geologiche si intersecano con un significato spirituale o scaramantico: per esempio il Sacro Monte di Varallo poté contare su una posizione elevata per la presenza di un terrazzo glaciale e pare che la chiesa vecchia del Santuario di Oropa, in provincia di Biella, poggi su un masso erratico già usato per riti celtici.

In ogni caso una cosa è certa: dovunque è possibile trovare una pietra la cui storia parte da ere geologiche lontanissime fino a intrecciarsi con le attività antropiche e sono davvero tante le cose che le pietre racconterebbero agli studenti, se potessero parlare.

Referenze iconografiche: Ilaria Selvaggio

Riferimenti bibliografici

  • Caironi V., Zucali M., Bollati I.M., Gomba T., San Martino A., Fumagalli P. (2019), Geologia Urbana: itinerari in centro città per scoprire la geodiversità litologica. Rend. Online Soc. Geol. It., Vol. 49, pp. 26-32, Società Geologica Italiana, Roma.
  • Ferrari da Passano C. (1987), Le sorgenti del Duomo nel 6. centenario delle cave di Candoglia 1387-1987. Federico Motta ed., Milano.
  • Gambino F., Borghi A., D’Atri A, Gallo M., Ghiraldi L., Giardino M., Martire L., Palomba M., Perotti L. (2017), TourInStones: application for mobile on ornamental stones of the city of Torino. Rend. Online Soc. Geol. It., Vol. 42, pp. 81-84, Società Geologica Italiana, Roma.
  • Torta D. (2001, a cura di) Una città di pietra. Le rocce ornamentali e da costruzione. Progetto didattico in collaborazione con ANISN, Torino.

Sitografia e link utili

 

Ilaria Selvaggio è una naturalista; si occupa di didattica e divulgazione scientifica, in particolar modo nel campo delle Scienze della Terra. Svolge attività educative in aula e in campo per scuole e corsi professionalizzanti, oltre a produrre contenuti scientifici destinati sia all’ambito educativo che al pubblico generico. Come guida escursionistica ambientale realizza attività geoturistiche, collaborando con aree protette e realtà locali.

Ti è piaciuto l’articolo?

Il nuovo marchio per l’area scientifica della Scuola secondaria di I e II grado: una proposta integrata di prodotti e servizi per rispondere al sempre più decisivo ruolo delle discipline scientifiche nella formazione degli studenti.