L’economia circolare

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma

AREA GIURIDICO-ECONOMICA

L’economia circolare è un modello competitivo e altamente tecnologico, in grado di minimizzare l’uso di risorse, ridurre le emissioni inquinanti e creare nuovo lavoro e autentico benessere.

di Nadia Piampiano

«Sistema industriale progettato per poter essere rigenerato da solo, che punta a fare affidamento sulle energie rinnovabili»1: l’economia circolare fa la sua comparsa sulle scene internazionali al World Economic Forum di Davos nel 2014. Questo nuovo modo di produrre e di consumare si ispira al modello ciclico della natura ed è capace di auto-rigenerarsi in modo efficiente, sostenibile e competitivo.
È difficile ricondurre il concetto di economia circolare a una data certa e a un singolo autore. Sicuramente ne ha gettato le fondamenta l’articolo The economics of the coming spaceship Earth, pubblicato nel 1966 da Kenneth Boulding. Vi si delineano due tipi di economia, identificandoli con due figure, il cowboy e l’astronauta: il primo, simbolo delle pianure sterminate e di un’economia aperta e senza limiti, è mosso da una continua sete di conquista e di consumo; l’astronauta invece ha la profonda consapevolezza del sistema che lo ospita, la grande “navicella spaziale” Terra, dei suoi limiti e dei cicli che regolano il suo funzionamento, come avviene in un sistema ecologico chiuso, costretto a rigenerare continuamente le risorse essenziali alla propria sopravvivenza.
Oggi fenomeni impattanti e strettamente connessi tra loro (come il rapido sviluppo economico e l’aumento demografico, il crescente sfruttamento delle risorse naturali e il conseguente cambiamento climatico) pongono in primo piano le tematiche ambientali e dimostrano come gli attuali modelli lineari di produzione siano ormai insostenibili e rischino di compromettere la stessa sopravvivenza delle generazioni future.
C’è bisogno di un ripensamento complessivo e radicale, di una rivoluzione culturale: è giunto il momento di definire e applicare modelli alternativi.
L’economia circolare ripensa l’economia come un ecosistema: in natura non esistono rifiuti, in quanto ogni sostanza diventa alimento e vita per un’altra specie vivente; così anche i rifiuti prodotti dalle attività umane possono ritrasformarsi in cibo o materie prime per successivi cicli produttivi.
L’economia circolare riparte proprio da qui, e cioè dall’importanza di promuovere un modello produttivo in grado di limitare in ingresso materie prime ed energia, e di minimizzare in uscita scarti e perdite: un sistema quindi basato sul risparmio di risorse naturali, sull’utilizzo di energie rinnovabili, sul ri-uso e il ri-ciclo, ponendo attenzione alla tutela dell’ambiente e alla realizzazione di prodotti e processi equi e ad alto valore sociale e territoriale.

L’attuale modello di economia lineare

Il modello di economia lineare (Estrazione → Produzione → Consumo → Smaltimento rifiuti) si è basato per circa 200 anni e quattro rivoluzioni industriali sullo sfruttamento delle risorse naturali, orientato alla massima produzione e ispirato da un uso e getta rapido e compulsivo. Tale modello può dirsi fallito.
Esso persegue ossessivamente una crescita infinita mediante risorse limitate, consumando più del bisogno e sprecando energia, acqua e cibo.
Un mondo sempre più globalizzato crea contraddizioni, ponendo sfide comuni e complesse:
povertà e guerre generano flussi migratori inarrestabili;
l’impatto umano sull’ambiente e i cambiamenti climatici provocano enormi danni alla biodiversità;
gli infiniti orizzonti delle nuove tecnologie potenziano l’efficienza produttiva, ma potrebbero ridurre i livelli occupazionali.

L’Earth over shoot day è il giorno dell’anno in cui si esaurisce il budget annuale di risorse che la Terra può rigenerare. Nel 2019 esso è stato calcolato al 29 luglio: da quel giorno, fino al termine dell’anno solare, la popolazione ha vissuto in debito con il pianeta, consumando capitale naturale destinato alle future generazioni attraverso deforestazioni, pesca e agricoltura intensive, erosione del suolo, perdite di biodiversità, accumulo di CO2 e cambiamenti climatici.
Mentre il consumo di materiali cresce a un ritmo doppio di quello della popolazione2, ogni anno questo appuntamento si presenta in anticipo rispetto all’anno prima. All’over shoot day si arriva perché la nostra domanda di risorse, in un anno, supera di 1,75 volte quanto la Terra è in grado di rigenerare per quello stesso periodo di tempo. L’umanità sta attualmente utilizzando risorse come se disponesse di 1,75 pianeti (dati Global Foot Print Network, 2019).

Alcuni dati

Disuguaglianze economiche
L’1% più ricco della popolazione deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Nel mondo 2.153 miliardari detengono più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale (dati OXFAM – Davos 2020).

Sfruttamento del lavoro minorile
Nel mondo sono più di 150 milioni i bambini intrappolati in impieghi che mettono a rischio la loro salute mentale e fisica e li condannano a una vita senza svago né istruzione né futuro. Nonostante l’elevata crescita economica e i grandi miglioramenti in materia di istruzione e sviluppo, paesi come Cina, India, Bangladesh, Vietnam e Cambogia hanno compiuto scarsi progressi nell’affrontare il tema dei minorenni costretti a lavorare (dati Organizzazione Internazionale del Lavoro, 2019).

Accesso all’energia
600 milioni di persone nell’Africa sub-sahariana (il 57% della popolazione) e 350 milioni in Asia (9% della popolazione) non hanno ancora accesso all’elettricità. Sono quasi 2 miliardi, inoltre, le persone che ancora oggi utilizzano impianti di cottura domestica con biomassa solida, carbone o cherosene (dati World Energy Outlook, 2018).

Accesso all’acqua
Mentre lo spreco di acqua nei paesi più sviluppati diventa un problema sempre più urgente, anche a causa della siccità e dei cambiamenti climatici, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2018) «2,1 miliardi di persone non hanno accesso sicuro all’acqua, e tra questi, 844 milioni non dispongono neanche di basilari servizi relativi all’acqua potabile».

Sfruttamento della terra
L’intervento umano negli ultimi cinquant’anni ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse. Il 33% dei suoli mondiali è degradato; in tutta Europa in media ogni anno un’area di 348 chilometri quadrati (maggiore della superficie di Malta) viene impermeabilizzata e cementificata. Diventa essenziale la tutela del suolo, elemento base della bioeconomia. Esso contiene oltre duemila miliardi di tonnellate di carbonio organico: è il secondo sink di assorbimento dei gas serra dopo gli oceani. Ma il continuo degrado del terreno e della vegetazione rappresenta oggi a livello globale un’importante sorgente netta di emissioni di gas serra (Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020, realizzato dal CEN-Circular Economy Networked ENEA).

Sprechi alimentari
Ogni anno circa un 1/3 del cibo prodotto nel pianeta (1,3 mld di tonnellate) viene sprecato senza neanche arrivare in tavola. Dati inaccettabili, soprattutto se si considera che nel mondo milioni di persone soffrono la fame e che tutto lo spreco è pari a quattro volte la quantità di cibo necessaria per sfamare 800 milioni di persone attualmente denutrite. Inoltre, lo spreco di cibo incide in modo funesto sull’ambiente, causando la produzione di una quantità di gas serra pari a 1/3 delle emissioni annuali derivanti dai carburanti fossili. In Italia lo spreco di cibo a livello domestico vale quasi 12 miliardi di euro (0,88% del PIL, dati ISTAT), a cui si aggiunge lo spreco alimentare di filiera (produzione e distribuzione) di circa 3 miliardi di euro (EURISPES, stime WWF-ONU, 2019).

Le guerre nel mondo
Le guerre scoppiano sempre più spesso per il controllo di risorse naturali e trovano terreno fertile nell’estrema povertà. Tra il 2017 e il 2018 circa 193.000 persone sono morte in Africa, Asia e Medio Oriente a causa di conflitti a fuoco (Armed Conflit Location e Event Data Project).
Secondo la recente edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo (curato da Associazione 46esimo parallelo, Amnesty International e Centro documentazione sui conflitti mondiali), nel 2016 risultano 36 guerre nelle varie parti del mondo, con l’Africa che conta il maggior numero di conflitti (16), a seguire Medio Oriente, America Latina, Asia ed Europa.

Cambiamento climatico
Gran parte dell’economia da 200 anni a questa parte si è basata sui combustibili fossili: petrolio, carbone e gas naturali, principali cause di un aumento dell’effetto serra e del conseguente cambiamento climatico. L’effetto serra permette al nostro pianeta, in condizioni naturali, di essere un luogo ospitale e compatibile con la vita, ma negli ultimi decenni ha fatto registrare un forte aumento (c.d. effetto serra di origine antropico): lo sviluppo economico e demografico, la crescente urbanizzazione e la transizione verso standard di vita più elevati, soprattutto da parte di economie emergenti (paesi non OCSE, come Cina, India, Brasile), hanno determinato e determineranno in futuro un aumento continuo di consumi energetici e una conseguente crescita esponenziale di emissioni di CO2, surriscaldando il Pianeta e spingendo il sistema naturale fuori dal suo equilibrio.
Le emissioni di CO2 derivate nel complesso dalle attività umane sono, attualmente, di circa 33 miliardi di tonnellate all’anno (60% dal solo settore energetico). Entro il 2060, tali emissioni potrebbero aumentare del 43%, con gli effetti che possiamo immaginare sul clima, sullo stress idrico e sulla perdita di biodiversità (dati OCSE, Global Material Resources Outlook to 2069, 2019).
Nelle città italiane si registrano ogni anno circa 80 mila decessi prematuri a causa dell’inquinamento atmosferico e l’82% della popolazione dei comuni italiani è esposta a valori medi annuali delle polveri sottili superiori ai valori minimi dell’OMS (Edo Ronchi, La transizione della green economy).
In mancanza di un’inversione di tendenza si prevede che, entro la fine del secolo attuale, la temperatura globale potrebbe aumentare di 3-5°C, superando il limite massimo di 2°C fissato dagli Accordi di Parigi, con effetti disastrosi sugli equilibri ambientali, sociali ed economici: scioglimento delle calotte polari, innalzamento del livello dei mari, perdite di ecosistemi, sempre più frequenti calamità naturali. In particolare, la siccità colpirebbe prima di tutto l’agricoltura. Con un aumento della temperatura media di più di 2°C, da qui al 2040 il rendimento agricolo di molti terreni verrebbe compromesso per sempre. Milioni di persone sarebbero ridotte al collasso, soprattutto nei paesi più poveri al mondo (come in Africa); la perdita di raccolti e di allevamenti precluderebbe condizioni minime di sopravvivenza e costringerebbe all’urbanizzazione o all’emigrazione.

Migrazioni
Oggi stiamo assistendo ai più elevati livelli di migrazione mai registrati: nel 2017 il numero di persone costrette a fuggire nel mondo a causa di guerre, persecuzioni e povertà, ha raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo. I più colpiti sono i paesi sottosviluppati. Nel rapporto annuale Global Trends, l’UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) riporta che a fine 2017 erano 68,5 milioni le persone costrette alla fuga. Si stima che nei prossimi 40 anni la migrazione potrebbe aumentare fino ad 1 miliardo.

Rifiuti
Secondo l’ultimo rapporto dell’International Solid Waste Association (associazione mondiale che riunisce gli operatori del settore trattamento e smaltimento rifiuti), attualmente nel mondo vengono prodotti circa 4 miliardi di tonnellate di rifiuti ogni anno. La metà è rappresentata da rifiuti urbani (quelli prodotti dalle famiglie), mentre l’altra metà riguarda i rifiuti cosiddetti speciali, provenienti cioè da attività industriali e produttive. Nei prossimi 10-15 anni si potrebbe arrivare a un aumento di questa produzione anche del 50%; quindi oltre 6 miliardi di tonnellate. Secondo la Banca Mondiale, lo smaltimento dei rifiuti urbani attualmente costa alla comunità internazionale circa 205 miliardi di dollari all’anno, una cifra che, sempre nel giro di 10-15 anni, potrebbe addirittura raddoppiare. Già da ora la gestione dei rifiuti è una delle voci di costo più pesanti nei bilanci delle amministrazioni pubbliche e continua a crescere con l’aumentare della popolazione.

Plastica
Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), oggi nel mondo solo il 15% dei rifiuti di plastica viene riciclato. Il 25% viene bruciato in inceneritori, il 60% va in discarica, viene bruciato all’aperto (con le note conseguenze per la salute) o finisce disperso nell’ambiente. Attualmente ci sono 6 isole di rifiuti che invadono gli oceani e i mari; la più grande è la Great Pacific Garbage Patch: circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati, 100.000 Km quadrati.
Se nulla cambierà, entro il 2030, l’inquinamento da plastica raddoppierà rispetto a oggi. Ammonta a 8 miliardi di dollari il costo annuale degli effetti negativi diretti su pesca, commercio marittimo, turismo e sugli ecosistemi marini (dati WWF su Il Messaggero, 5 marzo 2019).

Il quadro inquietante che emerge dall’analisi della situazione attuale, dimostra come avviare la transizione verso un modello di economia sostenibile sia, più che mai, urgente e necessario e non possa più essere procrastinato.3

Come funziona l’economia circolare

Il passaggio all’economia circolare impone di reimpostare tutte le fasi operative del sistema produttivo (progettazione, produzione e consumo):
utilizzare energie rinnovabili;
mantenere il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse il più a lungo possibile, attraverso la condivisione e la riparazione dei beni stessi;
ridurre al minimo la produzione di rifiuti, attraverso il recupero e riciclo di risorse utili.

La finalità è quella di realizzare un’economia sostenibile, in grado di limitare le emissioni di ossido di carbonio, di utilizzare le risorse in modo efficiente e competitivo e di creare nuova occupazione, di qualità (green jobs) e più propensa all’innovazione.

 


Nel modello circolare ogni prodotto è inteso come assemblamento di due differenti tipologie di ciclo: quello biologico e quello tecnico. Il primo si riferisce a quei prodotti progettati per essere reintegrati nella biosfera, attraverso processi di compostaggio o digestione anaerobica. Questo ciclo tende a rigenerare i sistemi viventi e a fornire risorse rinnovabili.I prodotti del ciclo tecnico (polimeri, leghe ed altri materiali artificiali) sono progettati per essere utilizzati di nuovo attraverso lo smontaggio, il recupero e il ri-posizionamento dei propri componenti, senza produrre scarti e con il minimo dispendio di energie.

Le 5 fasi operative dell’economia circolare

Fase 1: produzione di energia
L’economia circolare punta, prima di tutto, a utilizzare fonti di energia rinnovabili (acqua, sole, vento, maree, calore geotermico, biomasse), escludendo in maniera progressiva le fonti derivanti dai carbon fossili, con il risultato di ridurre le esternalità negative in termini di emissioni di CO2 e di contrastare il cambiamento climatico.
Le fonti rinnovabili sono infatti inesauribili, convertibili direttamente in energia e non comportano emissione di CO2 (o la emettono all’interno di un ciclo chiuso). Per esempio, la quantità di energia solare che in 7 ore raggiunge l’atmosfera della Terra, è superiore al consumo energetico globale di un anno; la quantità di energia solare che raggiunge la superficie della Terra in un anno è superiore a tutta l’energia che potrebbe mai essere ottenuta da tutte le fonti non rinnovabili presenti nel pianeta (carbone, petrolio, gas naturale, uranio).
Molte fonti soffrono di alcuni limiti legati all’intermittenza della fonte stessa (per esempio l’assenza del sole o del vento), ma in attesa di innovazioni tecnologiche tali limiti possono essere superati utilizzando un mix equilibrato di diverse fonti.
L’energia prodotta a partire dalle biomasse, d’altra parte, entra in competizione con l’agricoltura per alimentazione, ad esempio la canna da zucchero è utilizzata per produrre i biocarburanti. Saranno quindi necessarie innovazioni tecnologiche che permettano di passare dagli attuali biocarburanti di prima generazione a quelli di seconda (basati su residui agricoli e forestali o frazione organica di rifiuti urbani) e di terza generazione (che non richiedono neppure occupazione di terreno, come ad esempio quelli che utilizzano alghe marine).
Il costo delle energie prodotte da fonti rinnovabili è già competitivo con quello delle fonti fossili. Un’ulteriore riduzione è possibile grazie allo sviluppo tecnologico e alle economie di scala.
L’economia circolare ha naturalmente come obiettivo di lungo periodo la completa sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili, ma attualmente le prime continuano ad avere un ruolo centrale nel mix energetico mondiale. È realistico prevedere un periodo di transizione, volto a una riduzione delle quote più inquinanti (carbone e petrolio) a favore del gas naturale, che offre una maggiore efficienza energetica e un minor impatto ambientale.
Si stima che nei prossimi 20 anni il forte sviluppo delle rinnovabili sia in grado di soddisfare il 50% dell’aumento della domanda di elettricità. L’incremento del gas naturale e delle rinnovabili è incentivato e supportato anche dalle recenti normative europee che pongono obiettivi di riduzione delle emissioni.4

Fase 2: progettazione
L’eco-design consiste nel progettare beni ecosostenibili, che possano durare più a lungo nel tempo ed essere riciclati a fine vita. Occorre, in tale fase, ricercare prima di tutto materie prime a minor impatto ambientale, prevedere interventi di manutenzione del prodotto, di sostituzione dei suoi componenti, di aggiornamento o rigenerazione delle sue funzioni e la possibilità infine di un suo riciclo. A questo proposito si parla di conferire al bene modularità e versatilità, cioè progettare la sua adattabilità al cambiamento delle condizioni esterne, ad esempio quelle determinate da rapido mutamento tecnologico.
Molte aziende scopriranno nuovi mercati passando dalla vendita di prodotti a quella di servizi: conservando la proprietà del bene, le imprese offriranno prestazioni necessarie al suo corretto uso. Si svilupperanno modelli imprenditoriali fondati sul noleggio, la condivisione, la riparazione, il potenziamento o il riciclaggio di singoli componenti.

Fase 3: produzione
La progettazione circolare di prodotti e componenti, la scelta dei materiali, il funzionamento circolare di modelli di business insieme all’ottimizzazione delle infrastrutture richiede, durante la fase della produzione, di elaborare una grande mole di dati e di informazioni: l’intelligenza artificiale e le potenzialità delle nuove tecnologie 4.0 sono indispensabili all’implementazione del nuovo sistema.
Produrre di più sprecando di meno: è questo l’obiettivo della nuova smart factory (fabbrica intelligente), che sostituisce il vecchio concetto di fabbrica. Tramite la digitalizzazione del processo produttivo e la connessione di tutti gli step del ciclo di vita di un prodotto, le informazioni utili sono a disposizione in tempo reale, per la rendicontazione e il supporto necessario a superare problemi e imprevisti. La rete tra persone, cose e sistemi, crea un enorme valore aggiunto in termini di riduzione dei costi e di crescita di efficienza produttiva.

Fase 4: consumo
Per uno sviluppo dell’economia circolare occorre non solo trasformare il sistema di produzione, ma anche i modelli di consumo; questo comporta la necessità di modificare comportamenti e stili di vita radicati in un concetto di benessere e abitudini non facilmente scardinabili. Tuttavia, è importante che le persone comprendano le ricadute che certe scelte di acquisto e condotte provocano sull’ambiente e sull’economia.5
Questa sensibilizzazione riguarda sia comportamenti specifici, come una corretta raccolta differenziata6 o la lotta agli sprechi, sia la scelta di privilegiare prodotti a minore impatto ambientale, come i beni alimentari a Km0) piuttosto che beni, spesso importati, i cui prezzi maggiormente contenuti, sono diretta conseguenza di legislazioni meno severe da un punto di vista ambiente, della sicurezza alimentare e della tutela del lavoro.
A tal proposito lo sviluppo che di recente hanno avuto forme di economia collaborativa (c.d. sharing economy), anche in risposta alla crisi economica, rappresenta il segnale di una nuova sensibilità verso stili di vita ecosostenibili.

Fase 5: recupero, riuso e riciclo delle risorse
Anche gli scarti della produzione, i rifiuti e i prodotti che arrivano a fine vita hanno un valore economico, in quanto possono essere trasformati in risorse, recuperati e riutilizzati come materie prime seconde. Il materiale organico ad esempio rappresenta una miniera d’oro di risorse e di materie prime inesauribile: scarti industriali, reflui di allevamenti, residui di coltivazioni agricole e forestali, sottoprodotti della catena agro-alimentare (uva, mandorle, nocciole, caffè, agrumi, mais…) o semplici rifiuti domestici, possono essere recuperati. Questi “scarti” possono rinascere come filati e tessuti innovativi, mangimi per animali, fertilizzanti, e persino come biocarburanti ed energia.
Anche la mancanza di un corretto smaltimento dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), che ammontano nel mondo a 50 milioni di tonnellate all’anno, rappresenta una notevole perdita economica, soprattutto in considerazione della quantità di metalli preziosi e terre rare di cui sono composti.
Un tesoro formato da 186 tonnellate di argento, 24 tonnellate di oro e 7,7 tonnellate di platino: è quello che si potrebbe recuperare in Europa se si mettessero in atto adeguate procedure di raccolta e riciclo dei RAEE: vecchi computer, cellulari, frigoriferi, televisioni… (International E-Waste Day, Giornata Internazionale dei RAEE, Forum 13 ottobre 2018 - Ecodom).
Ai fini di una corretta implementazione di buone pratiche di valorizzazione degli scarti, è fondamentale la collaborazione tra istituzioni, enti di ricerca, imprese e consumatori, tramite le loro scelte di acquisto. Negli ultimi anni sono nate numerose piattaforme online in grado promuovere opportunità di incontro tra tecnologie, scarti e persone per condividere e diffondere sperimentazioni di economia circolare.7
Esempi di economia circolare sono rappresentati anche dai progetti di recupero di suoli industriali dismessi attraverso procedimenti innovativi di bonifica. I benefici attesi sono molteplici in termini di sostenibilità ambientale (attraverso il recupero di risorse preziose e finite come il suolo e l’acqua, evitando l’occupazione di nuove aree o l’utilizzo di acqua c.d. vergine), di sostenibilità economica (attraverso la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili), di sostenibilità sociale (attraverso la riqualificazione di aree al fine di favorire lo sviluppo sociale e culturale).8

La sharing economy

Grazie alla tecnologia e ai social media, stanno nascendo in modo spontaneo forme di economia condivisa e collaborativa, la cosiddetta sharing economy, legate a una logica di circolarità e con effetti positivi soprattutto in ambito sociale e territoriale. Attraverso piattaforme digitali si creano reti di relazioni tra comunità interconnesse che scambiano e condividono beni e servizi, di cui si consente l’accesso al di là della proprietà: ogni persona collegata in rete (prosumer) diventa produttore (producer) e al tempo stesso consumatore (consumer) del bene o servizio che si condivide.
In questo modo si incentivano nuovi stili di vita sostenibili, privilegiando il riuso invece dell’acquisto e dell’usa e getta, lottando contro gli sprechi a favore dell’ambiente, promuovendo condivisione al posto della competizione e creando nuovi posti di lavoro.
Sono esempi di sharing economy: AirBNB (condivisione della casa); Banca del tempo (scambio reciproco di attività, servizi, saperi); Uber (collegamento diretto tra passeggeri e autisti, trasporto urbano); BlaBlaCar (condivisione di un viaggio tra persone che vanno nella stessa direzione); Arvaia, Cooperativa agricola di Bologna (agricoltura supportata dalla comunità: forma di condivisione del bene terra con responsabilità e rispetto per l’ambiente, in cui i soci sono i primi fruitori dei prodotti); Bring The Food (recupero di eccedenze alimentari della piccola e grande distribuzione, delle mense e del settore della ristorazione per metterle a disposizione di ONLUS ed enti caritatevoli); Centri di riuso (punti di raccolta e di intercettazione di scarti, in cui gli oggetti trovano una seconda o terza vita in quanto riparati, scambiati o rivenduti).

L’economia circolare è un eco-business

Secondo la Commissione europea9, le politiche volte a promuovere l’economia circolare possono generare in tutta l’UE risparmi netti per le imprese fino a 604 miliardi di euro, ovvero l’8% del fatturato annuo, riducendo al tempo stesso le emissioni totali annue di gas a effetto serra del 2-4%. Entro il 2030, inoltre, investire in green economy potrebbe far salire il PIL europeo di quasi l’1% e creare oltre 2 milioni di posti di lavoro (Cambridge Econometrics, Modelling the economic and environmental impacts of change in raw material consumption, 2014). Secondo il rapporto World Employment and Social Outlook 2018: Greening with Jobs, l’adozione di politiche di green economy, potrebbe creare 24 milioni di posti di lavoro nel mondo entro il 2030. L’azione, volta a limitare sotto i 2°C il riscaldamento globale, permetterebbe la creazione di notevole occupazione: circa 3 milioni nelle Americhe, 14 milioni nella regione dell’Asia e del Pacifico e 2 milioni in Europa. Un aumento di gran lunga superiore alle riduzioni che si registrerebbero in alcuni Paesi produttori di petrolio e di carbone. (rapporto Fondazione per lo sviluppo sostenibile, a cura di Edo Ronchi).
Nel 2017 quasi 320 mila nuove assunzioni hanno riguardato i nuovi profili professionali definiti green jobs: ingegneri energetici o agricoltori biologici, esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici a basso impatto ecc. Se si considerano anche le assunzioni per le quali sono richieste competenze green, se ne aggiungono altre 863 mila.
«Nell’economia circolare, l’Italia è partita con il piede giusto e ancora oggi si conferma tra i Paesi con maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia. Sotto il profilo del lavoro, siamo secondi solo alla Germania, con 517.000 occupati contro 659.000. Percentualmente le persone che nel nostro Paese vengono impiegate nei settori ‘circolari’ sono il 2,06% del totale, valore superiore alla media UE 28 che è dell’1,7% Ma oggi registriamo segnali di un rallentamento, precedente anche alla crisi del coronavirus, mentre altri Paesi si sono messi a correre: in Italia gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono diminuiti dell’1%. È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri» (Edo Ronchi, Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020, Circular Economy Network ed ENEA).

Note

1 Definizione di Ellen MacArthur Foundation, fondata nel 2010 dall’ex velista Ellen MacArthur, il cui obiettivo è quello di accelerare la transizione verso un’economia circolare.

2 Dal 1970 al 2017 la popolazione mondiale è aumentata di due volte, passando da 3,7 miliardi a 7,5 miliardi, ma il consumo mondiale di materiali è aumentato di quattro volte: da 26,6 GT a 109 GT; ogni abitante della Terra utilizza in media oltre 14.000 kg di materiali all’anno; 1/3 si trasforma subito in rifiuto e finisce in discarica e solo 1/3 è ancora in uso dopo appena 12 mesi (Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020, realizzato dal CEN-Circular Economy Network, la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, da 14 aziende e associazioni di impresa, e da ENEA).

3 L’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, approvata dall’ONU nel 2015, contiene 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile OSS (Sustainable Development Goals SDGs).

4 Il Consiglio europeo nel 2014 ha adottato i seguenti obiettivi (Energy and Climate Framework to 2030): riduzione delle emissioni del 40% rispetto al 1990; incremento del consumo di energia da fonti rinnovabili almeno del 32%; incremento dell’efficienza energetica di almeno il 32,5%. Tali obiettivi nel 2018 sono stati rivisti al rialzo, permettendo in tal modo all’UE di progredire verso un’economia a bassa emissione di carbonio e di rispettare gli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici. Al fine di accelerare la transizione di un’economia sempre più circolare, l’Unione europea ha presentato a gennaio 2020 un nuovo piano (Green New Deal), con cui l’Europa si pone l’ambizioso obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, e di azzerarle entro il 2050.

5 Il Piano nazionale di educazione e comunicazione ambientale, partendo dalle scuole dell’obbligo fino ad arrivare alle famiglie, si pone l’obiettivo di contribuire a formare una generazione di cittadini critici, consapevoli e informati.

6 In Italia passi avanti si stanno registrando nella raccolta differenziata: dei 30 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno, circa il 55% sono oggetto di raccolta differenziata (fonte ISPRA 2017); per quanto riguarda il prossimo futuro, previsioni ottimistiche arrivano ad ipotizzare un incremento di tale percentuale fino al 75%. Il miglior esempio italiano di economia circolare è la raccolta del vetro, materiale riciclabile al 100%: 9 bottiglie su 10 sono riciclate.

7 Sono esempi di tali piattaforme: la Piattaforma europea sull’efficienza dell’impiego delle risorse (EREP), voluta dalla Commissione europea, che promuove una crescita intelligente e sostenibile, attraverso la proposta di un «passaporto dei prodotti», ovvero una serie di informazioni sui componenti e materiali che li costituiscono e su come possono essere smantellati e riciclati al termine della loro vita utile; il Progetto LIFE M3P- Resources Efficiency, finanziato dall’Unione europea, prevede una piattaforma che sviluppa un sistema di valorizzazione degli scarti, basato sulla classificazione delle loro proprietà, al fine di ridurre gli sprechi e sostituire le materie prime con altre meno critiche per l’ambiente; l’Atlante italiano dell’economia circolare, piattaforma web interattiva che racconta le migliori esperienze di economia circolare in Italia attraverso la messa in rete di imprese e associazioni, orientate a realizzare processi e prodotti virtuosi, ad alto valore sociale e territoriale, in grado così di entrare in connessione tra loro ed aumentare le potenziali sinergie: la piattaforma Fridoo per mettere in contatto i venditori e gli acquirenti di scarti di produzione o avanzi di magazzino che possono diventare materia prima per un’altra azienda.

8 La più recente normativa europea prevede interventi strategici al fine di accelerare la transizione verso un’economia sostenibile e intelligente, capace di preservare gli ecosistemi e la biodiversità, stimolando la ricerca e l’innovazione. Il 4 luglio 2018 sono entrate in vigore le quattro direttive del pacchetto economia circolare. Tra gli obiettivi delle nuove direttive vi è il riciclo entro il 2025 di almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035) e parallelamente si vincola lo smaltimento in discarica (fino a un massimo del 10% entro il 2035). Il 65% degli imballaggi dovrà essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. I rifiuti tessili e i rifiuti pericolosi delle famiglie (come vernici, pesticidi, oli e solventi) dovranno essere raccolti separatamente dal 2025 e, sempre a partire dal 2025, i rifiuti biodegradabili dovranno essere obbligatoriamente raccolti separatamente o riciclati a casa attraverso il compostaggio. Per quel che riguarda la discarica, il pacchetto limita la quota di rifiuti urbani da smaltire a un massimo del 10% entro il 2035. Inoltre, viene introdotta una normativa per facilitare la donazione del cibo e ridurre le eccedenze e gli sprechi alimentari in ogni fase della filiera produttiva alimentare.

9 Nel gennaio 2020, l’Unione europea ha presentato un nuovo piano rivolto a tutti i Paesi membri: il Green New Deal. Tale programma è stato promosso dalla Commissione europea, al fine di ridurre i rifiuti e le emissioni di gas serra (con azzeramento entro il 2050), accelerando la transizione dell’industria verso un’economia circolare, capace di preservare gli ecosistemi e le biodiversità e di contrastare i cambiamenti climatici.

L’economia circolare

di Nadia Piampiano

 

Nadia Piampiano: è docente di Scienze giuridiche ed economiche presso il Liceo Scientifico G. Alessi di Perugia. Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Perugia, a partire dal 1993 per 17 anni è insegnante di Diritto ed economia presso il Liceo europeo Don Bosco di Perugia. Dal 2010 al 2018 ricopre la carica di Coordinatrice delle attività didattico educative presso la Scuola secondaria di primo grado Donati Ticchioni di Perugia, che contribuisce a fondare insieme ad altri docenti.

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