«Sistema industriale progettato per poter essere rigenerato da solo, che punta a fare affidamento sulle energie rinnovabili»1: l’economia circolare fa la sua comparsa sulle scene internazionali al World Economic Forum di Davos nel 2014. Questo nuovo modo di produrre e di consumare si ispira al modello ciclico della natura ed è capace di auto-rigenerarsi in modo efficiente, sostenibile e competitivo.
È difficile ricondurre il concetto di economia circolare a una data certa e a un singolo autore. Sicuramente ne ha gettato le fondamenta l’articolo The economics of the coming spaceship Earth, pubblicato nel 1966 da Kenneth Boulding. Vi si delineano due tipi di economia, identificandoli con due figure, il cowboy e l’astronauta: il primo, simbolo delle pianure sterminate e di un’economia aperta e senza limiti, è mosso da una continua sete di conquista e di consumo; l’astronauta invece ha la profonda consapevolezza del sistema che lo ospita, la grande “navicella spaziale” Terra, dei suoi limiti e dei cicli che regolano il suo funzionamento, come avviene in un sistema ecologico chiuso, costretto a rigenerare continuamente le risorse essenziali alla propria sopravvivenza.
Oggi fenomeni impattanti e strettamente connessi tra loro (come il rapido sviluppo economico e l’aumento demografico, il crescente sfruttamento delle risorse naturali e il conseguente cambiamento climatico) pongono in primo piano le tematiche ambientali e dimostrano come gli attuali modelli lineari di produzione siano ormai insostenibili e rischino di compromettere la stessa sopravvivenza delle generazioni future.
C’è bisogno di un ripensamento complessivo e radicale, di una rivoluzione culturale: è giunto il momento di definire e applicare modelli alternativi.
L’economia circolare ripensa l’economia come un ecosistema: in natura non esistono rifiuti, in quanto ogni sostanza diventa alimento e vita per un’altra specie vivente; così anche i rifiuti prodotti dalle attività umane possono ritrasformarsi in cibo o materie prime per successivi cicli produttivi.
L’economia circolare riparte proprio da qui, e cioè dall’importanza di promuovere un modello produttivo in grado di limitare in ingresso materie prime ed energia, e di minimizzare in uscita scarti e perdite: un sistema quindi basato sul risparmio di risorse naturali, sull’utilizzo di energie rinnovabili, sul ri-uso e il ri-ciclo, ponendo attenzione alla tutela dell’ambiente e alla realizzazione di prodotti e processi equi e ad alto valore sociale e territoriale.
L’attuale modello di economia lineare
Il modello di economia lineare (Estrazione → Produzione → Consumo → Smaltimento rifiuti) si è basato per circa 200 anni e quattro rivoluzioni industriali sullo sfruttamento delle risorse naturali, orientato alla massima produzione e ispirato da un uso e getta rapido e compulsivo. Tale modello può dirsi fallito.
Esso persegue ossessivamente una crescita infinita mediante risorse limitate, consumando più del bisogno e sprecando energia, acqua e cibo.
Un mondo sempre più globalizzato crea contraddizioni, ponendo sfide comuni e complesse:
• povertà e guerre generano flussi migratori inarrestabili;
• l’impatto umano sull’ambiente e i cambiamenti climatici provocano enormi danni alla biodiversità;
• gli infiniti orizzonti delle nuove tecnologie potenziano l’efficienza produttiva, ma potrebbero ridurre i livelli occupazionali.
L’Earth over shoot day è il giorno dell’anno in cui si esaurisce il budget annuale di risorse che la Terra può rigenerare. Nel 2019 esso è stato calcolato al 29 luglio: da quel giorno, fino al termine dell’anno solare, la popolazione ha vissuto in debito con il pianeta, consumando capitale naturale destinato alle future generazioni attraverso deforestazioni, pesca e agricoltura intensive, erosione del suolo, perdite di biodiversità, accumulo di CO2 e cambiamenti climatici.
Mentre il consumo di materiali cresce a un ritmo doppio di quello della popolazione2, ogni anno questo appuntamento si presenta in anticipo rispetto all’anno prima. All’over shoot day si arriva perché la nostra domanda di risorse, in un anno, supera di 1,75 volte quanto la Terra è in grado di rigenerare per quello stesso periodo di tempo. L’umanità sta attualmente utilizzando risorse come se disponesse di 1,75 pianeti (dati Global Foot Print Network, 2019).
Alcuni dati
Disuguaglianze economiche
L’1% più ricco della popolazione deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone. Nel mondo 2.153 miliardari detengono più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale (dati OXFAM – Davos 2020).
Sfruttamento del lavoro minorile
Nel mondo sono più di 150 milioni i bambini intrappolati in impieghi che mettono a rischio la loro salute mentale e fisica e li condannano a una vita senza svago né istruzione né futuro. Nonostante l’elevata crescita economica e i grandi miglioramenti in materia di istruzione e sviluppo, paesi come Cina, India, Bangladesh, Vietnam e Cambogia hanno compiuto scarsi progressi nell’affrontare il tema dei minorenni costretti a lavorare (dati Organizzazione Internazionale del Lavoro, 2019).
Accesso all’energia
600 milioni di persone nell’Africa sub-sahariana (il 57% della popolazione) e 350 milioni in Asia (9% della popolazione) non hanno ancora accesso all’elettricità. Sono quasi 2 miliardi, inoltre, le persone che ancora oggi utilizzano impianti di cottura domestica con biomassa solida, carbone o cherosene (dati World Energy Outlook, 2018).
Accesso all’acqua
Mentre lo spreco di acqua nei paesi più sviluppati diventa un problema sempre più urgente, anche a causa della siccità e dei cambiamenti climatici, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2018) «2,1 miliardi di persone non hanno accesso sicuro all’acqua, e tra questi, 844 milioni non dispongono neanche di basilari servizi relativi all’acqua potabile».
Sfruttamento della terra
L’intervento umano negli ultimi cinquant’anni ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse. Il 33% dei suoli mondiali è degradato; in tutta Europa in media ogni anno un’area di 348 chilometri quadrati (maggiore della superficie di Malta) viene impermeabilizzata e cementificata. Diventa essenziale la tutela del suolo, elemento base della bioeconomia. Esso contiene oltre duemila miliardi di tonnellate di carbonio organico: è il secondo sink di assorbimento dei gas serra dopo gli oceani. Ma il continuo degrado del terreno e della vegetazione rappresenta oggi a livello globale un’importante sorgente netta di emissioni di gas serra (Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020, realizzato dal CEN-Circular Economy Networked ENEA).
Sprechi alimentari
Ogni anno circa un 1/3 del cibo prodotto nel pianeta (1,3 mld di tonnellate) viene sprecato senza neanche arrivare in tavola. Dati inaccettabili, soprattutto se si considera che nel mondo milioni di persone soffrono la fame e che tutto lo spreco è pari a quattro volte la quantità di cibo necessaria per sfamare 800 milioni di persone attualmente denutrite. Inoltre, lo spreco di cibo incide in modo funesto sull’ambiente, causando la produzione di una quantità di gas serra pari a 1/3 delle emissioni annuali derivanti dai carburanti fossili. In Italia lo spreco di cibo a livello domestico vale quasi 12 miliardi di euro (0,88% del PIL, dati ISTAT), a cui si aggiunge lo spreco alimentare di filiera (produzione e distribuzione) di circa 3 miliardi di euro (EURISPES, stime WWF-ONU, 2019).
Le guerre nel mondo
Le guerre scoppiano sempre più spesso per il controllo di risorse naturali e trovano terreno fertile nell’estrema povertà. Tra il 2017 e il 2018 circa 193.000 persone sono morte in Africa, Asia e Medio Oriente a causa di conflitti a fuoco (Armed Conflit Location e Event Data Project).
Secondo la recente edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo (curato da Associazione 46esimo parallelo, Amnesty International e Centro documentazione sui conflitti mondiali), nel 2016 risultano 36 guerre nelle varie parti del mondo, con l’Africa che conta il maggior numero di conflitti (16), a seguire Medio Oriente, America Latina, Asia ed Europa.
Cambiamento climatico
Gran parte dell’economia da 200 anni a questa parte si è basata sui combustibili fossili: petrolio, carbone e gas naturali, principali cause di un aumento dell’effetto serra e del conseguente cambiamento climatico. L’effetto serra permette al nostro pianeta, in condizioni naturali, di essere un luogo ospitale e compatibile con la vita, ma negli ultimi decenni ha fatto registrare un forte aumento (c.d. effetto serra di origine antropico): lo sviluppo economico e demografico, la crescente urbanizzazione e la transizione verso standard di vita più elevati, soprattutto da parte di economie emergenti (paesi non OCSE, come Cina, India, Brasile), hanno determinato e determineranno in futuro un aumento continuo di consumi energetici e una conseguente crescita esponenziale di emissioni di CO2, surriscaldando il Pianeta e spingendo il sistema naturale fuori dal suo equilibrio.
Le emissioni di CO2 derivate nel complesso dalle attività umane sono, attualmente, di circa 33 miliardi di tonnellate all’anno (60% dal solo settore energetico). Entro il 2060, tali emissioni potrebbero aumentare del 43%, con gli effetti che possiamo immaginare sul clima, sullo stress idrico e sulla perdita di biodiversità (dati OCSE, Global Material Resources Outlook to 2069, 2019).
Nelle città italiane si registrano ogni anno circa 80 mila decessi prematuri a causa dell’inquinamento atmosferico e l’82% della popolazione dei comuni italiani è esposta a valori medi annuali delle polveri sottili superiori ai valori minimi dell’OMS (Edo Ronchi, La transizione della green economy).
In mancanza di un’inversione di tendenza si prevede che, entro la fine del secolo attuale, la temperatura globale potrebbe aumentare di 3-5°C, superando il limite massimo di 2°C fissato dagli Accordi di Parigi, con effetti disastrosi sugli equilibri ambientali, sociali ed economici: scioglimento delle calotte polari, innalzamento del livello dei mari, perdite di ecosistemi, sempre più frequenti calamità naturali. In particolare, la siccità colpirebbe prima di tutto l’agricoltura. Con un aumento della temperatura media di più di 2°C, da qui al 2040 il rendimento agricolo di molti terreni verrebbe compromesso per sempre. Milioni di persone sarebbero ridotte al collasso, soprattutto nei paesi più poveri al mondo (come in Africa); la perdita di raccolti e di allevamenti precluderebbe condizioni minime di sopravvivenza e costringerebbe all’urbanizzazione o all’emigrazione.
Migrazioni
Oggi stiamo assistendo ai più elevati livelli di migrazione mai registrati: nel 2017 il numero di persone costrette a fuggire nel mondo a causa di guerre, persecuzioni e povertà, ha raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo. I più colpiti sono i paesi sottosviluppati. Nel rapporto annuale Global Trends, l’UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) riporta che a fine 2017 erano 68,5 milioni le persone costrette alla fuga. Si stima che nei prossimi 40 anni la migrazione potrebbe aumentare fino ad 1 miliardo.
Rifiuti
Secondo l’ultimo rapporto dell’International Solid Waste Association (associazione mondiale che riunisce gli operatori del settore trattamento e smaltimento rifiuti), attualmente nel mondo vengono prodotti circa 4 miliardi di tonnellate di rifiuti ogni anno. La metà è rappresentata da rifiuti urbani (quelli prodotti dalle famiglie), mentre l’altra metà riguarda i rifiuti cosiddetti speciali, provenienti cioè da attività industriali e produttive. Nei prossimi 10-15 anni si potrebbe arrivare a un aumento di questa produzione anche del 50%; quindi oltre 6 miliardi di tonnellate. Secondo la Banca Mondiale, lo smaltimento dei rifiuti urbani attualmente costa alla comunità internazionale circa 205 miliardi di dollari all’anno, una cifra che, sempre nel giro di 10-15 anni, potrebbe addirittura raddoppiare. Già da ora la gestione dei rifiuti è una delle voci di costo più pesanti nei bilanci delle amministrazioni pubbliche e continua a crescere con l’aumentare della popolazione.
Plastica
Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), oggi nel mondo solo il 15% dei rifiuti di plastica viene riciclato. Il 25% viene bruciato in inceneritori, il 60% va in discarica, viene bruciato all’aperto (con le note conseguenze per la salute) o finisce disperso nell’ambiente. Attualmente ci sono 6 isole di rifiuti che invadono gli oceani e i mari; la più grande è la Great Pacific Garbage Patch: circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati, 100.000 Km quadrati.
Se nulla cambierà, entro il 2030, l’inquinamento da plastica raddoppierà rispetto a oggi. Ammonta a 8 miliardi di dollari il costo annuale degli effetti negativi diretti su pesca, commercio marittimo, turismo e sugli ecosistemi marini (dati WWF su Il Messaggero, 5 marzo 2019).
Il quadro inquietante che emerge dall’analisi della situazione attuale, dimostra come avviare la transizione verso un modello di economia sostenibile sia, più che mai, urgente e necessario e non possa più essere procrastinato.3