L’economia, la matematica e le scienze naturali

AREE-DISCIPLINARI-PARAMOND-Maggio-2019-JPEG-Economia-mate-scienze_AL1356499.jpg

La controversa relazione tra l’economia e le scienze esatte

AREA GIURIDICO-ECONOMICA

I critici si dividono sull’opportunità di applicare strumenti matematici e scientifici allo studio dei comportamenti economici umani.

di Viviana Di Giovinazzo

I modelli della fisica alle origini della scienza economica

La matematica, la fisica e le scienze naturali hanno influenzato radicalmente lo sviluppo del pensiero economico moderno. Sotto l’influsso della cultura illuministica, al fine di svincolare l’economia da ogni dogma e morale, diversi economisti classici individuarono nella fisica newtoniana il modello ideale per acquisire una conoscenza scientifica del mondo sociale.
In The Wealth of Nations (1776), Adam Smith andò alla ricerca di quelle leggi naturali che inducono i prezzi di mercato (prezzo effettivo della merce) a “gravitare” attorno al loro prezzo naturale (costo di produzione).
Antonio Genovesi fu abate e primo docente italiano di economia all’Università di Napoli (1754), in una cattedra intitolata di “commercio e meccanica”. Egli associò la natura delle relazioni umane alla forza gravitazionale che regola il moto dei pianeti. Nella Diceosina (1766), impiegò i termini forza concentrativa (amor proprio) e forza diffusiva (amore per il prossimo) per mostrare come ogni essere umano avesse un diritto naturale di ricevere assistenza e un dovere corrispettivo di offrirla.
Il tentativo di trasformare l’economia in una fisica sociale fu pienamente realizzato un secolo più tardi, grazie al contributo degli economisti marginalisti, i quali costruirono il concetto di “utilità” in economia attorno al principio di “energia potenziale” della meccanica classica.
William Stanley Jevons fece studi di chimica prima di interessarsi all’economia. Egli concepì gli individui come atomi mossi da forze quali il profitto o il piacere. Dichiarò che la legge dell’utilità è in tutto simile alla “forza di gravitazione di un corpo materiale”, consistendo in “un’attrazione fra un essere che ha bisogno di qualche cosa e ciò di cui egli ha bisogno” (Principi di economia, 1871).
Stimando che il piacere in economia fosse misurabile come l’energia in fisica, Francis Ysidro Edgeworth concepì l’edonimetro, “uno strumento idealmente perfetto, una macchina psicofisica capace di registrare in ogni istante il livello di piacere provato da un individuo” (Psichica Matematica, 1881).
L’economista matematico francese Léon Walras (1874) impostò il concetto di equilibrio economico generale sull’esempio dell’equilibrio matematico dell’astronomia newtoniana.
Non tutti gli economisti di fine Ottocento furono, tuttavia, persuasi dell’idea di dare una struttura matematica alle relazioni economiche.
Thorstein Veblen (1899), per esempio, esplorò alcune variabili socio-psicologiche quali istinti e prestigio sociale, responsabili dell’atteggiamento consumistico della classe agiata.
Anche gli economisti della scuola austriaca lasciarono ampio spazio alla componente emotivo-soggettiva dell’essere umano. Carl Menger (1871), per esempio, fu tra i primi ad elaborare una teoria psicologica del valore, dipendente dalle valutazioni soggettive degli individui.

Economia e matematica nel Novecento

La sensazione generale di ansia e precarietà causata dalla crisi finanziaria del ’29, e della depressione che ne seguì, indussero gli economisti a rivolgersi nuovamente alla matematica: in essa, questi videro uno strumento che avrebbe potuto ridurre l’incertezza e il rischio, restituendo ordine al caos. L’istituzione della Società econometrica, nel 1930, fu un chiaro segnale della tendenza verso una maggiore matematizzazione dell’economia. Il suo motto, “teoria e misura”, ne indicava il fine ultimo di consolidare il ruolo della matematica e della statistica nella teoria economica. A partire da tale momento, la teoria economica si arricchì di strumenti matematici sempre più complessi.
Anche in questa fase ci furono diverse voci dissenzienti. Pur non essendo contrario all’uso della matematica in economia, John Maynard Keynes fu scettico nei confronti di un uso eccessivo della statistica. Persuaso che non tutto sia misurabile, al fine di comprendere le scelte degli individui egli ritenne, piuttosto, opportuno approfondire la componente psicologica delle azioni individuali. Ne La Teoria Generale dell’interesse, dell’occupazione e della moneta (1936), Keynes impiegò il termine animal spirits per mostrare come le decisioni finanziarie e di spesa degli individui in condizioni di incertezza siano suscitate più da intuizioni ed emozioni, che dalla piena razionalità di calcolo.
Benché radicalmente opposto alle politiche economiche di Keynes, anche Friedrick von Hayek contestò l’estensione dei metodi e delle teorie delle scienze naturali allo studio di istituzioni sociali, quali il mercato (Scientismo e lo studio della società, 1942-1944).
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la matematizzazione dell’economia ricevette nuovo impulso. Chiamati a risolvere dilemmi concernenti l’allocazione delle risorse scarse, gli economisti videro nella teoria dei giochi lo strumento ideale per descrivere il comportamento umano. Questa studia le decisioni di un soggetto in situazioni di conflitto o interazione strategica con altri soggetti e ne ricerca situazioni competitive o cooperative tramite modelli. Già impiegata nel settore militare (per esempio, per cercare di anticipare le mosse dei sottomarini avversari) questa teoria fu introdotta in economia dal fisico ungherese John von Neumann e dall’economista tedesco Oskar Morgenstern, con la pubblicazione di Teoria dei giochi e comportamento economico (1944). Il successo fu immediato e la teoria dei giochi continuò ad essere applicata tanto in ambito militare, durante il periodo della Guerra Fredda, quanto in quello economico, soprattutto nello studio del comportamento delle imprese in condizioni di oligopolio (industria automobilistica e petrolifera). Sulla base degli assiomi di utilità attesa esposti nella teoria dei giochi, inoltre, fu dedotta la definizione di razionalità in economia ancora oggi adottata dalla maggior parte dei libri di testo (l’individuo è pienamente razionale, ha preferenze coerenti sugli esiti finali del processo decisionale e ha l’obiettivo di massimizzare tali preferenze).

Verso l’intelligenza artificiale e oltre

Secondo diversi critici, primo tra i quali Herbert Simon, la teoria dei giochi poco avrebbe giovato a spiegare il comportamento reale delle persone. In A Behavioral Model of Rational Choice (1955), Simon introdusse il termine razionalità limitata per indicare che, al contrario di quanto assunto da von Neumann e Morgenstern, gli individui difettano della capacità (limitazioni cognitive) e delle risorse (impossibilità di reperire tutte le informazioni necessarie) per compiere la scelta ottimale. Ciò nonostante, anche Simon fece un grande uso della matematica, applicata all’intelligenza artificiale. Egli ritenne che il computer programming fosse un utile strumento per implementare le (limitate) capacità cognitive degli esseri umani. Nel pensiero degli economisti l’ordine naturale continuava ad essere rappresentato dalla macchina che, aggiornata al secolo ventesimo, divenne il computer.
La matematica, la fisica e le scienze naturali continuano ancor oggi a suscitare interesse presso gli economisti.
Sulla base degli esperimenti di laboratorio condotti dagli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky (1974, 1979) è nata la neuroeconomia, con l’obiettivo di impiegare le conoscenze della psicologia e gli strumenti della medicina, quali il brain imaging (rappresentazione visiva delle funzioni cerebrali) per testare i processi decisionali degli individui.
Originata dai lavori dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen (1971), la bioeconomia ricorre alla legge dell’entropia (in ogni sistema chiuso, alla fine di ogni processo la qualità dell’energia e, pertanto, la possibilità di un suo successivo riutilizzo, è sempre inferiore rispetto all’inizio) per mostrare l’esigenza di optare per un’economia della decrescita, ovvero, alla riduzione volontaria della produzione e dei consumi al fine di ristabilire un equilibrio ecologico tra essere umano e natura.
Nata nel corso degli anni Novanta da un ramo della meccanica statistica, l’econofisica considera i sistemi economici al pari dei sistemi complessi in fisica. Impiegata soprattutto per analizzare la grande quantità di dati causata dall’informatizzazione dei mercati finanziari, essa paragona le fluttuazioni dei titoli azionari al moto di particelle all’interno di un acceleratore in fisica.

Vantaggi e limiti di un’economia meccanicistica

I critici ritengono che il tentativo ostinato di rendere l’economia una scienza esatta abbia alienato questa disciplina dal suo oggetto di studio, l’essere umano, per asservirla alle regole imposte dalla macchina. Dietro tale orientamento scientifico, essi scorgono anche la genesi di un circolo vizioso: l’adozione di metodi di indagine sempre più complessi accresce proprio quella complessità che suscita ansia e incertezze, e che si cerca di domare attraverso un uso più intensivo degli strumenti tecnologici.
Altri studiosi, invece, riconoscono i vantaggi di una visione meccanicistica dell’economia quali, per esempio, il contributo fornito dalla bioeconomia alla lotta contro l’inquinamento ambientale, per uno sviluppo sostenibile.

 

Viviana Di Giovinazzo: dottore di ricerca presso l'Università degli Studi di Macerata e presso l'Université Paris I Panthéon-Sorbonne. È collaboratore didattico presso l’Università di Milano Bicocca. I suoi interessi di ricerca riguardano la storia del pensiero economico e il rapporto tra economia e psicologia. È autrice di diverse pubblicazioni scientifiche nel campo dell’economia comportamentale e dell’economia del benessere.