In un periodo storico come quello attuale, che sa di un nuovo Rinascimento, risulta interessante prendere in esame quello che comunemente viene identificato come il simbolo della rinascita e della vita stessa: il grano. L’elemento principe, che ha scandito il ritmo degli agricoltori fin dalle origini, volteggia nel tempo e nello spazio, riproponendosi ogni volta in nuove varietà. Come è cambiato il grano moderno? Ha senso parlare di grani antichi e di grani autoctoni?
Un punto fermo nel tempo
Quando si parla di grani antichi si parla di grani originari, risalenti a migliaia di anni fa, che hanno mantenuto le caratteristiche organolettiche nel tempo e hanno evitato il processo di miglioramento genetico evolutivo.
Tra le tipologie più antiche troviamo la varietà Rieti, da cui è stato ottenuto tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso il famoso Senatore Cappelli; il Gentil Rosso, che è un grano tenero originario dell’area appenninica centro-settentrionale (per intenderci, nell’Emilia Romagna) e risulta quello più coltivato in tutta Italia ai primi del Novecento, proprio perché estremamente versatile. Abbiamo poi il Carosella e il Saragolla, quest’ultimo un grano duro originario dell’area mediterranea; la Tumminìa, che in Sicilia sostituì il farro dicocco in epoca romana; il grano di Caselle, Lurumana, Ianculedda, la Solina, che è un grano tenero originario dell’area appenninica centrale e la Risciola, che invece proviene dal Sud Italia.
In altre parole, possiamo prendere come riferimento la regola per cui un grano può essere definito antico – o originario, se si tratta di una varietà nata durante il secolo scorso – se non ha subìto miscelature e mutazioni genetiche particolari per la predisposizione del chicco alla lavorazione industriale.
La profondità dello spazio
Quando parliamo di grani autoctoni facciamo riferimento a una varietà di grano che ha saputo adattarsi al contesto in cui è cresciuto. Un grano autoctono è dunque il frutto di un lungo lavoro di miscelazione, che non l’ha certamente reso uniforme, ma che gli ha conferito una connotazione tipicamente locale.
Non sempre un grano autoctono per essere tale deve essere originario di una specifica zona geografica: potrebbe anche essere una varietà trapiantata da una terra lontana, ma l’importante è che sia riuscito ad adattarsi alle condizioni bioclimatiche del territorio in cui viene coltivato.
Per fare un esempio, il grano Rieti è autoctono siciliano, ma non è propriamente, come si direbbe adesso, 100% Made in Sicilia, anzi: questo grano è il frutto di una miscelazione partita tanto tempo fa con una varietà di origine tunisina.