Libri in classe. Shoah: la forza rappresentativa del fumetto

Maus Art Spiegelman

LIBRI IN CLASSE

Mickey à Gurs. Les carnets de dessins de Horst Rosenthal di Joël Kotek e Didier Pasamonik
Auschwitz: un racconto a fumetti di Pascal Croci
Jan Karski. L’uomo che scoprì l’Olocausto di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso
Maus di Art Spiegelman
MetaMaus di Art Spiegelman

Paolo Senna

La Shoah – tanto nella ricostruzione della realtà storica, quanto nella molteplicità delle narrazioni e delle testimonianze – ricopre uno spazio privilegiato nella memoria contemporanea. Musei, mostre, libri e cinema hanno contribuito in modo significativo a “educare alla memoria”, definendo il ruolo che l’Olocausto occupa nella cultura contemporanea e cooperando a uno straordinario sviluppo della produzione storiografica: al punto che l’attenzione degli studiosi si rivolge oggi non solo alle dinamiche storiche del genocidio, ma anche alla sua memoria, sia essa personale o pubblica. Si tratta di racconti e immagini che oggi sono – fortunatamente – piuttosto radicate nell’immaginario collettivo e che hanno un forte valore pedagogico. Le arti che oggi vogliono riflettere su questo dramma continuano, dunque, a definire il “paesaggio della memoria” contemporanea.
Il Mémorial de la Shoah di Parigi, che è insieme museo e centro di documentazione, ha recentemente allestito una mostra intitolata Shoah et bande dessinée allo scopo di mostrare le modalità con cui la “nona arte” si è interrogata e ha rappresentato l’Olocausto. Il fumetto, lungi dal costituire una scelta stilistica minore, banale o addirittura irriverente, ha prodotto anche in Italia opere capaci di raggiungere e di far riflettere un pubblico vasto e pluristratificato. Non solo. La rielaborazione del genocidio attraverso il disegno e il fumetto va ad inserirsi nel più ampio discorso sulla liceità e sulla possibilità di rappresentare l’indicibile, la medesima questione che ha trovato in Elie Wiesel uno degli autori in questo senso più tormentati:

«Non potrete capire, non potrete mai sapere. Era l’espressione che affiorava sulle labbra durante il regno della notte. Non posso che ricordarla: “Voi che non eravate sotto il cielo di sangue, non saprete mai che cos’era. Anche se leggete tutte le opere, anche se ascoltate tutte le testimonianze, resterete dall’altra parte del muro: non vedrete l’agonia e la morte di un popolo se non da lontano, come attraverso lo schermo di una memoria che non è la vostra”. Confessione d’impotenza o di colpa? Non so. So soltanto che Treblinka e Auschwitz non si raccontano. » (Elie Wiesel, Parole di straniero).

Più che “dire” o “non dire” l’indicibile, il fumetto sembra però porsi dalla parte di chi tenta di rappresentare l’invisibile, ovvero il tormento e la sofferenza interiore, e non solo fisica, che ha colpito i “sommersi” e che i “salvati” hanno portato dentro per tutto il resto della vita.
Vogliamo dunque nelle righe seguenti segnalare alcune opere dove si mostra la forza rappresentativa del fumetto e il suo contributo alla memoria della Shoah.

Mickey à Gurs. Les carnets de dessins de Horst Rosenthal

Autori: Joël Kotek & Didier Pasamonik
Editore: Calmann-Lévy, 2014
Pagine: 184

Horst Rosenthal, ebreo tedesco morto ad Auschwitz, ci ha lasciato una testimonianza molto particolare della sua drammatica vicenda. Di lui non sappiamo molto più di quanto ci dica la scarna documentazione burocratica in nostro possesso: le richieste di asilo e i documenti di arresto e di internamento nei vari campi. Nacque nel 1915 in un famiglia ebrea a Breslavia, oggi in Polonia ma ai quei tempi tedesca, e si diplomò illustratore alla Scuola di Arti e mestieri della sua città. Nel 1933, con la salita al potere del nazismo, si trovò in una situazione doppiamente difficile nei riguardi del nuovo regime, poiché oltre ad essere ebreo era anche un militante di sinistra. Decise così di abbandonare la Germania per la Francia, paese in cui avrebbe desiderato iscriversi alla Scuola di Belle Arti di Parigi. Non conosciamo nulla, purtroppo, della sua vita parigina prima dell’internamento, di come visse e del modo in cui si mantenne. Con tutta probabilità visse arrangiandosi, come molti suoi concittadini esiliati in Francia.

Nel 1934 rischiò di essere rispedito in Germania, perché gli mancavano gli estremi per essere considerato un rifugiato e solo nel 1937 il Ministero degli Interni francese gli riconobbe tale status, garantendogli la possibilità di rimanere in Francia. Probabilmente nel 1936 progettò di trasferirsi in Palestina, ma la Gran Bretagna che ne deteneva il protettorato, aveva proibito ogni immigrazione ebraica per non fomentare gli animi della popolazione araba.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, per Rosenthal si venne a creare una situazione paradossale: in quanto cittadino tedesco era considerato nemico in territorio francese e venne perciò condotto nel campo di Marolles, centro di raccolta per gli stranieri in territorio. Venne in seguito liberato, ma nel maggio del 1940 venne indirizzato in alcuni campi di smistamento prima di essere destinato a Gurs, sui Pirenei atlantici, dove giungerà il 28 ottobre. Tutto lascia pensare che a Gurs si sia occupato, insieme al “Secours Suisse”, dei bambini internati. Con la Repubblica di Vichy e la Francia occupata, e con l’inasprimento delle leggi antisemite anche in Francia, la sua posizione divenne sempre più scomoda. Da Gurs sarà deportato ad Auschwitz, dove troverà la morte nelle camere a gas poco dopo il suo arrivo, nel settembre 1942.

Proprio nel periodo di internamento a Gurs, Rosenthal allestì il suo Mickey à Gurs, un quaderno con protagonista il Topolino delle storie Disney, probabilmente disegnato proprio per distrarre i bambini che condividevano la medesima esperienza di prigionia. Mickey à Gurs è il primo di tre quaderni realizzati da Rosenthal, cui fanno seguito La journée d’un hébergé e Petit guide à travers le camp de Gurs. I primi due sono conservati al Memoriale della Shoah di Parigi (molto probabilmente donate dal rabbino Léo Ansbacher, un sopravvissuto di Gurs), mentre il terzo si trova a Zurigo, presso l’École Polytechnique (donato da Elsbeth Kasser, responsabile del “Secours Suisse” a Gurs). In essi viene presentata una descrizione di vari aspetti della vita quotidiana nel campo, con un incisivo effetto di straniamento: Rosenthal imita volontariamente una brochure turistica che invita a visitare Gurs, che in realtà è tutt’altro che una destinazione adatta a un’escursione. Ma soprattutto documenta, ben prima di tutti gli altri autori, la vita degli ebrei nel campo di prigionia. Un testo scritto “in presa diretta” raccontato con una spiccata ironia che ai noi, che oggi leggiamo col senno di poi, non manca di toni macabri.

Il Memoriale della Shoah di Parigi si è recentemente fatto editore di un saggio comprensivo della riproduzione a colori integrale del primo taccuino di Rosenthal, che rappresenta un testo di grande interesse storico e una testimonianza unica e autentica.

Auschwitz: un racconto a fumetti

Autore: Pascal Croci
Editore: Il Melangolo, 2004
Pagine: 80

Pascal Croci è uno sceneggiatore e disegnatore di fumetti, nato in Francia nel 1961. Dopo essersi cimentato per alcuni anni nella realizzazione di fumetti storici per la pubblicazione su rivista, con Auschwitz decide di dedicarsi al complesso progetto di un vero e proprio romanzo a fumetti, nel genere della docu-fiction, ispirato alle testimonianze dei sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

La vicenda inizia a posteriori, negli anni novanta del secolo scorso, nella ex-Jugoslavia. Un anziano sopravvissuto, Kazik, e sua moglie Cessia iniziano a ricordare la loro vicenda e la narrazione ritorna al 1944, nel pieno dello svolgimento di quei terribili fatti. Ad Auschwitz alcuni deportati hanno già compreso il loro destino, altri rinunciano a riflettere e a sperare in una qualsiasi forma di liberazione. Kazic, per cercare di rivedere la moglie e la figlia, chiede di essere incluso nel gruppo di quanti avevano il compito di pulire le camere a gas dai corpi morti dei prigionieri, ed è lì, sotto un cumulo di cadaveri, che ritrova la figlia ancora viva. Kazic e la moglie vengono alla fine liberati, ma la storia non ha un lieto fine: il fumetto si conclude con i corpi di Kazic e della moglie Cessia accusati di tradimento e giustiziati sommariamente dai militari combattenti in una nuova guerra, quella che smembrerà la Jugoslavia. Un messaggio crudo e duro, quello di Croci, che usa colori in scala di grigi e neri per conferire drammaticità a tutta la terribile realtà della vita quotidiana degli internati, come se i luoghi narrati fossero avvolti da una insistente e pervasiva nebbia che cancella i colori:

«L’opprimente e fuligginoso grigio del cielo di Auschwitz; un grigio che non riesce a farci capire dove sia l’orizzonte; un grigio che si spezza solo sotto la luce delle lampade appena fuori le baracche dei deportati; un grigio che ti senti entrare nella gola, che sembra non permetterti di respirare bene, che ti entra nello stomaco. Perché sai che il cielo è grigio per il fumo delle ciminiere dei forni crematori. Perché sai che quella polvere bianca che cade dal cielo non è neve, sono ceneri.»

Auschwitz: un racconto a fumetti non intende riassumere la storia dell’Olocausto e nemmeno offrire un approfondimento di tipo storiografico, ma si prefigge lo scopo di sensibilizzare le nuove generazioni alla memoria di quell’orrore. Una memoria che è anzitutto un dovere.

Jan Karski. L’uomo che scoprì l’Olocausto

Autori: Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso
Editore: Rizzoli Lizard, 2014
Pagine: 160

Jan Karski (nome di battaglia di Jan Kozielewski, 1914-2000), giovane impiegato al Ministero per gli Affari esteri, arruolatosi nell’esercito polacco, venne catturato dai sovietici poco dopo l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939 e consegnato ai tedeschi, che lo rinchiusero in un campo di prigionia. Riuscito fortunatamente a scappare, si unì all’Armia Krajowa, l’esercito di resistenza della Polonia occupata. Nel maggio 1940 fu arrestato in Slovacchia e venne torturato per venticinque giorni dagli uomini delle SS. Fuggito fortunosamente dall’ospedale si rifugiò in una stamperia clandestina nelle campagne di Cracovia, dove rimase fino al luglio 1941, quando venne scoperta dai nazisti. Raggiunto da due membri della resistenza ebraica fuggiti dal ghetto, venne messo a conoscenza della terribile verità sul destino degli ebrei rastrellati da Hitler in tutta Europa e sulla realtà dei campi di sterminio. Per verificare ulteriormente la notizia, Karski viene incaricato di una pericolosa missione: infiltrarsi nel ghetto di Varsavia (1942) e addirittura in un campo di transito e smistamento, da cui uscì indenne. Partito per Londra con una serie di microfilm contenenti innumerevoli documenti, informò prima il governo inglese e poi quello americano sulla situazione degli ebrei. Ma, pur essendo il primo testimone diretto di quell’orrore, non riuscì ad ottenere né l’interesse sperato né un intervento da parte degli Alleati.

Karski redasse quello che è conosciuto come “Rapporto Karski”, una dettagliata informativa sulla situazione degli ebrei in Polonia e sui campi di concentramento. Il “Rapporto Karski” giunse fino al presidente americano Roosevelt e agli esponenti delle comunità ebraiche di Gran Bretagna e Stati Uniti, suscitando stupore ed incredulità. Karski presentò la sua relazione anche a giornalisti, politici, religiosi, ma non venne mai ascoltato. Dopo la guerra continuò a vivere negli Stati Uniti, dove insegnò in varie Università. Nel 1982 fu riconosciuto come Giusto tra le Nazioni. Morì a Washington nel 2000.

«Il Signore mi ha affidato il compito di parlare e scrivere durante la guerra, periodo in cui, almeno così credevo, poteva essere utile. Quando la guerra finì, appresi che i governi, i leader, gli studiosi, gli scrittori non sapevano ciò che stava succedendo agli ebrei. Erano sorpresi. L’assassinio di sei milioni di innocenti era un segreto, un ‘terribile segreto’. Poi sono diventato un ebreo. Ma sono un ebreo cristiano. Sono un cattolico praticante... La mia fede mi dice che il secondo Peccato originale è stato commesso dall’umanità: tramite commissione, o omissione, o ignoranza autoimposta, o insensibilità, o interesse personale, o ipocrisia, o spietata razionalizzazione. Questo peccato perseguiterà l’umanità fino alla fine dei tempi. Mi perseguita. E voglio che sia così.» (Dichiarazione di Karski all’International Liberators’ Conference nel 1981).

I due autori, Rizzo e Bonaccorso, hanno utilizzato come fonti la narrazione dello stesso Karski, La mia testimonianza davanti al mondo: storia di uno stato segreto, e il libro di Yannick Haenel Il testimone inascoltato. Il fumetto ricostruisce la vicenda di Karski e l’avventura di una storia che non fu creduta, forse proprio a motivo della sua incredibile crudeltà.

Maus

Autore: Art Spiegelman
Editore: Einaudi, 2000
Pagine: 292

Il celeberrimo romanzo a fumetti di Art Spiegelman è ormai una pietra miliare non solo del fumetto ma anche dell’elaborazione della memoria della Shoah. Uscito negli Stati Uniti nel 1986, valse all’autore il Pulitzer nel 1992 (il primo dato a un’opera a fumetti). Non una, ma due storie: quella rievocata dal padre ebreo polacco Vladek negli anni dell’occupazione nazista e dell’internamento nel campo di concentramento di Auschwitz, e quella del rapporto del figlio con il padre, ormai vecchio, che racconta la sua storia e passa il testimone della sua esperienza personale. Maus è un esempio significativo della trasformazione di una memoria privata in memoria collettiva, attraverso la dinamica del doppio racconto (del padre al figlio, del figlio al lettore), che prende in esame tutta l’escalation dell’orrore: dalle prime leggi razziali fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale. Inoltre Spiegelman offre un suo personale punto di vista per la rappresentazione dell’indicibile, in virtù del quale gli esseri umani assumono le fattezze di animali antropomorfi: i nazisti sono disegnati come gatti, gli ebrei come topi, i polacchi non ebrei come maiali, i francesi come conigli. Una scelta che agisce per via metaforica e allusiva sul lettore, consentendo di parlare per figure allegoriche, secondo un espediente narrativo che ha origine in Esopo. L’opzione per un disegno lineare, senza fronzoli né appagamenti estetici, risulta efficace perché non banalizza la narrazione e nemmeno trasfigura le vittime, di cui anzi sono evidenti i pregi così come i difetti.

MetaMaus

Autore: Art Spiegelman
Editore: Einaudi, 2016
Pagine: 300

Nel 2016 è apparso in edizione italiana il volume MetaMaus in cui Spiegelman parla, in una lunga intervista, del processo creativo che lo ha condotto alla realizzazione di Maus, con fotografie, disegni e sketch preparatori. L’edizione è completata da un DVD che include approfondimenti e registrazioni delle interviste effettuate da Spiegelman a suo padre.

 

Paolo Senna svolge ricerche sulla letteratura italiana dal Rinascimento al Novecento e ha al suo attivo vari saggi e diverse collaborazioni editoriali con Pearson nell’ambito della Scuola secondaria di secondo grado.