Mettere in sequenza i contenuti grammaticali

Per un’efficace riflessione sulla lingua

IDEE PER INSEGNARE

Siamo sicuri che i contenuti grammaticali proposti nei diversi ordini di scuola siano in linea con i ritmi naturali di maturazione delle strutture cognitive e linguistiche del bambino o dell’adolescente? In sostanza: gli studenti di una certa fascia scolare sono in grado di capire e acquisire i temi grammaticali che la scuola propone? Per rispondere a questi interrogativi sono state condotte alcune ricerche sul campo con esiti interessanti.

di Maria G. Lo Duca

Vorrei partire da una domanda apparentemente scontata: chi decide i temi grammaticali da trattare e la loro messa in sequenza nei diversi ordini di scuola?

La risposta è semplice

Le decisioni più generali vengono prese a livello centrale, attraverso quei documenti a tutti noti che sono le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, la cui ultima edizione risale al 2012, e le Linee guida per i licei, per gli istituti tecnici e per gli istituti professionali, che risalgono al 2010. In questi documenti, che coprono l’intera vita scolastica pre-universitaria, lo Stato fissa i traguardi generali per lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi specifici di apprendimento relativamente alle diverse discipline e ai diversi cicli scolastici. A questo punto si tratta solo di tradurre, tali indicazioni in curricolo, vale a dire in programma ragionevole e ragionato di interventi – nel senso di scelta dei temi da affrontare, di messa in sequenza di tali temi, di decisioni metodologiche, di predisposizione di materiali, di valutazione dei risultati – che i succitati documenti affidano alle scuole, e per tutte le discipline. Per esempio, nelle Indicazioni Nazionali si dice esplicitamente che esse sono «un testo aperto che la comunità professionale è chiamata ad assumere e a contestualizzare», e che ogni scuola predispone il curricolo di istituto «espressione della libertà d’insegnamento e dell’autonomia scolastica» (p. 17). Belle parole. Peccato che nella realtà dei fatti le cose vadano diversamente.

Come vanno realmente le cose

Vediamo, per esempio, che cosa succede nel campo della disciplina chiamata “Italiano”, in quel quinto e ultimo settore che le Indicazioni suggeriscono, dal titolo “Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua”. Fermerò la mia attenzione su uno solo degli indici elencati (ma il ragionamento e soprattutto le conclusioni potrebbero essere estesi a tutti gli altri), quello che riguarda il grande tema delle parti del discorso, oggi più frequentemente chiamate categorie lessicali, cui tutti i docenti e tutti i libri di scuola dedicano grande attenzione, a cominciare dalla scuola primaria. È un tema che non compare tra gli Obiettivi di apprendimento suggeriti per la fine della III classe della primaria, mentre fa la sua apparizione tra gli Obiettivi della classe V: all’uscita dalla scuola primaria i bambini devono essere in grado di «riconoscere in una frase o in un testo le parti del discorso, o categorie lessicali, riconoscerne i principali tratti grammaticali; riconoscere le congiunzioni di uso più frequente (come e, ma, infatti, perché, quando)».
Se sto alla lettera di questa indicazione, e visto che fino alla III classe non c’è alcun esplicito suggerimento su questo tema, deduco che fra la IV e la V classe della primaria i bambini devono imparare a riconoscere nomi, articoli, aggettivi, verbi, avverbi, pronomi, congiunzioni, preposizioni, interiezioni, e relative sottocategorie (almeno così viene di solito interpretato il suggerimento da parte dei docenti e dei libri di testo). Una menzione speciale meritano (chissà perché) alcune congiunzioni frequenti. Il bambino dovrà dunque essere in grado di distinguere un verbo da un nome (ma anche un nome concreto da un nome astratto, o un verbo transitivo da un verbo intransitivo), un aggettivo da un avverbio (ma anche un aggettivo qualificativo da un aggettivo numerale in tutte le sue diverse sottoarticolazioni, o un avverbio di modo da un avverbio di quantità), e così via. Di ciascuna categoria, e dunque anche sottocategoria, dovrà essere in grado di riconoscere i “principali tratti grammaticali”.

Ragionevoli dubbi

Ma qui cominciano i dubbi e le domande. Intanto, quali sono i principali tratti grammaticali delle diverse categorie? E quale l’ambito di ciascuna categoria? Per esempio, tra gli articoli, vanno considerati solo i determinativi e gli indeterminativi, o anche i partitivi (del, della, dei ecc.)? E si può esercitare una riflessione intelligente sui partitivi senza introdurre i bambini alla sottile distinzione tra i nomi numerabili (libro, pennadei libri, delle penne) e i nomi non numerabili (sangue, sabbia → del sangue, della sabbia), che manifestano dei comportamenti differenti, ma che vengono sistematicamente ignorati dalla riflessione scolastica?
E tra i pronomi, si dovranno presentare proprio tutte le sottocategorie, così come solitamente elencate nelle sistemazioni tradizionali? Dunque i pronomi personali, i dimostrativi, i possessivi, gli indefiniti, gli interrogativi, i relativi? E tra i pronomi personali, sia le forme toniche (egli, lui, noi ecc.) che le forme atone (me, lo, gli, ne ecc.)? E gli allocutivi (tu, voi, lei)? E i pronomi doppi (ce lo, se li, gliela)? E come si possono prendere in considerazione i pronomi relativi senza parlare di frasi complesse e di subordinazione? E non parlerò del verbo, sulla cui insita complessità ho già scritto, facendo delle proposte operative per la scuola primaria anche su questa rivista (Lo Duca 2018, 2019).

Inevitabili (?) conseguenze

Dunque, in mancanza di indicazioni più precise, la dicitura “parti del discorso” autorizza a trarre la conseguenza che tutta questa complicata materia vada resa “riconoscibile” ai bambini fra la IV e la V classe: e infatti questa è la conseguenza che ne traggono maestri e libri di testo, che passano in rapida rassegna tutte le categorie e le relative sottocategorie. E poiché la dicitura “principali tratti grammaticali” è troppo vaga e generica, e non è chiaro che cosa vi debba essere compreso, che cosa escluso, per non sbagliare si preferisce fare, più o meno, tutto. Immagino che la vastità della materia non possa non tradursi in una corsa contro il tempo, in una rapida carrellata di forme e relative etichette (i nomi con cui le forme vengono designate), spesso sintetizzate in tavole e paradigmi che, nei casi peggiori, si chiede agli allievi di memorizzare. Il ritmo di presentazione deve essere veloce, anche perché la riflessione sulla lingua riguarda giustamente anche altri importanti settori della grammatica (la formazione delle parole, la sintassi, la testualità), come le stesse Indicazioni non mancano di ricordare.
Poi, alla fine della III media, le Indicazioni riprendono questo tema usando praticamente le stesse parole (tranne quelle che ho volutamente lasciato e cancellato): i ragazzi dovranno «riconoscere in un testo le parti del discorso, o categorie lessicali, e i loro tratti grammaticali». Dunque si deduce che il suggerimento sia:
a) di lavorare non più su frasi ma su testi, nella convinzione forse che questo renda il compito più complesso, e quindi adatto a ragazzi più maturi;
b) di passare in rassegna non solo i “principali” tratti grammaticali, ma tutti.
E poiché questo è già stato fatto nella primaria, si prospetta per i malcapitati alunni una noiosa ripresa degli stessi temi già affrontati rapidamente nella primaria, una nuova carrellata di categorie e sottocategorie, già più o meno note.

Tentativi di delineare sillabi coerenti

Tutto questo per dire che i documenti ministeriali non aiutano a delineare un curricolo sufficientemente dettagliato di riflessione sulla lingua. Ma questo non assolve i docenti, e soprattutto gli autori di libri di testo, visto che non mancano i tentativi di delineare dei sillabi coerenti relativi a tutto il primo ciclo, e che dunque distribuiscono la materia grammaticale almeno negli otto anni previsti dall’iter scolastico (per esempio Colombo 2012 e 2013; Lo Duca, Provenzano 2012; Rovida 2014; Notarbartolo 2016); altre proposte riguardano invece la sola scuola primaria (Morgese 2007, 2017; Ujcich 2011; Lo Duca 2018). Dietro ciascuna di queste opere ci sono ricerche e sperimentazioni condotte direttamente nelle classi: ho partecipato direttamente a due di questi tentativi, dunque dedicherò l’ultima parte di questo intervento a illustrarne, diciamo così, la filosofia.

Il primo tentativo (Lo Duca, Provenzano 2012), è il frutto di un lavoro di ricerca pluriennale coordinato da chi scrive, ma di cui i veri autori sono un gruppo di docenti della provincia di Bolzano. In quella occasione il percorso è stato il seguente: selezione dei contenuti grammaticali da affrontare in classe, sulla base delle Indicazioni Nazionali, dei libri di testo adottati nelle diverse realtà, dell’esperienza – disciplinare, didattica – dei partecipanti; riesame di tali contenuti alla luce della grammatica moderna; messa in sequenza dei contenuti selezionati nelle 8 classi del primo ciclo, sulla base della supposta difficoltà/accessibilità dei temi nelle diverse fasce scolari; ideazione di attività e predisposizione di materiali (esercizi, glossario); sperimentazione nelle classi.
Era emerso prepotente in quel lavoro il problema della progressione: non potendo sicuramente contare né su Indicazioni dettagliate (abbiamo visto quanto siano vaghe e generiche), né su un percorso grammaticale lungo, che comprenda non solo gli 8 anni del primo ciclo, ma anche i 5 anni di scuola superiore – quindi biennio e triennio – ci siamo trovati nella necessità di:
a) scorporare la materia grammaticale e metterla in sequenza secondo un piano presunto di difficoltà crescenti;
b) comprimere troppe cose soprattutto nella fascia mediana (i 3 anni di scuola media), perché i docenti del gruppo non se la sono sentita di ignorare del tutto certi temi, che sicuramente sarebbero stati dati per noti nelle fasce scolari superiori.

Dopo quella esperienza ho continuato a riflettere sul tema del curricolo grammaticale, alla luce di certe sollecitazioni che venivano dal filone di studi sull’acquisizione/apprendimento delle lingue seconde. Alcuni teorici di quel campo disciplinare (Manfred Pienemann in primo luogo) hanno insistito sulla necessità, nel predisporre un piano di insegnamento di una lingua, di tenere nella massima considerazione il livello di maturazione cognitiva e linguistica raggiunto dall’allievo. Si tratta in poche parole di capire quando l’allievo è pronto a recepire con successo una proposta dell’insegnante, in modo da proporre l’insegnamento delle strutture al momento giusto.
Trasportate nel campo disciplinare che qui ci interessa, vale a dire la riflessione sulle forme e sulle strutture della lingua materna, questo richiamo ha sollevato in me una miriade di dubbi: siamo sicuri che la progressione dei contenuti grammaticali proposti dalla scuola sia in linea con i ritmi naturali di maturazione delle strutture cognitive e linguistiche del bambino/adolescente? Che non scavalchi le possibilità degli studenti, proponendo troppo presto temi di fatto inaccessibili? Insomma, sono in grado gli studenti di una certa fascia scolare di “vedere” e processare i temi grammaticali che la scuola propone? Perché è di tutta evidenza che non posso attivare una riflessione sul valore temporale dei diversi tempi dell’Indicativo se i bambini non capiscono la differenza tra Maria scrive una lettera e Maria ha scritto una lettera; e non posso lavorare sul valore modale delle diverse forme del verbo se i bambini non capiscono la differenza tra Marco viene stasera, Marco venga stasera, Marco verrebbe stasera.

Ricerche sul campo

Per tentare di cominciare a rispondere a queste domande, evidentemente molto impegnative, ho condotto negli anni alcune ricerche sul campo (per esempio sul riconoscimento del nome, dell’articolo, del verbo e di vari tempi e modi del paradigma verbale, della struttura della frase e di alcuni costituenti sintattici, delle parole semplici e complesse ecc.) assieme a molti collaboratori, per lo più miei laureandi del corso di laurea magistrale in Linguistica dell’Università di Padova, o docenti in servizio nelle scuole. I risultati di queste ricerche sono stati pubblicati in vari lavori (Lo Duca 2012a, 2012b, 2016, 2017), e soprattutto in un libro (Lo Duca 2018) in cui provo a definire un curricolo di riflessione sulla lingua per la scuola primaria. In questo caso ho sfrondato radicalmente il programma grammaticale della scuola primaria proprio sulla base dei risultati delle ricerche effettuate (per esempio tra i modi del verbo si lavora solo sull’Indicativo), immettendo per converso temi tradizionalmente ignorati dalla scuola ma sicuramente alla portata dei più piccoli (per esempio, i diversi valori temporali e aspettuali del tempo Presente dell’Indicativo).

Quali sono le conseguenze?

Infine: questo lungo lavoro di ricerca mi/ci ha fatto toccare con mano che una presentazione semplificata e veloce di temi complessi, illustrati più o meno con le stesse parole e con gli stessi esempi nelle diverse fasce di età, senza alcuna progressione seria che vada, con la necessaria lentezza, dal più facile al più difficile, genera nella maggior parte degli studenti incomprensioni e/o gravi fraintendimenti: le formulette grammaticali imparate a memoria e ripetute a ogni nuova ripresa dell’argomento (“il pronome sta al posto del nome”, “l’Indicativo è il modo del certo e del reale, il Congiuntivo è il modo dell’incerto e dell’ipotesi”, “il tempo presente indica un’azione che sta avvenendo sotto i nostri occhi”) ingabbiano la naturale competenza metalinguistica degli allievi, fornendo loro degli occhiali che, semplificando la realtà della lingua, ne appannano la ricchezza e la profondità, e la deformano. Con le formulette imparate a memoria, utili a svolgere, di volta in volta, gli inevitabili esercizi ma mai verificate nel confronto con la lingua reale, i nostri ragazzi attraversano tutto il corso di studi, e arrivano all’università, essendo del tutto sguarniti sia dei concetti di base della disciplina (le formulette, anch’esse, sono ormai state dimenticate nell’ultima fase della scuola superiore), sia della capacità di riflettere in modo autonomo sulla lingua, interrogando la propria naturale competenza linguistica. Le irritazioni dei docenti universitari, che denunciano in lettere pubbliche l’ignoranza diffusa dei giovani in fatto di lingua e grammatica italiana, hanno a che fare con tutto questo.

Bibliografia

 

Maria G. Lo Duca: è stata professore ordinario di Lingua italiana e Didattica dell'italiano presso l’Università degli Studi di Padova. I suoi interessi di ricerca riguardano la descrizione dell'italiano contemporaneo; l'acquisizione e l'apprendimento della lingua italiana, sia come lingua materna, sia come lingua seconda; la didattica della grammatica. Su questi temi ha scritto una serie di monografie (tra cui si segnalano Creatività e regole, Esperimenti grammaticali, Lingua italiana ed educazione linguistica, Sillabo di italiano L2) oltre a numerosi saggi comparsi in note riviste e volumi collettivi.

Ti è piaciuto l’articolo?