Matematica al servizio dell’arte

Teatro romano

STEM E ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Matematica 

Prima o poi, in classe, la domanda arriva sempre: a che cosa serve la matematica? Una risposta inaspettata è che serve anche ad affrontare e risolvere problemi legati ai beni culturali, dal restauro alla modellizzazione di opere d’arte. In questo articolo, una breve panoramica dei rapporti tra due ambiti apparentemente tanto lontani.

Francesca E. Magni

Quante volte in classe succede di sentire la domanda: “A che cosa serve la matematica?”. Una risposta possibile è anche questa: “Serve all’arte”. All’Accademia dei Lincei, il 15 e 16 dicembre 2015 si è svolto un convegno dedicato all’esplorazione delle connessioni esistenti tra i modelli matematici e le problematiche legate ai beni culturali. L’argomento è molto interessante sia a livello teorico sia pratico, in particolare per gli studenti che devono orientarsi per il loro futuro studio universitario. E a maggior ragione in Italia, Paese che ha il maggior numero di siti riconosciuti dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità. Vediamo quindi di capire in dettaglio con alcuni esempi perché la matematica può essere utile anche in questo contesto.

Adottare strategie rigorose

La matematica è utile per esempio al restauro perché insegna a risolvere problemi complessi adottando strategie rigorose. “L’impostazione moderna del restauro richiede un approccio strategico, che preveda di operare in maniera logica, programmatica e sulla base di una conoscenza profonda del contesto del problema da affrontare” sostiene Mauro Matteini del Consiglio Scientifico dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Prendiamo la conservazione dei marmi: l’approccio convenzionale si concentrava solo sull’applicazione di barriere protettive idrofobe, in grado di proteggere le lastre di marmo dagli agenti ambientali veicolati dall’acqua (sostanze acide o saline, componenti microbiologiche, polveri sospese ecc.). Sul lungo periodo, però, questo approccio si è rivelato fallimentare, perché sono sorti inconvenienti imprevisti come l’annerimento in tempi più brevi delle superfici trattate. Così, dalla metà degli anni Novanta si è incominciato a cercare soluzioni che tenessero conto non solo del problema-base ma anche di quelli legati al contesto. Per esempio, sono stati messi a punto procedimenti innovativi che rispettano la natura idrofila dei marmi e delle pietre calcaree, preservandole così nel tempo. E tutto con l’aiuto della matematica, sia in termini di “mentalità”, che ha permesso di trovare soluzioni migliori e più articolate, sia in termini di strumenti, come algoritmi operativi concreti per risolvere i problemi.

Un modello di durabilità della pietra

Un altro esempio legato ai marmi riguarda il modello matematico della durabilità del materiale lapideo del complesso archeologico del teatro romano di Aosta, realizzato da un gruppo di lavoro costituito da ricercatori del CNR, dell’Università di Torino e della Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta.
“Un materiale lapideo esposto in ambiente esterno è soggetto all’azione simultanea di diversi fattori abiotici e biotici che con meccanismi di tipo fisico e chimico interagiscono con il materiale stesso modificandone progressivamente lo stato di conservazione. Intervalli critici o valori di soglia dei vari agenti, loro sinergie e opposizioni, insieme alle caratteristiche specifiche del litotipo e alla sua posizione geografica e climatica, instaurano un equilibrio dinamico in cui la pietra, per durare nel tempo, deve possedere una resistenza superiore all’azione degradante dei fattori ambientali” sostengono i ricercatori nella loro relazione al convegno all’Accademia dei Lincei. Nel loro modello compaiono parametri matematici - per esempio la porosità - che contengono altri sottoparametri, quali la distribuzione dimensionale dei pori, il loro grado di interconnessione, la porosità efficace, e di conseguenza l’assorbimento di acqua per capillarità, l’indice di saturazione, l’indice di evaporazione ecc. Hanno poi creato una matrice numerica di “durabilità dinamica” che sta alla base del modello perché serve a prevedere come il sistema delle variabili possa influire sulla durabilità del materiale. Grazie a un sistema di codici di interazione causa-effetto, costituiti da numeri che vanno da 0 (nessuna interazione) a 5 (interazione critica) è possibile valutare quantitativamente il loro impatto.

Caravaggio

Il metodo degli elementi finiti

Quando un sistema di equazioni differenziali non è risolvibile con le usuali tecniche di analisi, si ricorre a un metodo di analisi numerica denominato “degli elementi finiti”: è un procedimento che approssima le soluzioni delle equazioni “discretizzando” le equazioni stesse cioè trasformandole in un sistema di equazioni algebriche.
I campi di applicazione di questo metodo matematico sono tantissimi e anche i beni culturali se ne sono appropriati per ottimizzare le strategie di conservazione di opere di enorme pregio come per esempio l’Annunciazione di Antonello da Messina, la Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio e il cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello. Un gruppo di ricerca dell’Università La Sapienza, dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma e della Libera Università di Bolzano ha analizzato lo stato di tensionamento dei tre quadri, cioè lo stato di tensione e deformazione delle tele. Dopo aver applicato dei piccoli carichi sulla superficie posteriore dei dipinti e aver registrato i rispettivi valori degli spostamenti dei punti sulle tele, li hanno inseriti nel modello matematico per individuare e poter prevedere il comportamento delle zone di tensione non uniforme, pericolose per la corretta e duratura conservazione dell’opera. Se infatti la tela presenta delle zone più o meno tese di altre, aumenta il rischio di rottura o danneggiamento della stessa e della pittura: è quindi importante riuscire a monitorarle per controllarle e intervenire se necessario. Applicare la modellizzazione matematica in questo frangente è molto più difficoltoso rispetto ad altri ambiti perché per evitare di danneggiare il campione osservato non si possono raccogliere molti dati sul comportamento del materiale, soprattutto quelli derivanti dalle prove meccaniche distruttive, che per ovvie ragioni non si possono mai avere.

Simulare le circostanze critiche

Lo stesso metodo è stato applicato anche a due importanti opere statuarie come la Pietà Rondanini di Michelangelo posta di recente nella nuova sede milanese del Castello Sforzesco e il Discobolo Lancellotti del Museo Nazionale Romano. In entrambi i casi, il modello matematico è stato utile per simulare le possibili circostanze critiche, tramite l’analisi delle caratteristiche strutturali della statua, evitando quindi di danneggiarla, grazie alla natura “teorica” del test. È stato così possibile progettare e realizzare il nuovo basamento della Pietà in maniera antisismica anche isolando l’opera dall’effetto ripetuto delle vibrazioni dovute al passaggio della metropolitana non lontana dal luogo di esposizione. Nel caso del Discobolo si è arrivati a una valutazione ottimale del livello di rischio nella movimentazione, sconsigliandone assolutamente il trasporto.

Ibni Sharrum

Modelli 3D

“L’evoluzione delle tecnologie per la costruzione di modelli 3D di opere d’arte o monumenti (digitalizzazione o scansione 3D) ha raggiunto livelli di qualità, velocità di realizzazione e semplicità di uso del tutto inaspettati fino a pochi anni fa” ci spiega Roberto Scopigno, direttore dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del CNR di Pisa. Dall’applicazione di queste tecniche innovative alla ricerca storica, al restauro, alla fruizione museale ecc. è nato il settore delle Digital Humanities, che utilizza per esempio modelli tridimensionali creati al computer come importante supporto per lo studio e il restauro di opere d’arte. Tali modelli matematici sono quindi adottati come nuovi e utili strumenti di lavoro al servizio degli operatori dei beni culturali. Avere la copia esatta di un’opera da poter maneggiare può essere utile per sperimentare tecniche di restauro e di analisi che con l’originale potrebbero risultare rischiosi: si pensi alla possibilità di sezionarla o di ridurne le dimensioni per studiare il suo posizionamento all’interno del progetto di una mostra ecc. Oppure, come nel caso del piccolo cilindro di Ibni- Sharrum alto solo 4 centimetri, considerato un reperto mesopotamico rarissimo, si è ottenuta una sua riproduzione ingrandita di ben 50 volte, che è stata esposta al Louvre in una esibizione temporanea; è stato così possibile ammirare tutti i particolari scolpiti sulla sua superficie, che nella copia è stata “srotolata” in modo da ottenere un rettangolo di circa 2x4 metri di altezza e lunghezza. Altri esempi? La creazione di un prototipo tridimensionale della statua romana in bronzo dell’Arringatore del Museo Archeologico di Firenze o del dipinto della Madonna del Belvedere di Raffaello. Si tratta di una vera propria fabbricazione digitale – grazie alle stampanti 3D – che permette di concretizzare i modelli matematici visibili in precedenza solo sullo schermo di un computer. Le figure digitali diventano così copie fisiche dell’opera d’arte di un livello di accuratezza eccellente, utilizzabili per tutti gli scopi previsti dalla ricerca museale.

 

Francesca E. Magni è laureata in Fisica e pubblicista. Insegna matematica e fisica al liceo. Scrive racconti scientifici.