Per una scuola aperta, inclusiva, democratica

La scuola diventa una comunità

CLASSE DINAMICA

La scuola di oggi deve essere aperta e inclusiva. Un’istituzione in grado di dialogare con la realtà e di trasformarla in una comunità educativa, di accogliere la complessità e farne uno strumento di crescita. Di creare avventure, cognitive ed emotive, per imparare di più, e meglio. Una riflessione di Marco Rossi Doria e Enrica Ricciardi, tra gli autori di Scuola Aperta, una guida che affronta l’inclusione, il fine ultimo della Classe dinamica, da molti punti di vista.

di Marco Rossi-Doria ed Enrica Ricciardi

Tutte le volte che un bambino entra nelle aule scolastiche, porta con sé un corredo di aspettative personali e familiari, un ambiente culturale e sociale, diverse capacità cognitive, differenti esperienze, un mondo di fantasia ed emozioni. Ci risulta immediato e quasi spontaneo associare l’immagine di un simile retroterra all’ingresso di bambini provenienti da altri Paesi, ma in realtà questo scenario riguarda tutti i bambini che iniziano l’anno scolastico e affrontano l’esperienza comune di condividere una forma specifica di apprendimento.

Quando parliamo di scuola aperta ed inclusiva, dobbiamo pensare perciò ad un reticolo di relazioni complesse, che riguardano gli individui ed insieme la società.
Una scuola aperta ed inclusiva è una comunità capace di coniugare le molte variabili di cui è composta: le famiglie, gli insegnanti, il dirigente, le figure adulte presenti a scuola, gli allievi...
Questo primo contesto, che si propaga come un anello concentrico fino a comprendere gli educatori (coach sportivi, capi-scout, educatori del privato sociale, dell’associazionismo, dei dopo-scuola, delle parrocchie, eccetera), si allarga poi in forme di cooperazione molto più grandi e complesse, che prendono in considerazione i sistemi territoriali (urbani e non urbani), comunitari, sociali, nazionali e oltre. Solo la sinergia tra questi differenti contesti e le figure coinvolte può portare ai cambiamenti organizzativi e culturali necessari a permettere la partecipazione sociale e l’apprendimento di ciascun bambino, nessuno escluso. Perciò è necessario convincersi che il perimetro delimitato dalle mura scolastiche è solo una parte del cantiere formativo, e che si impara di più e meglio quando le scuole aprono la loro didattica su giardini e campi, su piazze e vie delle città che, a loro volta, diventano comunità educative. Si impara di più e meglio se si offrono occasioni di apprendimento molteplici, frequentando con continuità i musei, i siti archeologici, i centri urbani, i parchi nazionali e regionali, le biblioteche, gli archivi, i luoghi di scoperta scientifica, i luoghi della musica, gli ambienti della produzione di beni e di servizi. Come parte della scuola ordinaria, non come eccezione o “fuori-scuola”.

La scuola è aperta e democratica perché “persone tra loro sconosciute, di diversa condizione e Paese si trovano a convivere” attraversando spazi geografici, lingue e culture; è aperta e democratica perché coniuga sapere globale e saperi tradizionali; è aperta e democratica grazie all’opera dei docenti che aiutano bambini e ragazzi a raggiungere competenze spendibili nel corso della vita; è aperta ed inclusiva tutte le volte che opera per eliminare gli steccati, le differenze e le molte e diverse disuguaglianze. Ciò significa che sono necessarie capacità di integrazione e di rivalutazione delle differenze intese come risorse. Si tratta di una politica educativa e culturale che richiede di ripensare profondamente pratiche didattiche, stili di insegnamento e formazione docenti. Ma ciò che serve di più è riconoscere le diseguaglianze e le diversità degli alunni, nonché i persistenti fenomeni di droping-out e di povertà di apprendimento; individuare i rischi di fallimento formativo e lavorare per contrastare precocemente l’esclusione educativa entro il contesto-scuola e fuori; mobilitare le energie dei bambini e ragazzi stessi, in modo creativo, secondo le diverse culture di appartenenza e i differenti stili cognitivi di ciascuno.
Come molti educatori e docenti sanno per esperienza, l’effettivo possesso e sviluppo di competenze avviene più facilmente se si adottano le metodologie laboratoriali di tipo attivo anziché la didattica trasmissiva, se si inventano “avventure”, cognitive ed emotive che servono a imparare e a ri-creare un ambiente comunitario entro il quale convivono regole e libertà. Dedicare tempo alla didattica viva, all’ascolto dei bambini protagonisti consapevoli della loro crescita, decentrare la nostra prospettiva sul loro punto di vista, è una visione pienamente interna alla funzione docente e non è mai una perdita di tempo, ma un investimento di energie che genera reciproca conoscenza. Più precisamente: se le domande dei piccoli diventano anche le nostre domande di educatori, possiamo creare dei ponti di comunicazione e modificare il nostro essere a scuola. Ma alla complessa e delicata funzione docente (che richiede spesso di tornare ai fondamentali del mestiere) va dato un riconoscimento culturale e sociale, perché sulla loro competenza si basa la quotidiana costruzione della cittadinanza e l’inclusione di ogni alunno.

Oggi la scuola è “in presenza” in ogni angolo del pianeta, e contemporaneamente viaggia in rete raggiungendo ogni luogo per dare a tutti i bambini i fondamenti del sapere universale nelle diverse discipline nelle quali è organizzato il sapere umano.
È una scuola realmente aperta se e quando accoglie ciascun alunno entro una dimensione formativa che dà slancio alle sue potenzialità, sostenendo le parti deboli delle condizioni di partenza e valorizzando l’unicità della persona. Questo indirizzo universale è stato di recente ribadito dall’ONU: “tutti i minori hanno diritto ad apprendere, sperimentare, sviluppare capacità, talenti e aspirazioni; devono poter, dunque, avere accesso all’offerta educativa di qualità e se poveri, devono poter essere destinatari di forti politiche pubbliche compensative e inclusive, a scuola e nella vita”.
In questa prospettiva bisogna purtroppo riconoscere che la scuola davvero aperta, pur cresciuta in modo straordinario, non si è realizzata appieno in ogni parte del mondo, nemmeno in Italia.
Tuttavia, la scuola aperta a tutti è stata forse la più importante conquista dell’umanità perché ha avvicinato tra loro le varie parti del mondo, come sancisce la Convenzione ONU del 1989 che definisce il sapere universale un bene comune dell’umanità, diritto di ogni nascituro e di ogni persona che abbia meno di 18 anni. Ciò significa che ogni sistema scolastico e ogni docente è chiamato a misurarsi con le sfide comuni in tema di educazione e apprendimento. Sono molte e difficili perché presuppongono una visione integrata di progresso ed equità sociale dove si tutelano i diritti di un’educazione di qualità per tutti e pari opportunità di fruizione.
Ma se per apprendere, la nostra scuola di base segue le Indicazioni Nazionali per il I ciclo d’istruzione obbligatoria del 2012, e le importanti recenti pagine riunite nel documento MIUR sui “nuovi scenari” 2018, serve che una scuola aperta e comunitaria chiami in causa la lunga memoria del sapere umano. Serve cioè che dedichi più tempo e risorse alle lezioni di storia e di geografia, le quali ripercorrono la trasformazione dei bisogni dell’uomo, le dinamiche sociali dei popoli e le molte storie dell’umanità attorno alla comune preoccupazione per la sostenibilità della biosfera come condizione stessa dell'esistenza umana sul pianeta. È il grande spazio tempo della biosfera terrestre, dunque, il grande tema trasversale capace di chiamare in causa ogni ambito umanistico e scientifico secondo il paradigma della complessità.

Come ha detto Edgar Morin, auspicando un nuovo umanesimo, si tratta di pensare alla formazione: “per valorizzare e connettere le diversità individuali e collettive della specie umana, senza indebitamente appiattirle e dissolverle... mobilitando tutta la varietà delle esperienze umane innescando un nuovo fecondo processo di co-evoluzione con il pianeta Terra, nostra unica patria vagante nell’immensità del cosmo”.

Pertanto una scuola inclusiva, attenta a migliorare ogni dimensione dello sviluppo umano, è chiamata oggi a sorreggere e favorire concretamente la visione ambiziosa di un futuro da proteggere, come ci raccomandano i 17 punti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Le novità Pearson in cui trovare la Classe dinamica!

Scintille e Mille scintille

Un progetto dinamico, per una didattica inclusiva e su misura in tre step: attività di lancio, attività laboratoriali e verifiche formative con attività di potenziamento personalizzato in guida.

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ON Accendi la mente

Un progetto che si basa sul modello didattico della Classe Dinamica ed è nato dal desiderio di fornire uno strumento coinvolgente, ricco, ma facile da usare.

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Pop English

Un progetto fortemente inclusivo ed educativo, Pop English è il primo corso di inglese che propone spunti di metodologia Classe Dinamica.

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Accendi l'estate
Idee per fare e ripassare

Non i soliti compiti per le vacanze! Pagine di esperienze si alternano a pagine di ripasso, con speciali pagine gioco attivano la logica con proposte ludiche linguistiche e matematiche.

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Marco Rossi-Doria, maestro elementare dal 1975, ha insegnato nei quartieri difficili di Roma, Napoli, negli Stati Uniti, in Kenya, in Francia. Primo maestro di strada, ha co-fondato il progetto Chance - scuola pubblica di seconda occasione. Esperto dei processi di apprendimento e delle politiche di inclusione educativa, ha alternato il lavoro a scuola e per strada con l’impegno nelle istituzioni. Dal 2011 al 2014 è stato Sottosegretario di Stato all’Istruzione e nel 2015 è stato Assessore a scuola, gioventù e periferie nella giunta di Roma capitale. Oggi è in pensione e guida l’Associazione IF – ImparareFare che si occupa di lavoro, avvio d’impresa e tirocini di qualità per contrastare disoccupazione e illegalità nei quartieri difficili di Napoli. È co-fondatore del Forum Disuguaglianze e diversità. È autore, tra le numerose pubblicazioni, dei libri Di mestiere faccio il maestro, La scuola deve cambiare, Napoli centrale, Con l’altro davanti, La scuola è mondo.
Ha ricevuto il Premio Unicef Italia per l'infanzia (2000). Medaglia d'oro del Presidente della Repubblica per la cultura, l’educazione e la scuola (2001).

Enrica Ricciardi, docente di italiano per molti anni, ha insegnato alla scuola primaria e alla scuola secondaria di primo e secondo grado. Supervisore e docente del Laboratorio di didattica della letteratura italiana presso la SSIS Veneto, ha insegnato anche presso i i P.A.S. e i T.F.A. indetti dall’Università degli Studi di Padova. Dal 2009 al 2013 ha partecipato ai seminari di lavoro presso la scuola autori Invalsi, e nel 2012 è stata chiamata dal MIUR come consulente per la revisione delle Indicazioni nazionali per il curricolo. Come formatore esperto del MIUR ha tenuto numerosi corsi di aggiornamento e formazione sull’educazione linguistica e sulla didattica della lettura, con particolare riferimento alla letteratura per ragazzi. È autrice di pubblicazioni sull’educazione alla lettura.