
Formazione, valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo d’istruzione
Rilanciata l'azione
DIDATTICA PER COMPETENZE
Nel corso dell'anno scolastico 2014/2015 il MIUR ha condotto una sperimentazione dei modelli proposti per la certificazione delle competenze. Gli esiti del monitoraggio di tale iniziativa sono stati raccolti nel "Rapporto di monitoraggio sulla certificazione delle competenze" di cui proponiamo un'ampia analisi commentata, a cura di Giovanni Marconato. L'autore si interroga sui dati emersi e su come la scuola possa sciogliere i nodi che ancora la separano dal divenire un dispositivo efficace ed efficiente fortemente rinnovato nei suoi scopi e nelle sue pratiche.
Sulla strada delle competenze si va avanti con decisione: non si tratta di un fuoco di paglia sottoposto al capriccio della burocrazia ministeriale o del sottosegretario di turno: le competenze sono sempre più in agenda delle scuole del primo ciclo.
Negli ultimi mesi del passato anno scolastico (la Circolare ministeriale è di febbraio 2015) un numero significativo di scuole (quasi 1500) ha partecipato alla sperimentazione sollecitata dal ministero per testare il modello proposto ed è ora disponibile nel sito del MIUR un ampio rapporto sulla sperimentazione stessa. Sulla base dei suoi esiti si lavorerà per il consolidamento e la generalizzazione delle pratiche di formazione, di valutazione e di certificazione.
Le prime sperimentazioni hanno messo in luce non poche criticità, alcune a suo tempo evidenziate nell’analisi della circolare di febbraio e riconducibili, sostanzialmente, ai differenti, se non divergenti, presupposti concettuali delle “competenza” e delle “discipline” che si traducono in differenti pratiche lungo tutto il loro “ciclo di produzione” e negli assetti normativi di governo, criticità che non sembrano ancora risolte e continuano a disorientare l’azione sotto la spinta di indicazioni contradditorie.
Un’osservazione iniziale: dalla lettura attenta (e anche tra le righe) del Rapporto emerge la sensazione che le prime riflessioni sulle criticità fatte dal Comitato Scientifico Nazionale e rilevate nel monitoraggio tradiscano una forte inerzia di pensiero, troppo appiattito sui paradigmi (impliciti ed espliciti) della scuola attuale che mal si sposano con la carica innovativa e dirompente dell’approccio per competenze.
È evidente che se con le competenze cambiano tante cose (concetto ben esplicitato nelle Indicazioni, nella Circolare per la certificazione e nelle associate line guida oltre che nel report sulla sperimentazione), tante cose non possono rimanere come sono e pensare di risolvere tutto con un “semplice” cambiamento operativo della didattica e delle tecniche di valutazione, si affronta solo una piccola parte della questione. Sempre che non si intenda dare una lettura debole al costrutto di competenza ed un’applicazione di facciata nell’ordinamento scolastico.
È indispensabile, quindi, un'azione decisa e di rottura con tanti schemi concettuali e con tante pratiche di una scuola che ruota attorno alle discipline. Questo non vuol dire abbandonare le discipline (non esiste una didattica senza "contenuti" disciplinari) ma non assumere queste come criterio ordinatore dell'organizzazione della didattica e della scuola.
Cosa emerge dal report del monitoraggio della sperimentazione
L'ampio rapporto rilasciato dal Comitato Scientifico nazionale per le Indicazioni Nazionali mette in luce le tematiche su cui è necessario lavorare nel prosieguo della sperimentazione per poter mettere a sistema un dispositivo efficace ed efficiente di una scuola non solo orientata alle competenze ma, soprattutto, una scuola fortemente rinnovata nei suoi scopi attraverso il rinnovamento delle sue pratiche. La competenza come chiave di volta per il miglioramento del sistema.
Il Rapporto, nelle sue premesse culturali, ribadisce alcune idee forti:
- la funzione importante delle competenze per l’arricchimento delle didattiche e delle risorse con cui gli studenti vengono attrezzati a scuola;
- la sostanziale diversità delle pratiche formative e valutative di una scuola orientata alle competenze rispetto a quella orientata alle discipline;
- la necessaria interazione ed integrazione tra discipline e competenze;
- la necessità di una formazione degli insegnanti che sia strutturata, consistente e continua come condizione ineliminabile del cambiamento.
Le tematiche poste ad oggetto della seconda fase della sperimentazione e su cui si sollecita un’ulteriore riflessione da parte delle scuole sono:
- la correlazione tra discipline e competenze trasversali, tra la tentazione di vederle sinonimi o alternative. Oltre gli aspetti concettuali, l’invito è di trovare anche soluzioni operative per impostare l’azione didattica che ha, comunque, il fulcro sul docente che rappresenta la disciplina;
- i descrittori delle competenze da utilizzare come catalizzatori della didattica e che rappresentano i contesti per la valutazione e la certificazione. Il riferimento dovrebbe essere alle competenze chiave europee oppure al profilo dello studente (competenze “italiane”). Secondo gli estensori del rapporto le competenze europee sono più comprensibili per i non addetti ai lavori di quelle “italiane” ma fanno notare che queste sono declinate in modo essenziale e generico e adottandolo si porterebbe essere portati ad assumere un approccio concettualmente e operativamente riduttivo alle competenze. La pratica valutativa delle competenze porta ad utilizzare "giudizi" qualitativo-descrittivi e questo contrasta con le disposizioni di legge (legge 169/08 e DPR 122/09) che obbligano a giudizi quantitativo-numerici;
- la ridondanza e complessità di alcune formulazioni di alcune competenze la cui semplificazione richiederebbe la revisione delle Indicazioni nazionali. Vero è che le Indicazioni Nazionali sono destinate agli addetti ai lavori mentre la certificazione è destinata a genitori e studenti;
- la certificazione delle competenze e gli esame di stato potrebbero essere visti come formalizzazione degli esiti del percorso scolastico ridondanti e alternativi comportando un consistente spreco di risorse.
Per la seconda fase della sperimentazione il MIUR pone queste finalità con lo scopo di fornire risposte scaturite dalla pratica alle questioni chiave. Vedremo nella sezione successiva le questioni concettuali ed operative associate perché i tranelli sono numerosi:
- generalizzare le pratiche che portano alla certificazione delle competenze coinvolgendo tutte le scuole, tutte le classi e tutti gli insegnanti;
- adeguare la normativa per la valutazione degli esiti disciplinari e la certificazione delle competenze. Il tema è oggetto di delega nella legge 107 attraverso la “revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo di istruzione, mettendo in rilievo la funzione formativa e di orientamento della valutazione, e delle modalità di svolgimento dell’esame di stato conclusivo del primo ciclo”;
- armonizzare il primo e secondo ciclo d’istruzione sulla base di un modello comune di certificazione;
- definire il ruolo delle competenze chiave europee nei descrittori delle competenza da certificare;
- realizzare un vasto e prolungato piano di formazione.
Le criticità di sistema da risolvere
Lavorare per competenze non è facile per la complessità intrinseca del costrutto, per il transfer negativo che i modelli concettuali che guidano la didattica delle discipline esercita sui nuovi modelli richiesti dalla didattica delle competenze, per l’ambiguità e la contraddittorietà della normativa che regola l’insieme delle pratiche scolastiche vecchie e nuove e per l’organizzazione della scuola e della didattica. Una facilitazione all’insediarsi di buone pratiche di una scuola per le competenze potrebbe di certo essere data da alcuni dei provvedimenti che, stando a quanto riportato nel report di monitoraggio, sono già all’attenzione degli organi preposti. Li evidenziamo brevemente prima di passare alla trattazione delle questioni più importanti.
- Competenze vs. discipline
- Una consistente formazione degli insegnanti
Competenze vs. discipline
Un'ambiguità di fondo va risolta perché un quadro, anche normativo, poco chiaro quando non addirittura ambiguo, ostacola un'azione efficace. Questa ambiguità riguarda lo status delle discipline e delle competenze. Il focus dell'azione didattica devono essere le discipline o le competenze? Anche se concettualmente i due costrutti coesistono ed è facilmente definibile la loro interdipendenza, operativamente il focus deve essere unico, diversamente si avrà un'azione incerta, inefficace e con spreco di risorse. L'orientamento ministeriale pare essere a favore delle competenze ma le Indicazioni nazionali sono strutturate attorno alle discipline. I "traguardi", che sono dichiarati essere i criteri per la valutazione e la certificazione delle competenze, sono declinati per discipline e non riconducibili con immediatezza alle competenze. Averli strutturati come associati alle discipline non fa altro che rinforzare la percezione della centralità della disciplina e la subalternità della competenza. Per alcune competenze, quelle più evidentemente non riconducibili a discipline, non è agevole identificare i traguardi. La coesistenza di esame di stato e certificazione delle competenze fa percepire, ma anche rende necessario, un surplus di lavoro e, abitualmente, viene ritenuto inutile e oneroso adempimento amministrativo quello per le competenze. La presenza dei test standardizzati OCSE PISA e INVALSI chiaramente posizionati su discipline e la rilevanza degli esiti di queste rilevazioni nella valutazione (non solo sociale) delle scuole e degli insegnanti porta a dare valore anche simbolico alle discipline.
In questo contesto la competenza sembra inserita forzosamente nel sistema. A nostro avviso gli aspetti da disambiguare sono affrontabili attraverso:
- La riscrittura dei traguardi con riferimento alle competenze e non più alle discipline (per queste bastano gli obiettivi già ben declinati nelle Indicazioni) lasciando ai team di insegnanti definire all’interno di quale insegnamento disciplinare operare per conseguirli;
- La specificazione di criteri di valutazione delle competenze ad un livello di maggior dettaglio di quanto non faccia già il "traguardo" disciplinare specificando, ad esempio, degli "elementi" di competenza, assimilando i traguardi a "unità", e/o specificando alcuni contesti in cui le prestazioni dovrebbero essere rese. Oppure indicando, come orientamento per gli insegnanti alcuni outcom e della prestazione competente;
- L'evidenziazione, ad esempio in forma di bilancio di posizionamento e con riferimento alle competenze e a livelli di traguardo, dei risultati conseguiti da ciascun allievo al termine di ogni anno scolastico. Questa pratica avrebbe potere di feedback strutturato periodico e rappresentare utili indicazioni per l’orientamento;
- La messa in evidenza, qualora si optasse per assumere le competenze chiave europee ad ancoraggio della certificazione, della collocazione in queste dei traguardi che in ogni caso dovranno essere gli stessi esposti all'interno delle discipline;
- La definizione, nella prospettiva evidenziata nel report di monitoraggio di omogenizzare la certificazione al completamento dell'obbligo d’istruzione, di un repertorio di competenze unitario modulando secondo criteri di complessità le uscite dalla primaria, dal primo ciclo e dall'obbligo.
Una consistente formazione degli insegnanti
A livello nazionale sarebbe opportuno il lancio di un vasto piano di formazione per le competenze sul modello del recente Piano Nazionale Scuola Digitale. Un simile Piano avrebbe valore strategico ben più impattante del digitale perché va ad intercettare la mission primaria della scuola che è data dalla didattica e dall'apprendimento. In ogni scuola è necessario attivare un piano formativo annuale fatto di momenti formalizzati di formazione laboratoriale, di lavoro individuale e collaborativo tra insegnanti, di supervisione e accompagnamento e vanno create le condizioni operative perché gli insegnanti possano tutti, non una rappresentanza, dedicarsi allo sviluppo di nuovi atteggiamenti e nuove tecnicalità perché la scuola funziona solo se è una comunità. Il tempo per la formazione non deve essere residuale per cui serve stabilire le priorità per liberare tempo lavoro degli insegnanti. Troppo spesso l'episodicità della formazione e la mancanza di tempo per rendere operativa la formazione sono le cause del limitato impatto di tante azioni che sono state avviate.
Le condizioni per un’attività efficace e ordinaria
Un piano di lavoro di vasto respiro come quello che emerge dal monitoraggio e dalle indicazioni associate impone, a livello di realizzazione pratica delle attività, che sia fatta chiarezza su alcuni nodi concettuali perché il rischio di lavorare per scopi poco chiari, quando non addirittura fraintesi, è grande, come è reale il pericolo di mettersi al lavoro in situazioni organizzative che rendono oggettivamente difficile se non impossibile la realizzazione delle attività che portano alla certificazione delle competenze in condizioni ordinarie. Lavorare in condizioni straordinarie non porta ad alcun cambiamento e alla stabilizzazione delle nuove pratiche.
Nodi concettuali da affrontare
Necessità di sviluppare forme nuove di pensiero
L’assunzione delle competenze come cardine di una scuola rinnovata implica l’assunzione di riferimenti pedagogici e didattici nuovi rispetto a quelli su cui si fonda la scuola disciplinare. Tante rappresentazioni mentali del senso della scuola, ben consolidate in forma di presupposti impliciti ed espliciti, esercitano un transfer negativo e gli stessi vecchi presupposti guidano le nuove pratiche. Ecco perché è necessario intervenire su questa dimensione dell’agire didattico perché si stabilizzi un pensiero nuovo, lavorare sui presupposti teorici, spesso impliciti, che sono il vero ostacolo al cambiamento.
L'essenza della competenza
Non è facile cogliere l’essenza della competenza focalizzati come si è sui contenuti ed abilità, su microelementi insegnati e valutati uno per volta, tanto più segmentati possibile per facilitare la trasmissione e l’apprendimento. La competenza è, invece, una dimensione complessa, fatta di tanti elementi che hanno senso solo nella loro combinazione. La competenza è data da tante risorse di tipo differente sviluppate non solo a scuola, che lo studente è in grado di riconoscere come rilevanti in un contesto e che è in grado di combinare per svolgere un’attività o risolvere un problema. Essere competenti non significa eseguire delle procedure standardizzate ma agire da problem solver ed è proprio un problem solver che va formato, non un esecutore di routines, un ripetitore, pur intelligente, di informazioni.
Contenuti, abilità e competenze
Il transfer negativo dei presupposti concettuali della didattica trattati in precedenza portano a ritenere la competenza una sommatoria di contenuti e sinonimo di abilità oppure un malinteso significato di competenza porta a ritenere i contenuti disciplinari irrilevanti per la competenza. I contenuti disciplinari sono una delle tante risorse per la competenza, forse quantitativamente la più rilevante, ma non la sola. I contenuti disciplinari (si dovrebbero considerare “contenuti” a pieno titolo della didattica anche i processi cognitivi e metacognitivi e le altre abilità) per poter essere funzionali all’esercizio della competenza e per essere utilizzati nelle operazioni combinatorie di cui si è parlato, devono essere stati costruiti in modo significativo, cioè attraverso comprensione andando oltre la memorizzazione, diversamente non saranno riconosciuti come rilevanti per la soluzione di problemi. Le abilità sono spesso confuse con le competenze perché declinate con un verbo d’azione e perché il loro utilizzo porta a fare qualcosa, perché porta ad un risultato. Un’abilità porta alla realizzazione di un compito di portata e durata limitata, di tipo esecutivo, in condizioni note. Quell’abilità entra a far parte della competenza quando è un elemento di una prestazione complessa dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
Didattica per le competenze
La competenza è visibile solo in una prestazione finalizzata, una prestazione di una certa complessità, non certamente nella realizzazione di un esercizio scolastico semplice e di breve durata o allungato che spesso prende il nome di “compito di realtà”. La prestazione richiesta allo studente deve essere di un certo impegno e avere agganci con il reale. Deve, innanzitutto contemplare la produzione di un prodotto finale di una certa complessità e lo svolgimento di attività come programmare, monitorare e valutare le attività, lavorare da solo e in gruppo, risolvere problemi, valutare opzioni e prendere decisioni, ricercare e valutare informazioni, essere creativi, riflettere. Attività di questo tipo sono i “compiti autentici” (approccio didattico che un preciso significato in letteratura), attività che hanno valore nel mondo extrascolastico o che gli studenti potrebbero svolgere nel mondo extrascolastico, che affrontano problemi presenti nella realtà e che portano a prodotti finali utilizzabili in situazioni reali. Le realtà è complessa e didatticamente ricca. Un compito autentico è nel contempo contesto di apprendimento, di allenamento degli apprendimenti e di valutazione.
Valutare come processo complesso
La valutazione delle competenze è la valutazione di una prestazione non di un atto mentale semplice, una prestazione che sia ricca e complessa. È una prestazione fatta di processi (una discussione di gruppo, la soluzione di un problema) e prodotti (un elaborato anche multimediale, una presentazione, per stare nella praticabilità scolastica). La valutazione finale è il risultato di numerose rilevazioni che non hanno una dimensione quantitativa e facilmente gestibile attraverso operazioni aritmetiche e di una presunta oggettività. È, quindi, necessario prendere dimestichezza con la gestione della complessità e della soggettività di ogni giudizio. La valutazione delle competenze è valutazione autentica dove si valuta mente si impara e si usa quanto si è imparato, dove si valuta per migliorare la prestazione, non per classificare.
Nodi operativi
Consistente formazione ma non secondo il modello "corso"
Nel suo percorso di cambiamento concettuale e operativo l’insegnante non può essere lasciato solo perché ne uscirà disorientato e frustrato e si sentirà inadeguato al compito. Troppo spesso, infatti, l’insegnante è stato buttato nell’arena del cambiamento senza adeguata attrezzatura. La formazione non dovrebbe, però, essere di tipo breve e occasionale e non può risolversi attraverso brevi e sporadiche lezioni teoriche. Per la natura dei cambiamenti da realizzare, la formazione non potrà essere fatta secondo il classico modello del “corso”. Non si tratta, infatti, di trasmettere informazioni (anche se queste non sono poche e banali) ma di costruire vere e proprie competenze. L'esperienza di lavoro sul campo con tante scuole suggerisce di adottare la didattica dell’imparare facendo accompagnando la pratica con momenti di supervisione per sostenere la riflessione sul proprio lavoro e per poter trattare importanti contenuti nel contesto del lavoro che si sta facendo; lavorare prevalentemente sulle pratiche reali degli insegnanti più che sul trasferimento di informazioni e concetti astratti.
Diversa organizzazione del lavoro scolastico
La didattica per le competenze non è realizzabile negli spazi angusti dell'“ora” di lezione. È una didattica che non si svolge solo in aula, tanto per gli studenti che per gli insegnanti. Per gli studenti sono necessarie incursioni sul territorio per rilevare dati, osservare e documentare fatti e fenomeni, intervistare, presentare, chiedere e offrire collaborazione. Gli insegnanti devono svolgere non poca attività fuori dall’aula per progettare, programmare, monitorare, stabilire contatti, sviluppare risorse e facendo tutto questo, spesso, con altri colleghi. Si tratta, per tutti, di un lavoro formalmente e contenutisticamente diverso da quello, individualistico, che abitualmente viene fatto nella scuola delle discipline. Azioni sperimentali di didattica per le competenze si possono anche fare in condizioni eccezionali, con provvedimenti di emergenza e sacrifici individuali ma se non si creano le condizioni per operare in regime ordinario, la didattica per le competenze sarà sempre un miraggio.
L’inclusività della competenza
Attivare all'interno di una scuola o Istituto comprensivo un vero approccio alle competenze è un'impresa impegnativa che richiederebbe che l'intera organizzazione si focalizzasse almeno per un intero anno scolastico su questo tema. Non si tratterebbe, però, di abbandonare tutti gli eventuali altri temi su cui si è già impegnati, ma di utilizzare la competenza come catalizzatore, come attrattore delle diverse azioni, problemi ed obiettivi. Lavorare sulle competenze consente infatti di affrontare queste e altre tematiche;
- Rinnovamento delle didattiche;
- Ambienti di apprendimento;
- Tecnologie per la didattica;
- Inclusione;
- Miglioramento degli esiti di apprendimento;
- Rapporti scuola-famiglia;
- Collaborazione tra le componenti interne alla scuola;
- Benessere a scuola;
- Motivazione degli studenti.
La seconda fase della sperimentazione
Una recente comunicazione MIUR (6 novembre 2015) rende operative le suggestioni fornite dal report di monitoraggio e definisce i temi specifici su cui focalizzare la seconda fase della sperimentazione. Ad ogni scuola coinvolta si chiede di realizzare una ricerca-azione nella prospettiva di:
- Rendere meno ambiguo il duplice riferimento al profilo dello studente (“competenze italiane”) e alle competenze chiave europee;
- Chiarire la relazione tra contenuti disciplinari e competenze;
- Puntare alla semplificazione, all’accorpamento e alla pertinenza di alcuni indicatori di competenza (i traguardi);
- Chiarire la formulazione logica e linguistica degli enunciati dei livelli di competenza;
- Realizzare una certificazione in presenza di disabilità e BES degli allievi;
- Personalizzare e valorizzazione le caratteristiche e i talenti personali;
- Identificare la più opportuna collocazione temporale e definire le caratteristiche del giudizio orientativo.
Tra le altre questioni su cui il MIUR invita le scuole coinvolte nella sperimentazione a proporre modifiche, integrazioni, soluzioni alternative, suggeriamo di esplorare anche come rendere operativa la scuola delle competenze nelle condizioni reali in cui si trovano ad operare oggi gli Istutiti come organizzazione e gli insegnanti come agenti, sui piani della strategia di approccio al cambiamento, dell’organizzazione del tempo scuola, della didattica e della formazione degli insegnanti. Nella circolare si precisa che viene confermata la partecipazione alla sperimentazione di tutte le scuole che hanno partecipato all’azione 2014-2015 e che alla stessa si possono unire altre scuole segnalando all’USR di riferimento la propria intenzione entro il 10 gennaio 2016.
Lo sfondo normativo
- DPR 8 marzo 1999, n. 275: Regolamento per la disciplina dell'autonomia delle Istituzioni
scolastiche, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997; - Legge 53/2003: Legge delega per il riordino del sistema di istruzione e formazione;
- C.M. 28/07: Introduzione della certificazione delle competenze al termine della scuola secondaria di primo grado;
- D.L. 137/2008, convertito in Legge 169/2008 sulla valutazione degli apprendimenti degli alunni;
- Legge 69/2008 sull’obbligo di certificazione delle competenze nel primo ciclo;
- DPR 122/2009 122/2009 sulle caratteristiche e sulle procedure della certificazione per l’attuazione della L. 169/08;
- D.M. 254/2012 – Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo
d’istruzione; - Decreto legislativo 13/2013 per il riferimento allo scenario europeo delle qualificazioni EQF;
- C.M. 3/2015 ‐ Adozione sperimentale dei nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo di istruzione