Voci dal corridoio

voci dal corridoio

Educare e fare scuola oltre l'ora di lezione

In questo articolo riflettiamo non solo su modalità di fare didattica, ma anche sul valore degli spazi e delle routine giornaliere, degli spostamenti in corridoio, dell’intervallo, della mensa, dello spazio del giardino e di quello del bagno.

di Laura Papetti

Questo breve contributo si propone di parlare della scuola e delle sue enormi potenzialità educative in quegli spazi e in quei momenti che rischiano di apparire come momenti vuoti, pause certamente dovute, ma non considerate a sufficienza nelle loro possibilità di diventare pieni, piuttosto che vuoti, all’interno della programmazione orientata alla finalità esplicita della scuola, l’imparare, mentalmente identificata troppo spesso solo con le ore curricolari.

In questo articolo riflettiamo quindi non solo su modalità di fare didattica, ma anche sul valore degli spazi e delle routine giornaliere, degli spostamenti in corridoio, dell’intervallo, della mensa, dello spazio del giardino e di quello del bagno.

In tutti i testi di pedagogia ormai da tempo si legge la raccomandazione di tener presente il “bambino nella sua globalità”, con il suo corpo e la sua emotività, oltre che le sue potenzialità cognitive. Eppure nelle pratiche scolastiche ancora poco si include, rispetto agli apprendimenti programmati, rispetto alla messa in gioco di quelle abilità e quelle competenze che coinvolgono il corpo e la sfera emotiva. Non solo: gli spazi e i tempi che mettono in gioco il corpo, l’emotività e il gioco sono ancora troppo spesso considerati tempi a parte, discontinuità rispetto ai tempi preziosi dell’apprendimento. Tempi che però diventano sempre più faticosi, sempre più spesso a rischio di fallimento, con classi “troppo vivaci”, e con “tempi di attenzione sempre più ridotti”.

Riprendendo le illuminate riflessioni del libro “Tra le righe – Vivere volentieri la scuola di base”, a cura di Gianfranco Staccioli:

A nessun bambino mancano le energie e la voglia di impegnarsi: a molti mancano spesso le occasioni in cui vedere il senso e il valore del proprio impegno. Nella sfumatura, non lieve, di significato che c’è tra dovere e impegno, si gioca gran parte dell’insuccesso educativo della scuola. E, appunto, il dovere ha poco a che fare con i fatti educativi, mentre, al contrario, l’impegno comporta un gran coinvolgimento di tutto il processo educativo. Il dovere fa appello a qualcosa che non è percepibile dal bambino se non in termini confusi e comunque negativi. Al contrario l’impegno e lo sforzo non gli sono estranei e non lo spaventano.”

Sta agli adulti predisporre i contesti e saper organizzare gli scenari adeguati alla promozione di quell’impegno e di quel coinvolgimento che nei bambini può essere totalizzante, e che li vede sperimentatori infaticabili.

Ancora Staccioli scrive:

Il piacere nel fare, il piacere di quello che si fa adesso è tutt’altro che un di più o un modo di edulcorare la pillola amara dell’apprendimento.”

Ora proviamo ad andare più ai margini del fare scuola, e a pensare ai veri e propri tempi “vuoti” della giornata scolastica, con l’intento di riempire di significato quei vuoti e di far entrare proprio lì il piacere e la ricchezza dell’imparare.

La mensa, per esempio, è un’esperienza importante nella vita di ciascun bambino. Ha a che vedere con le proprie abitudini familiari, con la capacità di adattamento, con la possibilità di condividere un momento conviviale, non solo necessario alla soddisfazione di un proprio bisogno primario. Di più, la mensa è un rituale collettivo che può diventare un inevitabile caos oppure un momento di valore, di condivisione, e perfino di apprendimento. L’anno scorso la mia collega Enza, che insegnava in una classe prima, aveva l’abitudine di richiamare l’attenzione dei bambini sul cibo che veniva impiattato e, prima che gli alunni affamati si buttassero a capofitto sul loro piatto, chiedeva un momento di silenzio e faceva qualche domanda: “Oggi che piatto c’è di primo?”, “Gli gnocchi di che cosa sono fatti?”, “E il condimento da che cosa è fatto?”. Oppure chiedeva: “Vi siete accorti che il pane di oggi è più scuro di quello dei giorni scorsi?”, “Perché secondo voi?”. Ogni inizio pasto era l’occasione per osservare meglio il cibo, incuriosirsi rispetto agli alimenti, adottare uno sguardo indagatore e non dare per scontato nulla. L’educazione alimentare parte proprio dalla tavola.

Con le mie classi, invece, sempre a mensa, amo fare un piccolo rito, la chiamiamo la “preghiera laica, una sorta di piccola, anzi minima riflessione, un ringraziamento alla Terra, a volte, o anche solamente un esercizio di consapevolezza, prima di toccare cibo. Ai miei alunni piace molto, per esempio, quando usiamo la frase di A. Catalano: “Quando vedi una mela rotonda, ricordati che è il seme che conta”. Ma loro stessi ogni settimana inventano nuove frasi per il nostro piccolo rito, una più bella e più profonda dell’altra.

L’intervallo all’aperto, oltre a essere un momento di sfogo, di rilassamento o di gioco in relazione, come spesso è a scuola, può essere un tempo costruttivo, sia per le relazioni, sia per la creatività, la logica, le abilità sociali. Sempre più frequentemente mi accorgo che la paura che i bambini si facciano male porta i docenti a uscire poco, oppure a vietare l’uso di palla, corde, rami e altri giochi o strumenti. Mi sono chiesta più volte: “Ma se arriviamo a vietare che un bambino tenga in mano un ramo, che tipo di educazione stiamo proponendo? Che fiducia trasmettiamo ai nostri alunni? Quale modello di crescita incentiviamo?”. L’intervallo può invece diventare l’occasione per assumersi piccole responsabilità e sperimentare il successo nell’averle assunte con maturità. Mi immagino una scuola in cui si possa per esempio uscire con le sedie, sedie che possono diventare castelli o fortini, disegnare cerchi o fare da tunnel, tutte in fila. Mi immagino una scuola in cui si usino grandi scatoloni da buttare per farne torri o costruzioni temporanee, slitte o culle… Mi immagino una scuola in cui una caccia al tesoro possa essere fatta in giardino, alla ricerca di foglie semplici o composte, dalla forma arrotondata, o lanceolata, con il margine seghettato o lobato, o liscio…

Per i docenti l’intervallo all’aperto è un lavoro intenso, ci sono regole da presidiare e responsabilità da affidare, con gradualità. Teniamo presente che molti alunni, usciti da scuola, vivono il tempo del gioco libero in modo solitario. L’intervallo è una sfida, ma rappresenta un’opportunità preziosa in cui vivere il gioco libero in modo aggregante, relazionandosi. Ecco perché sarebbe un peccato che l’intervallo si riducesse a un’occasione di sfogo della fisicità, repressa durante le ore di didattica.

Per fare in modo che l’intervallo sia un tempo sereno e che lo spazio del giardino sia vissuto in continuità educativa con la vita scolastica, ancora una volta i docenti devono lasciare libertà ai bambini ma al tempo stesso predisporre delle condizioni, allestire un contesto attraverso:

  • l’esplicitazione delle regole da condividere,
  • l’uso degli spazi e i limiti di utilizzo,
  • la predisposizione di materiali,
  • l’accoglienza di proposte da parte dei bambini,
  • proposte di giochi magari sconosciuti o poco praticati dai bambini, come Mondo, l’elastico, giochi collettivi con la corda, i birilli… anche con il coinvolgimento dei genitori per reperire gli strumenti necessari,
  • la predisposizione di abbigliamento adeguato (se i bambini vogliono giocare con le pozzanghere, in un periodo molto piovoso, perché rinunciare? Bisognerà attrezzarsi con stivali da pioggia e ricambio di pantaloni).

Anche il momento del bagno può essere considerato educativo o semplicemente una necessità da sbrigare, e le conseguenze sono tangibili. Tempo fa mi sono accorta che i miei alunni spesso non utilizzavano l’asciugamano per le mani. Al venerdì, momento in cui riprendere l’asciugamano per portarlo a casa alcuni mi dicevano: “Ma tanto il mio è ancora pulito”. Queste affermazioni mi hanno fatto pensare che per diversi bambini probabilmente andare in bagno è percepito come una necessità da sbrigare in fretta, magari per sgranchirsi un po’, ma che non è diventata un rituale di cura. Ho temuto anche che in realtà diversi bambini non si lavassero affatto le mani, e di non essermene accorta.

Ne è sorta una riflessione su come possiamo noi insegnanti curare maggiormente i momenti di cura personale, che nella scuola dell’infanzia erano sicuramente più monitorati e valorizzati.

Non solo. Se vogliamo dare continuità educativa allo spazio bagno, dovremmo assicurarci anche che in questo luogo i bambini possano vivere:

  • l’adeguata privacy al gabinetto (basterebbero dei gancetti chiudiporta),
  • la serenità di avere a disposizione sempre la carta igienica e uno spazzolone per pulire il water,
  • il sapone per lavarsi le mani,
  • uno specchio per controllarsi…

Infine: l’ambiente della classe parla delle modalità di fare scuola. I momenti del riordino dell’aula dovrebbero essere frequenti e ben cadenzati, all’inizio della scuola primaria, quando i bimbi hanno ancora poca capacità di regolarsi autonomamente e devono ancora acquisire la responsabilità di controllare lo stato del proprio banco, del pavimento, dell’ambiente intorno a sé per averne cura e mantenerlo in buone condizioni… Più avanti nel quinquennio potrà essere sufficiente richiamare l’attenzione dei ragazzi verso la necessità di pulire, di riordinare, di sistemare materiali e strumenti dopo attività particolari… Non sarà una perdita di tempo lavorare con i bambini al riordino quotidiano, se si espliciterà agli alunni che una classe che si vuole bene e dà valore all’aula come ambiente di vita non può non aver cura dello spazio e non sviluppare un senso di responsabilità verso di esso. Di nuovo, nelle mani dell’adulto sta la possibilità di vivere una routine come dovere o come un impegno che fa crescere ognuno come cittadino del mondo e che fa bella la vita scolastica.

Spunti operativi

Spunti operativi per lavorare in modo più consapevole sul valore di spazi, tempi e caratteristiche della giornata scolastica:

  • Noi e il banco
    da I. Gamelli, A scuola in tutti i sensi, Pearson Italia 2013

 

Laura Papetti, progettista editoriale, ha insegnato inglese in scuole di vario ordine e grado, ha lavorato come docente di sostegno e attualmente insegna alla scuola primaria nella provincia di Monza e della Brianza. È coautrice insieme a Donatella Santandrea della nuova guida di Pearson Italia dedicata ai docenti di scuola primaria Let's start CLIL.