Un approccio empatico all’insegnamento... anche delle tabelline!

Voci di corridoio – Esperienze tra i banchi

VOCI DI CORRIDOIO

Inauguriamo oggi, sul finire della scuola, una nuova rubrica per la nostra newsletter: “Voci di corridoio. Esperienze tra i banchi”. Un viaggio dentro le classi vere, non quelle ideali, grazie a insegnanti appassionati che vogliono condividere con colleghe e colleghi un pezzo del loro cammino. Iniziamo con il maestro Massimiliano Finorio.

di Massimiliano Finorio

Da bambino, alla domanda “Massimiliano, che cosa vuoi fare da grande?” rispondevo sempre nello stesso modo: “Il maestro!”
Mi presento: sono Massimiliano, anche se tutti i ragazzi mi chiamano Massi (il maestro Massi), ho 49 anni e sono un’insegnante della scuola primaria da oltre vent’anni. Qui vi racconto una parte del mio lavoro, che è il frutto di lunghe considerazioni, prove, errori e appunti presi la sera, il momento in cui scrivo.
Ecco le prime considerazioni scritte sul mio diario di bordo, molti anni fa: era solo l’inizio, ma il viaggio è ancora in corso e lo affronto da esploratore, ogni giorno, insieme ai bambini e alle bambine tra i banchi della Nostra Scuola.

1 settembre 1997
Oggi inizia tutto.
Decido di scrivere questo testo per me: voglio che ogni mia esperienza e considerazione lasci una traccia.
Non voglio dimenticare: voglio essere certo di potere ritrovare, rileggere, rianalizzare. Voglio che ogni mia azione possa essere messa in discussione, modificata e in futuro migliorata.
Scrivo questo testo per me. Per non sbagliare due volte. Per non ricadere in errore. Per cercare di dare il meglio di me in ogni situazione. Per cercare di dare ai miei ragazzi, e ai loro genitori, il giusto e non solo un insegnante.
Scrivo perché ho molto da imparare, e il primo dovere di un docente è quello d’imparare.
Scrivo perché voglio avere memoria. E scrivo perché la memoria spesso mi manca.
Scrivo per non avere rimpianti, per non avere nulla da recriminare, per non dover dire un giorno: “Perché non ho scritto?!”
Scrivo perché voglio essere un maestro migliore, migliore per me e i miei ragazzi: “Per me è i miei ragazzi e basta!”
Scrivo perché il mio futuro da maestro inizio a scriverlo oggi scrivendo.

Negli anni posso dire d’essermi scontrato contro tutti gli “spigoli” che la scuola è stata pronta ad offrirmi. Posso anche assicurarvi che ho cercato di girare alla larga da quegli “spigoli” e spesso, visto la loro inevitabile presenza, ho cercato di convivere con essi più o meno pacificamente. Poi, con l’esperienza e lo studio, ho compreso come da quelle difficoltà dovessi partire: su di esse avrei dovuto puntare la mia attenzione e creare le basi di tutto il mio metodo d’insegnamento: “E fu così che uno spigolo divenne perno”.

Il mio metodo di insegnamento, che definisco “Approccio empatico” si basa su una sequenza di principi molto semplici:

Non c’è apprendimento senza coinvolgimento.
Non c’è coinvolgimento senza un coinvolgimento emotivo.
Non c’è coinvolgimento emotivo senza empatia.

L’empatia diviene la pietra angolare capace di connettere la parte emotiva a quella cognitiva.
Solo dopo aver creato questa connessione sarà possibile trasferire i saperi facendoli accogliere come desiderati e non imposti. Tutto si basa sull’empatia e sul concetto che gli impulsi generati internamente, chiamati “motivazione intrinseca”, faranno nascere un desiderio intimo di raggiungere le conoscenze per sentirsi appagati. Al contrario, i saperi imposti dall’esterno, come nelle lezioni frontali, essendo fuori dal controllo diretto di chi li riceve generano una “motivazione estrinseca”: il soggetto si attiva solo per evitare circostanze spiacevoli (brutti voti) o compiacere qualcuno (il docente o i genitori).
La motivazione estrinseca non genera nessun legame emotivo e rende l’apprendimento lento, faticoso, passivo e noioso.
Un approccio empatico basa la sua azione sulla continua ricerca della motivazione intrinseca: il sapere va guadagnato dai ragazzi e ogni informazione, invece di essere regalata, è oggetto di ricerca, discussione, di analisi, di studio…
La lezione frontale modifica il suo stato d’essere divenendo, da protagonista, una semplice comparsa; al posto dei lunghi monologhi a sostegno dell’attività dell'insegnante, si introducono “spot” informativi di pochi minuti, che hanno come unico obiettivo quello di sostenere la ricerca del sapere evitando che il gruppo si areni nel mare di informazioni.
Il docente diviene un traghettatore esperto: conosce il punto di partenza; conosce la rotta; conosce la meta finale e conosce esattamente il proprio ruolo di assistente.
Questo modo di operare rispecchia ciò che oggi la Scuola ci richiede. Un approccio empatico, che affonda le sue radici su un’idea pedagogica precisa e su azioni puntuali, programmate e sistematiche che hanno come unico obiettivo il raggiungimento delle competenze.

Diviene necessaria una piccola digressione per chiarire il concetto di competenza.
Si è competenti in un ambito solo quando si riesce a sposare tra loro tre elementi fondamentali: le conoscenze, le abilità e l’atteggiamento. Quest’ultimo termine, l’atteggiamento, è tradotto erroneamente dall’inglese in attitudine, ma l’attitudine è una cosa innata, una predisposizione, una inclinazione naturale, che non può modificarsi grazie a interventi esterni; è corretta quindi la traduzione in atteggiamento, che invece può essere educato e migliorato attraverso percorsi educativi e didattici.

Conoscenze
Abilità
Atteggiamento

Sono questi gli elementi fondamentali di un insegnamento empatico, partendo dal presupposto che noi educatori, per poter progettare e poi valutare correttamente i nostri allievi, dovremo aver ben chiaro il significato di competenza: come potremmo mai valutare, rinforzare o potenziare una competenza se non siamo in grado di riconoscerla, descriverla e sviscerala in ogni suo aspetto e componente?
Facciamolo ora insieme.
Per essere competenti bisogna agire al fine di potenziare i tre elementi citati. Prima di tutto ci sono le conoscenze, cioè le informazioni in nostro possesso, che possono esserci a prescindere dalle abilità possedute; posso avere una marea di informazioni, nozioni e conoscenze e non possedere nessuna abilità o competenza. È chiaro che per divenire competenti le conoscenze da sole non bastano, ma serve essere abili: in grado di utilizzare le conoscenze teoriche trasformandole in attività pratica. Agire vuol dire sapere esattamente quale procedura attuare per svolgere un’azione avendo in mente un algoritmo operativo, una procedura mentale che indica le sequenze di azioni da compiere al fine di ottenere un risultato. Partendo dal principio che le abilità si sviluppino con la pratica, sperimentando sul campo per prove ed errori e per intuizioni e deduzioni, l’insegnante dovrà garantire una didattica rivolta all’azione, all’esplorazione, alla ricerca.
Ma per agire utilizzando con cognizione di causa le conoscenze dovremo avere il giusto atteggiamento e saper dialogare positivamente con il nostro “Io interiore”: sarà compito dell’insegnante avviare un percorso di “Coaching” al fine di potenziare la consapevolezza del sé, la fiducia nelle proprie capacità, l’autonomia, la resilienza, il saper riconoscere le emozioni depotenzianti, sviluppando credenze potenzianti.
Lo scopo del lavoro dell’insegnante dovrà essere quello di ampliare parallelamente questi tre aspetti trovando strategie e avendo metodo. L’insegnante dovrà formare i ragazzi sviluppando in loro un pensiero critico e un atteggiamento proattivo; la definizione di insegnante dovrebbe acquisire quella di aiutante, collaboratore, assistente, supporter… chiamato a una didattica attiva, inclusiva, che punti a dare agli alunni pari opportunità e competenze.
L’approccio empatico si basa su questi principi, che danno forma alla sua didattica inclusiva, ai suoi strumenti e alle sue azioni educative e didattiche.

Gli strumenti

Facciamo ora un esempio pratico: come ho applicato questo approccio allo studio delle tabelline?
Tradizionalmente, le tabelline si imparano a memoria ripetendole molte volte.
Ma questo insieme di numeri e calcoli ha poco a che fare con il mondo dei bambini: studiare le tabelline a memoria non produrrà nessun legame empatico, anzi garantirà stress e ansia da prestazione.
Se trasformo i numeri in personaggi, attivo nel bambino emozioni positive e creo una connessione empatica capace di spalancare la porta all’informazione che si desidera far passare.

Facciamo un esempio pratico. La tabellina del nove

Si presenta al bambino “il nove” come fosse un vigile urbano: il numero nove (essendo un vigile) ferma gli altri numeri facendo loro due piccole domande.

1- “Chi ti precede?”
2- “Quanto ti manca per arrivare alla casa del 10?”

Dando risposta a questa semplice domanda i bambini impareranno la tabellina del nove senza doverla ripetere né memorizzare.

9 x 7 = ?

Il 9 domanda: “Numero 7 chi ti precede?”
Risposta: “Il 6”
Il 9 domanda: “Numero 7 quanto ti manca per arrivare alla casa del 10?”
Risposta: “3”

9 x 7 = 63

Le storie, con la pratica e il tempo, sfumeranno lentamente lasciando posto ai soli numeri, ma daranno la certezza del risultato, eliminando le sensazioni d’incertezza e inadeguatezza: sensazione considerate negative e da evitare nel corso dell’apprendimento.
Il metodo, come oramai chiaro, non punta l’attenzione sulla memorizzazione di dati, ma sulla capacità di poterli ricavare serenamente attraverso un ragionamento e un processo di ricerca.
Concludo, non potendo affrontare qui tutti i numeri, presentandovi il numero zero: un supereroe bianco (rappresentato dalla gomma per cancellare presente in ogni astuccio) con il potere di cancellare tutti i numeri che gli vengono moltiplicati.
Gioco da fare in classe: i bambini scrivono l’operazione a matita e subito il supereroe bianco (la gomma) interviene cancellando il numero che gli viene moltiplicato, in questo caso il 33, e posandosi dopo il segno uguale.

0 x 33 = 0

Con questa semplice azione/gioco/esperienza i bambini non dimenticheranno più che un numero moltiplicato per zero dà come risultato sempre zero.

Se volete saperne di più, sulle tabelline e non solo, potete trovare molte informazioni sul canale youtube “Massimiliano Finorio”.

 

Buon viaggio a tutte le colleghe e i colleghi.

 

Massimiliano Finorio è un docente della Scuola primaria con ampia esperienza della gestione e formazione di teams rivolti all’addestramento sportivo. Nel 2018 ha vinto la sesta edizione del concorso letterario Premio “Teatro, Musica e Shoah” presso l’Università degli Studi di Roma - Tor Vergata.

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