Fare coding

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Spunti sul pensiero computazionale (e non solo...)

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Il pensiero computazionale non è solo “il processo in cui si definiscono procedure che vengono poi attuate da un esecutore, che opera nell'ambito di un contesto prefissato, per raggiungere degli obiettivi assegnati”, riferito alla logica e alla matematica, ma è una competenza utile alla vita di tutti i giorni.

di Matteo Bonanno

L'avvento del digitale è un fenomeno inarrestabile. Tutti quanti, oramai, possediamo un telefono che fa «anche» le telefonate, ma soprattutto ci permette di navigare su internet, inviare email, usare app che hanno svariati scopi. La digitalizzazione è un qualcosa che incide in maniera incredibile nella vita quotidiana anche laddove non ce ne accorgiamo. Le nostri automobili sono controllate digitalmente, lo sono i nostri elettrodomestici, senza pensare al fatto che oramai stiamo andando verso la completa digitalizzazione della comunicazione, tutta effettuata online. Se questo oramai è un dato di fatto, la società, e soprattutto il campo dell’educazione, deve capire come porsi verso questo fenomeno. E in particolare alla scuola è chiesto di trovare la sua giusta collocazione.

Uno dei ruoli delle istituzioni scolastiche può essere quello di lavorare sul fatto che comprendere e possedere gli strumenti digitali, potenzialmente modificandone impostazioni e funzionalità, permette alle nuove generazioni di non essere più «fruitori passivi» della tecnologia, prevenendo eventuali problemi di cattivo utilizzo o in casi peggiori di dipendenza dalla stessa. Gli Stati Uniti hanno spinto in questo senso anche per sopperire a una mancanza di programmatori e ingegneri informatici, ma forse la sfida è più alta, ovvero quella di consapevolizzare le nuove generazioni verso gli strumenti che il progresso ha messo loro a disposizione, per non diventarne schiavi ma controllori e sviluppatori.

Approfondire come funziona un oggetto tecnologico non significa però solo padroneggiarlo. Significa anche accedere a un bagaglio di competenze e poterle acquisire, al giorno d’oggi con gli strumenti che sono stati creati, in maniera semplice. Difatti dietro qualsiasi strumento digitale esiste una serie di regole logico-matematiche che hanno come background un insieme di saperi e di propensione al problem solving molto alta. Tutti gli strumenti tecnologici infatti «vivono» tramite programmi, ovvero sequenze di istruzioni che, messe una dopo l’altra in un processo coerente, permettono allo strumento di compiere delle azioni. La capacità di costruire processi di questo tipo rientra nel cosiddetto “pensiero computazionale”.

Tale processo deve essere visto e inquadrato nell’ottica di una acquisizione di nuove competenze. Sviluppare il pensiero computazionale vuol dire, appunto, aumentare la capacità di analizzare le situazioni, valutarne i limiti, conoscere gli strumenti a disposizione, organizzare strategie efficaci di soluzione alle problematiche. Queste competenze sono ovviamente parte del campo informatico (e uno dei grossi motivi per cui gli Stati Uniti stanno investendo nello sviluppo di tali competenze è per una carenza di profili lavorativi nel campo della programmazione) ma in realtà sono skills che servono per la vita di tutti i giorni. Programmare non vuole solo dire costruire un software informatico, ma vuol dire anche pianificare un’attività, organizzare un viaggio o una gita, una giornata particolare o quella di tutti i giorni, una festa, la gestione di una casa, di una famiglia ecc... Programmiamo ogni giorno, anche se non ce ne rendiamo conto. Sviluppare queste competenze non vuol dire quindi solo approcciarsi alla tecnologia in maniera consapevole, o acquisire delle competenze molto utili in ogni ambito lavorativo, ma significa anche aiutare gli individui ad affrontare la vita quotidiana.

Per approfondire: la videolezione

 

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Matteo Bonanno è formatore Pearson sulle nuove tecnologie applicate alla didattica.