La didattica per competenze nella Scuola secondaria di secondo grado
Una riflessione
DIDATTICA PER COMPETENZE
Parlare di competenze oggi non può che essere considerato come un’effettiva esigenza didattico-pedagogica, per individuare strategie e metodi più affini agli stili cognitivi delle nuove generazioni.
Correva l’anno 2000 quando la “Strategia di Lisbona” voluta dal Consiglio Europeo assegnava all’Unione Europea l’obiettivo di diventare “entro il 2010 l’area economica basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.
È evidente e doveroso ricordare che, proprio alla luce di queste ambiziose indicazioni, già la Legge 53 del 2003 (c.d. riforma Moratti) si poneva l’obiettivo di ridisegnare l’intero sistema scolastico italiano, veicolando la prospettiva del Lifelong Learning, attraverso una serie di atti quali:
- la riqualificazione dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, al fine di ridare “dignità culturale” anche a questi percorsi formativi, fino a quel momento lasciati alla competenza regionale e organizzati come corsi biennali di carattere tecnico-pratico;
- l’inserimento della lingua inglese già dal primo anno di scuola primaria e di una seconda lingua straniera obbligatoria a partire dal primo anno di Scuola secondaria di I grado;
- il potenziamento dell’insegnamento dell’informatica in ogni ordine e grado di istruzione;
- le premesse per il riconoscimento formativo del lavoro anche ai fini dell’espletamento dell’obbligo di istruzione e formazione.
Successivamente tutto il sistema del II ciclo, attraverso una serie di interventi legislativi volti proprio a raggiungere gli obiettivi delineati nel 2000 dal Consiglio Europeo, ha marcatamente superato alcuni elementi della legge 53/2003, riformulando l’approccio alle discipline scientifiche, alla tecnologia ed alle esperienze lavorative.
I D.P.R. 87, 88 ed 89 del 15 marzo 2010 e le corrispondenti Direttive Europee 57 e 65 del 2010 hanno sancito l’attuale assetto del secondo ciclo di istruzione. Ed è proprio nelle cosiddette “Linee Guida” che il termine “competenza” viene istituzionalizzato.
È evidente che sempre più le nuove generazioni dimostrano un orientamento all’apprendimento i cui caratteri fondamentali derivano dalla necessità di effettuare l’esperienza concreta, a cui deve poi seguire una riflessione indotta dall’insegnante-mediatore, finalizzata a sistematizzare ed astrarre i processi esperiti. Questo stile cognitivo può parzialmente essere associato a quello che, già a partire dagli anni Settanta, David Kolb definiva come “divergente”.
L’apprendimento esperienziale divergente si basa proprio sul “percepire” e, quindi, “riflettere”: il problema concreto nella pratica didattica dei docenti nasce quindi in questa seconda fase, fondamentale per sviluppare abilità, consolidarle e veicolare competenze.
La necessità di uno “spazio di riflessione” gestito autonomamente dagli studenti e coordinato dal docente però si scontra spesso con oggettive difficoltà da parte degli alunni in riferimento ai processi di comprensione, al mantenimento dell’attenzione e, soprattutto, alla predisposizione ad attività di questo tipo.
La dimensione e la capacità di comprensione dei contenuti e delle attività proposte infatti sono oggi il primo grande problema che i ragazzi manifestano.
Come è possibile impostare l’attività didattica tendendo all’obiettivo di potenziare i processi cognitivi degli alunni?
Durante l’insegnamento di una certa disciplina generalmente i contenuti vengono presentanti in modo lineare. Ciò indica una sequenzialità, principalmente connessa ad aspetti organizzativi e temporali rispetto ad una programmazione prevista dal docente, che per consuetudine fraziona i contenuti in unità, al fine di definire traguardi da raggiungere entro specifiche tempistiche.
Questa consuetudine non necessariamente permette agli studenti di avere un “quadro complessivo” del sapere e, spesso, li blocca e inibisce, facendo loro perdere interesse. La maggior parte degli alunni infatti oggi presenta un approccio alla comprensione definibile come “globale”, che si contrappone a quello sequenziale; si tratta di un’attitudine alla comprensione che necessita di soffermarsi sulle situazioni e/o sui problemi, fornendo chiaramente tutti gli input iniziali e lasciando che siano gli alunni a risolverli mediante la guida del docente, per tentativi, attraverso la sperimentazione delle possibili soluzioni.
Le strategie didattiche più idonee per favorire i processi di comprensione globali possono espletarsi attraverso la chiara definizione degli obiettivi didattici a cui si vuole arrivare nella lezione, veicolare problemi nei quali le variabili e gli obiettivi risolutivi devono essere chiariti dal docente che deve quindi operare da tramite tra i ragazzi e la dimensione del problema da risolvere, facendo leva, quando possibile, su collegamenti interdisciplinari.
In questo caso, la dimensione dell’organizzazione del setting didattico e del contesto non può che influire sulle attitudini dei ragazzi. L’insegnante deve essere in grado di “pensare a ritroso”, somministrando casi, dati, documenti, creando situazioni che veicolino nei ragazzi una domanda, uno stimolo, una curiosità in riferimento non tanto alla conoscenza che si vuole trasmettere, quanto più all’abilità verso la quale si vuole tendere.
Il ruolo delle conoscenze dunque è del tutto strumentale all’acquisizione delle abilità, poiché non più trasmesse in modo deduttivo, ma maturate attraverso la riflessione dei ragazzi e la sistematizzazione del docente in un secondo momento.
La gestione della classe in questo caso è essenziale: apprendimento cooperativo e tutoraggio tra pari riducono la disattenzione, rendono partecipi i ragazzi a collaborare a un obiettivo comune semplice e chiaro. È dunque importante che il docente nella prima fase chiarisca e dia tutte le indicazioni affinché ciascun alunno sappia dove deve arrivare e che, al termine, il docente sia in grado di permettere allo studente di comprendere se l’esperienza diretta effettuata sia servita e abbia raggiunto l’obiettivo. Questo permette, da un lato, di far maturare davvero le abilità atte a consolidare poi le competenze desiderate e, dall’altro, a permettere all’allievo di percepire lo sviluppo del proprio sapere.
Parlare dunque di competenze non significa semplicemente far lavorare i ragazzi in gruppo, ma concretamente creare delle “situazioni di apprendimento” con compiti di realtà, che punteranno su determinate abilità attraverso i contenuti di volta in volta selezionati dai docenti, in modo strumentale rispetto agli obiettivi posti a cui poi seguiranno l’astrazione, i riferimenti teorici ed epistemologici.
Infatti il valore dell’esperienza se non seguito da un’astrazione, attraverso un’opportuna attività riflessiva da parte dell’alunno, non fornisce sempre un valore aggiunto nel processo di apprendimento e potrebbe comportare una possibile banalizzazione dell’attività didattica. Lo stile di insegnamento attivo, basato sul confronto di idee o di strategie risolutive, la discussione ed il tempo di assimilazione dei contenuti, può essere un utile elemento finalizzato all’attivazione di strumenti metacognitivi, volti ad orientare i ragazzi verso un approccio di ricerca, in cui si sentiranno responsabilizzati e protagonisti.
La realtà contemporanea richiede alti profili culturali e professionali, che sappiano adattarsi alla mutevole realtà lavorativa, economica e sociale. Perché ciò avvenga, l’esperienza di sviluppo e realizzazione della persona, anche dal punto di vista professionale e delle corrispondenti competenze, rende assolutamente indispensabile il contributo di tutti i soggetti protagonisti di questo processo.
La scuola deve quindi formare futuri cittadini responsabili e consapevoli, in grado di fronteggiare le sfide del mondo globale ed in continua e rapida evoluzione, sfruttando trasversalmente le competenze disciplinari acquisite, promuovendo la cultura d’impresa, l’utilizzo delle nuove tecnologie e l’apprendimento delle lingue straniere.
Infine gli obiettivi trasversali di Cittadinanza e Costituzione rappresentano un elemento ulteriormente caratterizzante, poiché individuano una sfera educativa e socializzante essenziale nel processo di crescita umana, culturale e sociale di ciascun studente.