La famiglia è cambiata
Dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva
GENITORI E FIGLI - SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
Come cambia il passaggio dall'infanzia all'adolescenza nei ragazzi di oggi sotto l'influenza delle trasformazioni che hanno interessato la famiglia e i modelli educativi dei genitori?
Definire oggi il funzionamento affettivo, relazionale ed educativo della famiglia non è un compito facile. Il rischio è quello di semplificare realtà uniche e complesse, anche in considerazione del fatto che esistono diverse tipologie di famiglie: ricomposte, allargate, monoparentali, omogenitoriali e così via.
Lo stesso matrimonio, che per anni ha rappresentato l’evento che sanciva la nascita di una famiglia, è oggi una delle condizioni possibili, e non più necessarie, per fecondare nella mente di una coppia l’idea di aver dato vita ad una nuova famiglia. In questa complessità vi è comunque un dato certo: la nascita e l’educazione dei figli sono presidiate in modo del tutto nuovo dalle madri e dai padri di ultima generazione.
Nel corso degli ultimi decenni si è infatti assistito ad un progressivo cambiamento del modello educativo familiare prevalente. La famiglia tradizionale e normativa è tramontata a favore di una famiglia affettiva e relazionale. Un altro modo di definire questa trasformazione è quella del passaggio dalla famiglia del padre simbolico a quella della madre virtuale. Un’espressione che sintetizza la metamorfosi di una famiglia non più fondata sull’autorità paterna ma sul governo materno, a distanza, della vita dei figli. Oggi i bambini crescono, infatti, in una quotidianità dove si è spesso distanti con il corpo ma molto vicini con la mente, all’interno di un’organizzazione familiare che ha ridotto la prossimità fisica quotidiana dal figlio, sin dalla più tenera età, in cambio di una maggiore attenzione agli aspetti emotivi e all’affiancamento del bambino nello sviluppo delle proprie inclinazioni.
Se in passato il concetto cardine della famiglia era l’obbedienza e la sottomissione del figlio ai voleri dell’adulto, oggi prevale la tendenza ad ascoltare maggiormente la specificità e le esigenze del figlio, in una relazione più orientata dal tentativo di spiegare le ragioni dell’intervento educativo da parte dei genitori. Dal “devi obbedire!” si è passati al “devi capire!”. In passato, la famiglia tradizionale e normativa interpretava la relazione come il mezzo attraverso il quale far transitare i valori e imporre le norme adulte, oggi, invece, il mantenimento della relazione e la sintonizzazione affettiva sono aspetti irrinunciabili dell’intervento educativo genitoriale. La madre e il padre di oggi aspirano a farsi obbedire tramite la relazione, non imponendo la rottura del rapporto, l’interruzione della comunicazione, la somministrazione di sofferenza. Il dolore e il conflitto, l’incomprensione e la distanza non sono ritenuti elementi indispensabili alla buona crescita dei figli, anzi, quando emergono è importante ricomporli.
Alla base di questa trasformazione vi è un profondo cambiamento dei miti affettivi della madre e del padre. I miti affettivi sono decisivi perché costituiscono le fondamenta sulle quali nascono e si costruiscono le famiglie, orientandone le scelte, a partire dalla gestazione, fino alla nascita e allo sviluppo dei figli. Il mito prevalente della famiglia tradizionale non esitava ad esplicitare il conflitto e a far soffrire il figlio in nome di regole che avrebbero consentito, una volta interiorizzate, di promuovere il benessere personale, scongiurando disadattamento e psicopatologia. “Prima il dovere e dopo il piacere” era lo slogan che governava la crescita dei bambini sin dalla più tenera età, all’interno di un dispositivo familiare normativo, che sanzionava il comportamento riprovevole del figlio attraverso il tentativo di farlo sentire inadatto, governato da desideri espressivi del tutto inopportuni. Il sistema educativo della famiglia tradizionale era infatti basato sul sentimento della colpa, da sperimentare in funzione di un severo Super Io che si costituiva a partire dallo sguardo di approvazione o disapprovazione dei genitori e di tutti gli adulti. Il mito affettivo prevalente della famiglia affettiva e relazionale sostiene invece la crescita all’insegna dell’espressione di sé, della creatività e della possibilità di ridurre al minimo la sofferenza e la frustrazione, che tanto male hanno fatto all’infanzia dei bambini del passato. Il mito affettivo che presidia l’infanzia odierna è quello di un bambino con una propria indole, tendenzialmente benevola, dotato sin dalla nascita di competenze relazionali che bisognerà sostenere e lasciar esprimere. Il bambino “tabula rasa” è sostituito dal bambino “intenzionale”, una piccola persona da educare all’interno di una famiglia che intravede nelle necessità primarie e autoreferenziali del nuovo arrivato qualcosa di buono e non di peccaminoso, l’avvio precoce della ricerca di sé piuttosto che un modo esagerato di esprimere bisogni e pulsioni.
Sulla base di questi miti, la famiglia presidia la crescita del bambino promuovendo maggiori opportunità di espressione di sé, della propria intenzionalità e creatività, avvicinandogli sin da subito le risorse utili allo sviluppo di una piccola personalità. Questi due diversi modelli educativi hanno influenzato in modo decisivo le modalità di attraversare l’infanzia e di diventare adolescenti. I bambini nati e cresciuti all’interno della famiglia normativa e tradizionale, una volta divenuti adolescenti, erano spinti a trasgredire e ad opporsi a all’esigente Super Io che limitava l’espressione del vero Sé. Gli adolescenti odierni, invece, sono alle prese con un altrettanto esigente Ideale dell’Io, che richiede di tollerare le delusioni derivanti dallo iato tra le aspettative interiorizzate durante l’infanzia e ciò che si scopre di essere in adolescenza, sia rispetto alle proprie fattezze corporee sia in termini di capacità personali. Per questo gli adolescenti odierni sono meno oppositivi nei riguardi degli adulti, ma più severi nei riguardi di se stessi. E per questo gli adolescenti attuali vengono definiti fragili narcisisticamente e il sentimento che molto spesso è alla base del loro disagio è la vergogna, non la colpa.