

Mio figlio è stato bocciato o rimandato
Che fare?
GENITORI, FIGLI E SCUOLA
Con la fine della scuola arrivano, inevitabilmente, bocciature e debiti formativi per molti ragazzi, che spesso provocano picchi negativi di autostima. Cosa accade a livello psicologico in loro? E i genitori come possono sostenerli e affiancarli nel corso dell’estate?
È arrivata la fine della scuola e con questa le sentenze per i nostri ragazzi. Per alcuni sono sentenze negative definitive, per l’anno in corso; per altri, moltissimi, sono previsti appelli a settembre. Bocciature e debiti formativi sono gli eventi in fondo a un anno scolastico che provocano emozioni negative nei ragazzi e nelle loro famiglie, sia per chi deve metabolizzare una bocciatura sia per chi dovrà affrontare un periodo di studio estivo per recuperare le lacune.
In entrambi i casi si verifica per i ragazzi un picco negativo di autostima, soprattutto per coloro che si fossero impegnati nello studio. E questo influirà sulla loro vita: se sarà un influsso solo nell'immediato o più duraturo nel tempo dipenderà da come verrà affrontato questo momento difficile.
Cercherò allora di descrivere che cosa capita a livello psicologico nello studente, così da permettere ai genitori di affiancarlo nel modo migliore.
La metafora della gamba ingessata…
Considererò innanzitutto alcuni strumenti a cui si ricorre per colmare le lacune scolastiche. E lo farò parlando di autostima. Utilizzerò una metafora per facilitare la comprensione, metafora che sarà utile ora, per affrontare questo momento difficile, ma anche per organizzare il prossimo anno scolastico.
Immaginiamo che un atleta si fratturi una gamba: verrà sottoposto a ingessatura e poi a un ciclo di fisioterapia. Passato questo momento critico l'atleta si dedicherà ad allenamenti di rinforzo, magari con un allenatore specifico, e successivamente tornerà a essere autonomo.
Per lo studente è lo stesso: se non è “infortunato”, non occorrono allenatori di rinforzo. Invece molte famiglie affiancano per tutto l'anno al figlio un tutor, di solito uno studente universitario o un professore, per “rinforzarlo”. Questo non solo non è positivo ma può anzi causare problemi.
Chi ingesserebbe una gamba sana? La gamba immobilizzata regredirebbe quanto a forza e muscolatura. Analogamente lo studente sempre affiancato tende ad attribuire i propri successi alla diade, ovvero “per forza ho preso un bel voto, è merito di...”, e ad attribuire a se stesso l'insuccesso: “devo proprio essere stupido se anche affiancato non riesco”.
Morale: bisogna scegliere gli aiuti giusti al momento giusto.
In questa fase dell’anno siamo proprio nel momento in cui occorre stabilire, per bocciati e rimandati, le “ingessature” e le “fisioterapie” necessarie. E una non vale l'altra.
Che cosa succede in un ragazzo quando non riesce in una materia?
Il picco negativo di autostima provocato da un esito negativo a fine anno – che sia bocciatura o debito formativo – non è l’unico nella vita scolastica dei nostri ragazzi, ma si inserisce in uno storico che si forma e consolida durante l’intero anno scolastico.
Quello che introdurrò ora è un principio controintuitivo. Perché gli studenti tendono a non impegnarsi nelle materie che dovrebbero recuperare?
Perché a nessuno piace sentirsi inadeguato e spesso il senso di inefficacia che si accompagna a prestazioni scadenti porta lo studente a fare l'esatto contrario di quello che dovrebbe per superare la difficoltà.
Tutti, professori e genitori, gli richiedono maggiore impegno. Ma per impegnarsi maggiormente lo studente deve affrontare di più proprio quella materia che al momento non gli riesce. Di solito il ragazzo percepisce questa richiesta in termini soprattutto quantitativi, ovvero impiegare un maggior tempo dedicato, ma anche in senso qualitativo, cioè legato al metodo di studio. Lo studente subisce un effetto tipico della diminuzione di autostima: sentirsi inefficaci una prima volta, magari per aver preso una grave insufficienza, porta di solito, nell'immediato, a un maggiore impegno. Ma che cosa succede quando alla prova successiva, dopo uno sforzo supplementare, le cose non migliorano? Lo studente si sente incapace e può reagire in modi diversi; e molte di queste reazioni sono riconducibili all’istinto di conservazione della propria autostima: è come se lo studente, inconsapevolmente, smettesse di applicarsi alla disciplina che ha generato in lui la sensazione di essere incapace. Tenderà anzi a studiare di più le materie in cui riesce bene, perché nutrono la sua autostima, e posticiperà o tralascerà del tutto quella che gli ha prodotto sensazioni negative. E naturalmente questo innesca un circolo vizioso in cui i risultati sono sempre più negativi e l’autostima decresce parallelamente.
Se una cosa piace, la si fa meglio…
Per disinnescare questo meccanismo sia gli insegnanti sia i genitori dovrebbero dunque attivare strategie diverse, non limitandosi a richiedere al ragazzo un incremento dell'impegno.
Ma cosa fare concretamente? In genere quando i risultati scolastici non migliorano la soluzione più frequente sono le cosiddette ripetizioni.
Partiamo proprio da questa parola. Quando insegnavo invitavo sempre i miei studenti a fare la domanda giusta. Se mi chiedevano: “Non ho capito, me lo ripete?”, rispondevo loro: “Siate onesti: se eravate disattenti ripeto volentieri. Se eravate attenti e non avete capito, allora fate la domanda giusta”. Ovvero: “Non ho capito, me lo direbbe in un modo diverso e magari con un esempio o una applicazione pratica?”. Sì, perché non serve “ripetere”. Serve fare in un modo diverso le cose che non ci sono riuscite.
La prima cosa allora che un genitore o un insegnante dovrebbe chiedersi di fronte a un ragazzo in difficoltà a scuola è se non ci sia una mancanza di piacere, più che di motivazione. Per quanto una materia possa non essere interessante per uno studente, non ne conosco nessuno che non provi piacere nel padroneggiarla. E questo è un bene, perché quando ti vengono bene dieci cose, puoi permetterti di capire che cosa ti viene bene e anche ti piace e che cosa invece ti viene solo bene ma non necessariamente ti piace. Succede infatti che se uno studente riesce bene solo in una o due cose tenderà a dedicarsi, negli studi futuri e poi nella scelta della professione, a un settore solo perché gli riesce, anche se magari non è ciò che più gli piace.
Quindi come genitori e come docenti dobbiamo impegnarci affinché i ragazzi riescano bene nel maggior numero di attività. Perché possano scegliere dove applicarsi di più nel futuro, ricavandone non solo successo ma anche piacere. Se una cosa piace ci si dedica più tempo, la si fa meglio, con minor fatica e con migliori risultati e soddisfazioni.
La motivazione a fare bene è scritta nel nostro DNA. Se non la si sente più, significa che è avvenuto qualche incidente. Ogni studente può riuscire a padroneggiare sufficientemente tutte le discipline. E riuscendo in tutte, poi, sceglierà quella che più gli piace.
Questo ha poco a che vedere con il solo impegno – che certamente serve ma che spesso è l'unico aspetto considerato – ma piuttosto con il piacere. Ai nostri ragazzi non fa paura, per esempio, la fatica degli allenamenti quando fanno uno sport agonistico piacevole.
Dunque quando un ragazzo si trova di fronte a qualche difficoltà in una materia l’aiuto consiste nel fargli cambiare approccio nell’affrontarla, così da avvicinarlo in modo diverso, cambiando prospettiva, alla disciplina.