INVALSI: dal lavoro in classe alle prove e viceversa

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Un’occasione per confrontarsi e crescere

PROVE INVALSI

Le prove INVALSI rappresentano un banco di prova importante a cui accompagnare i bambini e sul quale occorre riflettere in momenti diversi da quelli della somministrazione. Ecco un punto di vista alternativo sul test INVALSI di matematica: proposte, ragionamenti e spunti per rendere questo passaggio fonte di ricchezza.

di Sonia Sorgato

Le prove INVALSI rappresentano un momento dell’anno scolastico in cui gli insegnanti insieme ai propri allievi entrano in contatto con un sistema di valutazione che riguarda tutto il nostro Paese: questa relazione non è indolore poiché provoca a volte un rifiuto molto netto o timori eccessivi, mentre può diventare un’occasione per cimentarsi in situazioni assolutamente nuove.
Razionalmente sappiamo che non si tratta di una valutazione degli insegnanti ma, nonostante le dichiarazioni del sistema, i vissuti di ciascun insegnante sono spesso molto differenti e ci si domanda se gli strumenti forniti ai bambini siano effettivamente in grado di permettere loro di affrontare le situazioni problematiche fornite dalle Prove. È un banco di prova importante che va accompagnato e sul quale occorre riflettere in momenti diversi da quelli della somministrazione.

Sicuramente l’aspetto positivo che negli anni è scaturito dalla necessità di somministrare questo tipo di prove è un ripensamento globale del proprio modo di fare scuola: le prove Invalsi hanno costretto tutti gli insegnanti a fare i conti con una matematica che purtroppo ancora poco abita le nostre classi. Anche i colleghi più restii a una didattica di tipo laboratoriale e fondata su problemi veri si sono resi conto che le modalità trasmissive e il lavoro basato solo sull’esercizio non avrebbero permesso a tutti di affrontare in modo positivo le Prove: a volte nei team si è rimasti stupiti di come alcuni bambini meno brillanti riuscissero a raggiungere risultati insperati in questo tipo di prove e altri molto competenti nelle prestazioni tradizionali incontrassero invece difficoltà non previste. Ci si è quindi interrogati su quali competenze venissero sollecitate e in particolare su quali azioni si potessero mettere in campo per fornire ai bambini la cassetta degli attrezzi per sostenere le prove: il nodo che ha spesso messo duramente alla prova gli insegnanti e i bambini anche sui test di matematica è stato sicuramente il linguaggio. Si sono aperti molti dibattiti sul fatto che fosse necessario rinforzare le conoscenze e le abilità per consentire ai propri alunni di avere una base solida per costruire le competenze: il passaggio alla competenza comporta la necessità di trasferire in situazioni più complesse e inusuali ciò che è stato imparato precedentemente con la consapevolezza di “saper cosa fare anche quando non si sa cosa fare” (Claxton, 1998 cit. in Castoldi, 2011).

A volte i dibattiti si sono orientati sui contenuti, aggiungendo spesso fretta a un “programma” che poteva apparire già eccessivamente carico; in altri casi gli insegnanti hanno lasciato immutato il proprio modo di fare scuola inserendo poco prima della data fatidica delle prove una sorta di periodo di allenamento con batterie da provare e riprovare con tempi stretti senza lasciare spazio alla riflessione a posteriori. Posto che una simulazione può essere utile per abituare i bambini a una tipologia di attività magari poco praticata nella scuola, è risultato chiaro che un allenamento alle prove Invalsi è in realtà fallimentare soprattutto se non si permette ai bambini di interrogarsi rispetto ai propri ragionamenti. Per capire a fondo la logica che è intrinseca alle prove Invalsi dobbiamo fare un passo indietro e interrogarci sullo scopo del processo di insegnamento-apprendimento nella matematica e nelle diverse materie in generale: l’insegnamento della matematica, come sottolinea Schoenfeld (1992), dovrebbe fornire ai bambini un “senso della disciplina, un senso del suo scopo, potere, uso e storia”. L’aspetto principale risiede nella necessità di dare un senso della matematica secondo l’esperienza del bambino in modo che possa confidare nelle proprie capacità per fare matematica. Imparare la matematica è quindi principalmente “fare matematica” per questo diventa necessario interrogarsi sulla natura dell’esperienza e su ciò che significa fare esperienza di matematica: “il problema centrale di un’educazione basata sull’esperienza è quello di scegliere il tipo di esperienze presenti che vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno” (Dewey, 1916).

La proposta della scuola dovrebbe puntare l’attenzione sul mondo esperienziale del bambino al fine di costruire in modo solido i propri modelli mentali in base alla realtà per sperimentare, rappresentare, formalizzare, consolidare, alla ricerca di strutture matematiche che i bambini riconoscano come utili per la propria vita. È proprio questo forte ancoraggio all’esperienza che permette ai bambini di capire il legame che può esistere tra la matematica e la realtà così come viene raccomandato anche nei traguardi delle Indicazioni nazionali del 2012. La costruzione di questa relazione non può essere demandata alle loro capacità acquisite in altri ambiti o a esperienze vissute in contesti familiari quando tutti sappiamo che le esperienze sono purtroppo sempre meno, sempre più povere e non raggiungono tutti i nostri bambini. Uno dei nuclei fondanti di questo modello basato sull’esperienza è sicuramente rappresentato dai problemi: “intesi come questioni autentiche e significative, legate alla vita quotidiana” (Indicazioni Nazionali): fare matematica è innanzitutto risolvere problemi attraverso attività di tipo cooperativo dove il bambino possa riconoscere la necessità di lavorare con il gruppo per arrivare alla soluzione, per sperimentare nel ragionamento dell’altro strategie differenti. Le prove INVALSI rappresentano sicuramente degli esempi di problemi complessi con diverse gradazioni di difficoltà e possono diventare degli spunti operativi per un lavoro collaborativo in grado di far emergere i processi legati alla risoluzione, per mettere a confronto idee e modalità differenti: la proposta potrebbe quindi essere quella di lavorare in piccolo gruppo su uno stesso item riuscendo a documentare e quindi a rendere trasparente il processo che porta il gruppo a risolvere il quesito. La sperimentazione di questo tipo di negoziazione vissuta all’interno del gruppo aiuterà sicuramente i bambini quando si troveranno da soli davanti alle domande, poiché sarà chiara la necessità di mettere in gioco un processo complesso di comprensione, analisi dell’item e di risoluzione non più semplicemente legata alla scelta di un’unica operazione così come avviene solitamente nei problemi tradizionali proposti a scuola. Un’ulteriore possibilità di lavoro può essere quella di discutere in modo collettivo su alcuni item scelti ad hoc (Gestinv 2.0 Archivio interattivo delle prove Invalsi), già risolti da un compagno e possibilmente errati, se il clima sociale della classe lo consente, per cercare di entrare in profondità nel processo risolutivo e acquisire quindi anche strumenti per sostenere le proprie idee e le evidenze che consentono la ricerca della soluzione corretta.

Lo scopo principale di un lavoro di questo tipo non è quello di toccare tutti i contenuti ma di far passare l’idea che per i bambini sia possibile affrontare situazioni complesse anche da soli, senza che sia necessario l’intervento di forte mediazione dell’adulto poiché è stato costruito nel tempo un senso di autoefficacia nei confronti dei compiti complessi: percorso difficile ma certamente possibile.

Bibliografia

  • Castoldi M. (2011), Progettare per competenze. Percorsi e strumenti, Carocci editore, Roma
  • Dewey J. (1916), Esperienza ed educazione, La Nuova Italia, Firenze
  • Polya G. (1967), Come risolvere i problemi di matematica, Feltrinelli, Milano. 
  • Schoenfeld A. H. (1992), Learning to think mathematically: Problem solving, metacognition, and sense-making in mathematics in D. Grouws (Ed.) Handbook for Research on Matehematics teaching and Learning, MacMillan

 

Sonia Sorgato è insegnante di Scuola primaria, tutor coordinatore e conduttrice di laboratori per il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Milano-Bicocca; collabora con l’associazione Ma.P.Es. e con Pearson Italia in qualità di formatrice e consulente editoriale.
È coautrice del volume Fare matematica, Pearson Italia 2015, e autrice insieme a Laura Papetti del nuovo progetto di volumi per le vacanze Accendi l'estate, Pearson Italia 2019.