
Le prove INVALSI e la nuova cultura valutativa
Per comprendere al meglio il valore delle prove
PROVE INVALSI
Per molti docenti le prove INVALSI rappresentano ancora uno strumento per valutare arbitrariamente aspetti della didattica e dell’organizzazione scolastica. Alcuni obiettano che questa modalità di rilevazione è fuorviante e non coincide con la valutazione dell’insegnante, che conosce meglio di chiunque altro le capacità dei propri studenti. Ma la critica più forte viene da chi teme una cultura della valutazione che piegherebbe l’insegnamento a forme di addestramento finalizzate a superare la prova. Ci chiediamo quale valore possano invece portare le prove all’interno della nuova cultura valutativa che si sta profilando.
di Enrica Ricciardi
Le prove INVALSI, pur criticate per le ragioni sopra esposte, hanno portato alla luce negli ultimi anni un nodo culturale importantissimo, che il nostro sistema di istruzione non può ignorare.
Di fronte alla quota ancora molto alta di ragazzi (almeno uno su tre, secondo le ultime rilevazioni) che leggono un testo senza capirlo, la scuola lancia forti segnali di allarme: l’analfabetismo funzionale (non capire quello che si legge, pur possedendo le competenze di lettura strumentale) frena ogni tipo di apprendimento, impedisce l’esercizio del pensiero critico, limita la competenza linguistica, trasversale a ogni disciplina, e di fatto rallenta lo sviluppo culturale e sociale del nostro Paese.
L’esercizio della lettura mira, infatti, a ridurre le disparità scolastiche e a realizzare due importanti scopi dell’istruzione: equità e uguaglianza. Ma la competenza di lettura dev’essere accompagnata da un esercizio continuo perché, se non diventa una consuetudine frequente, si può perdere.
Per questo è necessario che la scuola assicuri uno strumento teorico e didattico attraverso il quale ogni insegnante possa organizzare un curricolo di lettura.
Se la comprensione del testo è davvero il grande problema della scuola e se le maggiori difficoltà si annidano nell’organizzazione logica e nella coesione del testo, allora forse vale la pena di interrogarsi su ciò che intendiamo per lettura. La lettura silenziosa, ad esempio, è indubbiamente una pratica altamente formativa, ma per molti dei nostri alunni è una pratica noiosa e difficile: noiosa perché spesso è associata allo studio, è vissuta in solitudine, è legata a letture lunghe e poco significative; difficile perché spesso i testi presentano un linguaggio poco chiaro e complesso. Invece i ragazzi devono abituarsi a leggere molto, testi vari: divertenti ma anche seri, semplici e a volte complicati, brevi e lunghi, meglio se sotto la guida dell’insegnante. Solo così impareranno a leggere e a interrogarsi su di sé e sul mondo, autonomamente, con spazi aperti a quello che non si capisce. In questo modo la lettura non sarà solo un compito individuale, una consuetudine quotidiana o un piacere personale. Essa diventerà anche un’attività di tipo sociale e molto gradita perché farà sentire gli alunni membri di una comunità condivisa. Purtroppo sono scomparse quasi del tutto l’oralità e la socializzazione che costituivano un tempo la principale forma di lettura e ora il leggere è inteso quasi esclusivamente come un’operazione mentale da condurre estraniandosi dal mondo circostante.
Per avvicinare gli studenti ai testi, invece, nessun’altra procedura risulta più efficace di una lettura a viva voce attraverso la quale l’insegnante cementa la relazione con gli alunni e li guida nello spazio tra l’oralità e parola scritta.
Inoltre una buona didattica della lettura deve tener conto della dimensione fisica della parola che nella scuola primaria è di fondamentale importanza, ma deve anche proporre una immersione nel testo scritto sul quale è necessario concentrarsi in silenzio, soffermandosi, ritornando indietro, cercando ciò che serve per non perdere il filo del discorso. In questa prospettiva, una buona didattica aiuta i nostri alunni a passare da una lettura impressiva a una di tipo analitico, orientando, rinforzando i processi e le strategie attraverso i quali gli studenti giungono a comprendere un testo. Ciò vale particolarmente per la comprensione del testo espositivo la quale necessita di schemi e di concetti che non appartengono direttamente al vissuto del bambino, e per questo vanno insegnati attraverso il riconoscimento di fenomeni legati al lessico e alla tipologia testuale.
In quest’ottica bisogna riconoscere che le prove INVALSI hanno avuto importanti meriti. Vediamone alcuni partendo dal Quadro di Riferimento, che costituisce già di per sé un efficace modello di orientamento.
Il documento descrive in modo scrupoloso il costrutto teorico sul quale sono fondate le domande della prova, elaborate seguendo gli obiettivi di apprendimento scanditi dalle Indicazioni Nazionali. Esaminandole, ci accorgiamo che esse comprendono un ampio ventaglio di aspetti (7 divisi in 3 macro-aree) su cui si misurano le competenze di lettura. Competenze che i docenti di ogni disciplina allenano già tutte le volte che insegnano a leggere un testo, a esplorarne i vari significati e a conoscere il modo con cui essi vengono trasmessi.
Nulla di più lontano da attività di mera memorizzazione, che le stesse Indicazioni scoraggiano, quando raccomandano di evitare forme di addestramento finalizzate al superamento delle prove.
Il lettore esperto delineato nei quadri teorici dell’INVALSI è infatti lo studente che ha confidenza con un diversificato ventaglio di letture, che acquisisce e rielabora conoscenze, senza tuttavia rinunciare alla dimensione creativa nel suo rapporto col testo.
Perciò alla lettura individuale, frequentemente sottoposta a valutazione, aggiungiamo alcune pratiche integrate: alle verifiche che utilizzano in grande quantità le domande a risposta chiusa come unica forma di accertamento di comprensione, contrapponiamo strategie di lettura che mirano alla costruzione cooperativa delle conoscenze. Capovolgendo i compiti, insegniamo ai bambini e ai ragazzi a fare domande più che a dare risposte. Usiamo il materiale delle prove INVALSI come una risorsa che possa migliorare il lavoro in aula, in un’ottica di didattica laboratoriale. Insegniamo ai nostri alunni a interrogare il testo e capire quante e quali domande intelligenti possono scaturire dalla sua lettura. E ancora, insegniamo ad analizzare con i compagni come e perché sono state formulate alcune domande: “Quale operazione è richiesta al lettore per rispondere a questa domanda? Si devono cercare informazioni o individuare altri indizi utili a scogliere i nodi della comprensione? Quella domanda lì, deve spiegare il significato di una espressione o stabilire un legame tra quello che è stato detto prima e quello che segue poi? Quali competenze vengono richieste? Dove si rintraccia la parte di frase che contiene la risposta corretta? Si è proprio sicuri? Si deve andare oltre la frase? Quali distrattori si avvicinano di più alla risposta corretta? Perché?...”
In altre parole, è molto importante mettere i propri studenti sulle tracce degli indizi che l’autore ha disseminato nel testo; non dare soluzioni, ma insegnare a esaminare tutti insieme il contenuto. In questo modo l’alunno in difficoltà non si sente solo davanti alla impenetrabilità della pagina scritta ma impara ad ascoltare le opinioni degli altri; non è sopraffatto dal timore di rispondere, acquista fiducia ed impara a prendere la parola, fa esperienza concreta di coralità e di comprensione collettiva. Il testo diventa finalmente un’occasione di dialogo ed interazione: fare domande e dare risposte, immaginare alternative facili o difficili sollecita i processi di decentramento e stuzzica il gusto per la ricerca e l’esplorazione. In questa prospettiva il metodo del problem solving svolge una funzione insostituibile perché sollecita gli alunni a individuare problemi, a sollevare quesiti, a mettere in discussione le conoscenze già elaborate, competenze utili anche per imparare riflettere su ciò che si è fatto e su come lo si è fatto, cioè ad autovalutarsi.
Questa didattica della lettura è una pratica socializzante, attiva quei processi metacognitivi e metalinguistici che ci ricordano quanto la lettura sia “gusto intellettuale della ricerca di riposte a domande di senso…” (Indicazioni Nazionali 2012). Quando i bambini hanno la possibilità di misurarsi con problemi da risolvere e di cui rendere conto al gruppo dei pari, accettano di mettersi in gioco e di sbagliare, non temono le sfide e i confronti. E alla fine scopriranno insieme a noi che fare domande è molto più difficile che dare risposte perché, come dice Jostein Gaarder: “Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre”1.
Non dimentichiamo inoltre che la capacità di leggere e comprendere un testo rimane requisito essenziale anche per affrontare il linguaggio matematico. La Matematica, pur con un suo linguaggio simbolico e astratto, non abbandona mai del tutto il linguaggio verbale, come si può notare negli item delle prove: essi presentano un testo scritto oppure un testo misto, verbale e simbolico, e per essere affrontati richiedono contemporaneamente il possesso delle competenze di lettura e delle competenze matematiche. Confrontando le performance dei singoli studenti in italiano e matematica, si può notare che negli anni della scuola primaria esse tendono a coincidere, mentre possono divergere in un momento successivo, quando i due linguaggi si strutturano in modo più netto. In questo caso potremmo avere, ad esempio, degli studenti che non vanno molto bene nelle prove di comprensione in italiano ma hanno ottime performance in matematica. Come pure potremmo avere alunni il cui fallimento in matematica è legato alla scarsa comprensione delle consegne degli esercizi e dei problemi.
NOTE
1 J. Gaarder, C’è nessuno?, pag 22, Einaudi Scuola, Milano, 1999
Referenze iconografiche: Rido / Shutterstock
Prove INVALSI: l'area dedicata a docenti, studenti e genitori
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