
L'Esame di Stato ha superato... l'esame
Un primo bilancio sul nuovo Esame di Stato
ESAME DI STATO
Al termine della prima edizione del nuovo Esame di Stato si può iniziare a fare un bilancio dei risultati attraverso i numeri e le percentuali: per quanto ci siano aspetti migliorabili, l’esito complessivo è certamente positivo.
di Giuseppe Bonelli
Il nuovo Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione ha superato la prima edizione con esiti sicuramente positivi. Il numero molto alto di studenti promossi era un dato abbastanza atteso, considerando la serie storica dei risultati e l’inevitabile flessibilità dovuta alla condizione di pionieri dei candidati di quest’anno; meno scontato, invece, era l’esito complessivo della procedura, che rischiava ragionevolmente di venir compromesso da possibili intoppi burocratici o situazioni di contenzioso dovute alle numerose variazioni normative introdotte. Ancora una volta, è il caso di dirlo, la scuola italiana ha invece risposto con responsabilità ed efficienza a una riforma certamente non imprevista, ma comunque incisiva sulla prassi ordinaria. Tuttavia è importante tracciare un bilancio di questa prima edizione, sia sulla base dei dati statistici, attraverso gli esiti nazionali resi disponibili dal Miur, sia sulla base dei riscontri forniti dall’attività delle Commissioni durante lo svolgimento degli esami, in attesa di una più compiuta sintesi che dovrà essere condotta sui report del personale di vigilanza.
Uno sguardo ai numeri
Esaminando gli esiti pubblicati dal Miur alla fine del mese di luglio un primo dato su cui soffermarsi è appunto quello della coincidenza del numero dei promossi con la serie storica ormai consolidata: la variazione, comunque in positivo, è solo dello 0,1% (promossi 2018: 99,6% promossi 2019: 99,7%). Più interessante il confronto tra i diversi ordini di scuola e tra i territori. Se consideriamo i voti finali spicca come la percentuale dei promossi con risultati superiori ai 70/100 sia molto alta nei licei (70,2%) rispetto ai tecnici (53,9%) e ai professionali (53,1%), mentre al contrario i 60/100 sono il 9,3% nei tecnici, il 9,6% nei professionali e solo il 4,4% nei licei. Unico dato in controtendenza quello del liceo sportivo (che tuttavia ha un’incidenza statistica minima visto il numero programmato di sezioni attivate) che presenta un 10,4% di 60/100 a fronte di solo un 3% di diplomati a pieni voti.
Il confronto territoriale è stato oggetto di un ampio dibattito mediatico relativo alla distribuzione disomogenea delle lodi nella penisola: nel Centro e nel Sud nessuna regione è scesa sotto l’1% di alunni eccellenti con punte del 3,4% in Puglia e del 2,6% in Calabria, mentre nel Nord le uniche regioni ad andare oltre l’1% di diplomati con lode sono Liguria (1,1%) ed Emilia Romagna (1,3%). Il dato più significativo, però, emerge dal confronto con le prove Invalsi di quinta, effettuate per la prima volta quest’anno: considerando i cinque livelli progressivi di raggiungimento degli obiettivi definiti dall’istituto, nell’Italia settentrionale il massimo è raggiunto da circa il 20% degli studenti in italiano e dal 30% in matematica, mentre in inglese il 50% raggiunge il livello B2 del Quadro europeo delle competenze linguistiche; al contrario nell’Italia centro-meridionale tutte queste percentuali precipitano. Importa rilevare come questo divario appaia parzialmente rovesciato negli esiti delle valutazioni intermedie degli anni precedenti dalla prima alla quarta sempre pubblicati dal Miur: i non ammessi alla classe successiva sono per esempio il 10% in Sardegna, l’8,1% in Campania, il 7,7% in Toscana e il 7,5% in Sicilia, mentre in Veneto sono il 5,9%, in Piemonte il 6,8% e in Lombardia il 7,5%. Ma di nuovo capovolto è il dato dei giudizi sospesi, costantemente oltre il 20% nel Centro e al Nord, costantemente sotto nel Sud. Un quadro complessivamente problematico, dunque, che certamente impone un’ulteriore riflessione sulle modalità di valutazione; la distribuzione dei voti più alti così diseguale tra i diversi ordini di scuola evidenzia anche come la situazione dello studente al termine della secondaria di secondo grado non evolva rispetto all’uscita dalla secondaria di primo grado: l’eccellenza si concentra nei licei, mentre nei tecnici e professionali stenta a manifestarsi. Relativamente al confronto territoriale, invece, una chiave di lettura potrebbe essere quella dell’aggiornamento: la scuola del Nord appare infatti più in linea con una didattica per competenze (che sono al centro della misurazione Invalsi) e inclusiva (con un contenimento della dispersione iniziale).
Come sono andate le prove scritte?
L’impatto maggiore della nuova normativa riguardava sicuramente le prove scritte, ridotte a due e rivoluzionate sia nel contenuto sia nella metodologia di valutazione. A un primo giudizio, anche se sommario, pare che l’esperimento abbia avuto un esito positivo sia nel gradimento degli studenti, che in italiano hanno premiato comunque la traccia argomentativa, quella maggiormente innovativa tra le diverse tipologie, sia tra i docenti, che non hanno riscontrato particolari difficoltà nell’utilizzo delle griglie di valutazione nazionali e nella correzione della seconda prova, per la prima volta in forma mista tra due delle discipline caratterizzanti. Non sono emersi particolari contenziosi e non sembra che le nuove modalità abbiano penalizzato gli studenti. Non si è registrata la paventata scomparsa della dimensione storiografica della prova di italiano, con ampi riferimenti alle vicende storiche nelle tracce delle tipologie
proposte, ma qui occorrerà misurare sulla distanza l’attenzione ministeriale al problema, dato che in questa prima edizione vi era stata una discreta pressione mediatica e scientifica a tutela della storia. Due piuttosto sono parsi gli elementi di debolezza della nuova struttura. In primo luogo l’utilizzo della griglia di italiano senza parametri numerici univoci non è stato sempre agevole: è emersa una non sempre piena comprensione del meccanismo, che prevedeva un adeguamento dei parametri all’indirizzo di studio e alla situazione della classe e non al punto di vista didattico della Commissione o, peggio, del solo Commissario di italiano, tra l’altro esterno e quindi meno in sintonia con l’ambiente scolastico di riferimento. Forse nelle future simulazioni o nelle ulteriori attività formative proposte dal Miur occorrerà anche proporre esempi di taratura dei parametri in considerazione degli indirizzi e dei livelli di apprendimento.
Al contrario è apparsa molto più apprezzata e di facile impiego la griglia di valutazione, non a caso inevitabilmente più rigida e predeterminata nei punteggi, della seconda prova. Altro punto di debolezza è stata la valutazione delle competenze, da un lato per le scelte ministeriali, che hanno attenuato l’indicazione della Commissione Serianni circa la necessaria eccentricità delle tracce rispetto alla programmazione didattica, proprio per consentire ai candidati di applicare quanto appreso in un contesto sconosciuto: alla fine i temi proposti, in entrambe le prove scritte, sono apparsi molto più tradizionali di quanto le prime sperimentazioni non avessero prospettato. Dall’altro lato non è apparsa nelle Commissioni un’adeguata attenzione alle dimensioni meno consuete della valutazione, che pure le griglie evidenziavano: l’impressione è stata che criterio di determinazione del punteggio sia rimasto prevalentemente il numero di errori, concettuali o materiali, mentre il cambio di paradigma proposto (da cosa sa o non sa lo studente a cosa quest’ultimo è capace di fare) pare stenti a decollare.
Un bilancio sul colloquio
Nel complesso di un Esame che ha avuto un impatto positivo sull’utenza e sui docenti, oltre che sul sistema scolastico in generale, il colloquio ha fatto forse registrare i maggiori punti critici. Prima di affrontarli, però, va rilevato che anche in questo caso il numero di ricorsi e di contenziosi è rimasto sostanzialmente invariato così come non pare mutata la complessità burocratica rispetto alle precedenti edizioni. Questo ha comunque un valore molto positivo, se pensiamo che le novità introdotte dal Decreto 62 in questa parte della prova non solo sono state complicate dalle successive modifiche apportate nella scorsa estate dal nuovo Governo, ma anche da alcune interpretazioni rese in extremis dal Miur con il conseguente adeguamento in corsa da parte di Commissioni e Consigli di classe. Il complesso meccanismo della scelta dell’argomento dal quale avviare la prova, per esempio, ha visto una costante incertezza circa il rapporto tra quest’ultimo e il documento finale del Consiglio di classe e ha portato a un lungo dibattito circa le modalità di somministrazione agli alunni DSA. Il risultato è stata una nota diramata a un mese dagli esami che ha chiarito come operare, ma non ha potuto ovviamente modificare quanto precedentemente lasciato indefinito sia dal Decreto sia dalla consueta Ordinanza annuale sulle modalità di svolgimento dell’Esame. Ne è nata la convinzione di una certa flessibilità nell’applicazione delle norme, che fortunatamente ha avuto l’esito positivo di adeguare la proposta alla situazione esistente e non quello negativo di creare disparità di trattamento. Certamente nell’Ordinanza del prossimo anno occorrerà fare maggiore chiarezza.
Altro elemento di criticità è rimasta l’impostazione interdisciplinare della prova, che ha visto alcune Commissioni ripiegare su collegamenti improvvisati o solo formali, per poi piano piano scivolare nella consueta verifica orale dei contenuti disciplinari. Anche in questo caso non si poteva improvvisare: i nodi interdisciplinari vanno costruiti ed esercitati nel corso della programmazione annuale, costruendo curriculi orizzontali tra le diverse discipline, orientati agli ambiti di competenza valutati al termine del primo biennio. Siamo anche in questo caso di fronte a un tentativo di riforma dall’alto della didattica, che già è avvenuta attraverso l’Esame di Stato in altri settori, ultimo in ordine di tempo quello della valutazione delle competenze, almeno linguistiche: questa dinamica richiede, però, un processo molto più lento di quello auspicato dai vari legislatori che hanno riformato l’Esame negli ultimi vent’anni. Sono rimandate al prossimo anno le verifiche sui Percorsi di Acquisizione delle Competenze Trasversali e di Orientamento e sulle iniziative di Cittadinanza e Costituzione.
Non si sono rilevati incidenti di percorso ma nemmeno segnalazioni di comportamenti o esperienze particolarmente virtuose: probabilmente la contemporanea presenza di tre diverse piste di conduzione del colloquio (argomento in busta, PCTO e cittadinanza e costituzione) ha finito, anche per il complesso meccanismo del sorteggio iniziale, per relegare gli altri due momenti del colloquio nella sfera dell’intermezzo soggettivo dell’alunno. Ha inciso in tal senso non tanto l’assenza di una specifica griglia nazionale per il colloquio, che fatalmente sarebbe stata ancora più elastica e bisognosa di adattamento di quella della prima prova per l’eterogeneità delle materie che avrebbe dovuto comprendere, ma piuttosto la mancanza di alcuni pesi definiti in ventesimi da riservare ai due momenti specifici, che servirebbero a valutare compiutamente due aspetti che restano strategici. Tuttavia il controverso varo della nuova normativa relativa all’insegnamento dell’educazione civica apre nuovi scenari sul futuro di questa parte del colloquio (al momento vigente solo per quest’anno e poi destinata a sparire), mentre occorrerà capire se il nuovo Governo applicherà definitivamente l’obbligatorietà del monte ore di PCTO per accedere all’esame, oltre a quello dello svolgimento delle prove Invalsi, obbligo attualmente derogato solo per quest’anno. In ogni caso la promessa del nuovo Ministro di non toccare l’esame per cinque anni sembra già irrealizzabile…
Ad maiora
In conclusione l’Esame… ha superato l’esame, anche se siamo all’inizio di un percorso che richiederà non solo assestamenti normativi ma anche la prosecuzione dell’azione di formazione e monitoraggio da parte del Miur e degli Uffici scolastici. Come abbiamo visto resta da completare un’evoluzione della didattica che ha ancora zone di resistenza al cambiamento, territoriali e concettuali, e soprattutto resta una battaglia culturale da completare, fuori e dentro la scuola italiana: quella contro l’adagio passatista di chi vede in ogni modifica dello status quo un attentato alla serietà e alla validità culturale del nostro sistema scolastico in una corsa suicida verso il basso del livello di apprendimento delle attuali e future generazioni. Non sono mancate voci in tal senso anche a commento di questo nuovo esame, ma sarebbe sbagliato liquidarle come sterili polemiche reazionarie: occorre considerarle come costante monito a rendere esplicito, prima a noi operatori e poi all’utenza, che la scuola serve a imparare ad apprendere soprattutto per chi non sa farlo da solo, senza sconti o scorciatoie, ma anche senza selezioni più o meno darwiniane.