Scuola e futuro

Futuro della scuola e futuro nella scuola

Guardare al futuro oggi pone grandi sfide. Per questo Roberto Poli, docente dell'Università di Trento, dichiara la necessità di acquisire una "competenza di futuro" – la futures literacy. Ce ne parla in questo contributo, in cui, assieme a Chiara Emanuelli, declina la competenza di futuro sulla scuola.

di Roberto Poli e Chiara Emanuelli

La differenza fra “futuro di” e “futuro in”

Il rapporto fra scuola e futuro presenta due declinazioni principali, incentrate l’una sul futuro dei sistemi educativi, l’altra sul ruolo del futuro nel processo formativo. Parleremo nel primo caso di futuro della scuola, mentre nel secondo di futuro nella scuola.

Il “futuro di” in ambito scolastico include domande che si riferiscono ai cambiamenti del sistema della formazione primaria e secondaria e alle forze che ne condizioneranno lo sviluppo.
Alcune di queste forze sono già visibili e indicano precise direzioni di sviluppo: cambiamenti demografici, mercato del lavoro e nuove tecnologie. Altre forze sono meno chiare e alludono a cambiamenti – per esempio politici e istituzionali – che possono andare in direzioni molto diverse.

L’altra componente, quella del “futuro in”, ha caratteristiche in parte diverse. L’espressione “futuro in” si riferisce all’introduzione strutturata di competenze di futuro all’interno di un’organizzazione, istituzione o comunità. In questo caso, non si tratta di costruire scenari ma di acquisire la capacità di usare attivamente il futuro nel presente, l’abilità di “far parlare” il futuro. Si tratta di una competenza più culturale e attitudinale che tecnica, anche se ovviamente non può prescindere da alcuni elementi tecnici. Per indicarla usiamo l’espressione futures literacy (Miller, 2007, 2011; Poli, 2019, 2020). Imparare a leggere e scrivere richiede certo la capacità di padroneggiare elementi tecnici (per esempio la grammatica della propria lingua), ma si tratta fondamentalmente di acquisire strumenti di libertà che permettano alle persone di orientarsi, sviluppare idee e punti di vista, esprimersi e difendere la loro dignità. Allo stesso modo, la futures literacy richiede l’acquisizione di alcune competenze di base ma è soprattutto uno strumento di libertà che permette alle persone di orientarsi, sviluppare idee e punti di vista, esprimersi e difendere la loro dignità.

Il futuro della scuola

I cambiamenti in arrivo si preannunciano così profondi e sorprendenti che qualsiasi riorganizzazione della scuola basata esclusivamente o principalmente su contenuti rodati e consueti o su processi e consuetudini assimilate promette di fallire.
Qualsiasi proposta che sostenga la necessità di insegnare più matematica o più lingue straniere o più informatica o più storia è destinata a cadere in questo errore. Non vogliamo sostenere che le competenze disciplinari siano irrilevanti: il problema è che nessuno conosce le competenze che saranno necessarie domani. Da questo punto di vista, la soluzione ideale è che ogni scuola insegni quello che sa insegnare. Se un Istituto ha ottimi docenti di matematica, insegni più matematica, se ha ottimi insegnanti di storia, insegni più storia. Nel tempo, gli Istituti si distingueranno sempre di più tra loro e gli studenti avranno ragioni esplicite per sceglierne uno invece di un altro.
Al di là delle competenze disciplinari, avremo soprattutto bisogno di formare persone autonome, capaci di stare in piedi, credere in sé stesse e nelle proprie idee, in grado di leggere il proprio ambiente e costruire le proprie fonti di reddito. In una frase: le scuole dovrebbero mirare a sviluppare il carattere dei loro studenti. Le nuove generazioni dovranno avere la capacità di interpretare i nuovi contesti in cui si troveranno ad agire.
Ciò è particolarmente rilevante perché, almeno per quanto riguarda l’Italia, gli insegnanti e l’intera struttura scolastica avranno sempre più a che fare con la riduzione già visibile delle competenze genitoriali di molte famiglie, che verranno messe ulteriormente sotto tensione dall’accelerazione delle innovazioni. La gestione delle novità tecnologiche sarà sempre più in mano ai giovani, in un rovesciamento epocale delle parti. I genitori appaiono già obsoleti e persino irrilevanti nell’accompagnare i giovani nei nuovi tessuti lavorativi e dovranno per questo ricavarsi un nuovo ruolo, e non sarà facile.

Due fasi da superare

Una riflessione sulla struttura fondamentale del sistema scolastico, l’organizzazione per classi, può aiutare. Il meccanismo della classe segue la logica della catena di montaggio: tutti alla stessa velocità. Coloro che per qualche motivo sono più lenti vengono espulsi, coloro che sono più veloci si annoiano e gioca(va)no a battaglia navale. In una società in cui le catene di montaggio sono sparite persino dalle fabbriche, ha senso mantenere la stessa logica? L’organizzazione per classi è riuscita con successo a trasformare una popolazione di contadini analfabeti in una di operai e impiegati alfabetizzati. Oggi siamo in un’altra situazione.
È da notare che molti sistemi scolastici, non solo quello italiano, stanno attraversando una fase di furore certificativo. L’idea dominante sembra essere quella di certificare quanto più ampiamente possibile la qualità delle scuole, puntando a ottenere elevati standard condivisi dall’intero sistema scolastico. Si tratta di un’impostazione che usa i sistemi di certificazione della produzione industriale di massa e cerca di applicarli al mondo della scuola. È una strategia fuori tempo. In una fase storica in cui l’economia reale ha ormai superato la fase industriale di produzione e si sta sempre più trasformando in una economia dei servizi, il mondo della scuola si scopre ad adottare tecniche di certificazione antiquate. Siamo sicuri che le certificazioni di qualità della produzione di massa siano gli strumenti più adatti per il futuro sviluppo del sistema scolastico? I test, lo strumento principe della certificazione di massa, sono utilissimi per determinare gli standard minimi al di sotto dei quali non si deve andare.
Per tutto il resto serve altro, servono fantasia, creatività, il coraggio di fare cose diverse in modi diversi. Le soluzioni uniformi potevano servire in precedenti fasi storiche. Rispetto all’attuale complessità e diversificazione delle realtà sociali, riuscire a valorizzare i talenti, cioè le differenze, è una strategia più utile e produttiva che non imporre soluzioni uniformi.

Il futuro nella scuola

Possiamo distinguere diversi modi di “usare il futuro” in un contesto educativo (Poli, 2017a). L’orientamento di gran lunga più diffuso vede il futuro come riferimento implicito, pressoché scontato, del processo educativo. Lavorando con una dimensione che non viene esplicitamente tematizzata e articolata, il futuro rimane inarticolato, opera come sfondo tacito dell’azione educativa senza riuscire a diventare una risorsa attiva da usare proattivamente.
A fronte di questo primo orientamento “passivo” al futuro, possiamo collocare una varietà di altri orientamenti “attivi”, che usano intenzionalmente il futuro nel processo educativo. La varietà più diffusa assume i tratti della ottimizzazione dello sforzo per raggiungere un obiettivo predeterminato. I due casi più diffusi sono: l’ottimizzazione rispetto al contesto e l’ottimizzazione rispetto alle altre persone.

Le varianti dell’ottimizzazione

L’ottimizzazione rispetto al contesto presuppone di sapere che cosa succederà domani. Questa tendenza vede il futuro come sfondo per effettuare scelte razionali. Queste dipendono però almeno da una condizione preliminare, ovvero l’introduzione di un ordine univoco delle preferenze. In altre parole, esse presuppongono che le diverse scelte siano confrontabili rispetto a un unico criterio. Solo in questo caso ha senso parlare di scelta ottimale.
La ottimizzazione come vantaggio competitivo rispetto alle altre persone implica acquisire la forma mentis, il comportamento, le competenze vincenti. Il messaggio esplicito è che il frequentare le scuole giuste e l’avere il giusto titolo di studio garantiranno successo nella vita. Il ruolo dell’educazione in questo caso diventa uno dei fattori dominanti – se non il fattore dominante – del futuro successo.
Entrambe le versioni di ottimizzazione considerano il futuro come qualcosa che può essere conosciuto e rispetto al quale sappiamo che cosa dobbiamo fare per affrontarlo.
Queste strategie hanno senso solo se il contesto di riferimento è sufficientemente stabile, le istituzioni abbastanza solide e la conoscenza del futuro relativamente accurata e affidabile. Le grandi trasformazioni in corso, le incertezze della situazione attuale, i cambiamenti tecnologici e naturali in gestazione rendono però l’orientamento al futuro come ottimizzazione una strategia sempre più irrazionale (Archer, 2013).

Il futuro come “esplorazione” di possibili futuri

Come abbiamo visto, la logica dell’ottimizzazione presuppone di conoscere ciò che in realtà non è conoscibile. Il futuro è e rimane qualcosa che deve essere ancora scritto. In una situazione strutturalmente caratterizzata da elevati livelli di incertezza, l’ottimizzazione fa fare scelte pericolose. La principale opzione alternativa ricostruisce la capacità di aspirare come apertura di possibilità, a diversi livelli, anche contraddittori, non mutualmente ordinabili in una gerarchia univoca. Nel contesto dell’aspirazione, il futuro vale principalmente come “esplorazione” di possibili futuri.
Da questo punto di vista, il futuro va inteso come possibilità di diversi modi di essere e divenire. Non si tratta di un’affermazione epistemologica, ma di una forte tesi ontologica: il futuro sarà una realtà diversa, caratterizzata da modi di essere, di fare, di vivere, di sapere diversi da quelli del presente e del passato. È possibile che questi nuovi modi di essere siano peggiori di quelli che conosciamo, ma è altrettanto possibile che siano incommensurabilmente migliori. Ne consegue, quindi, che il futuro non è un territorio da cartografare e conquistare, ma una fonte di nuove possibilità per il presente (Bloch, 2005; Poli, 2017a). Se ammettiamo la possibilità di nuove, radicali novità, l’educatore non può limitarsi a preparare i giovani per un futuro predeterminato che lui stesso ha già immaginato e conosciuto, ma il suo compitò sarà quello di creare ed esplorare nuovi spazi di azione nel presente. A tal proposito, i Laboratori di Futuro in classe sono l’esperienza più innovativa e produttiva sin qui realizzata, non solo in Italia ma anche a livello globale (Emanuelli, 2017; Emanuelli et al., 2018; Poli, 2017b).

“Usare il futuro”?

Parlando di futuro nella scuola abbiamo scritto “usare il futuro”. Si tratta di un’espressione inusuale e forse anche strana. Come possiamo “usare” qualcosa che ancora non esiste? Questa espressione va intesa nello stesso modo in cui si intende la sua gemella “usare il passato”. Per complemento rispetto al futuro, anche per il passato potremmo dire: il passato ormai è andato, non possiamo farci più nulla, come possiamo usarlo? In realtà però almeno alcuni passati continuano a esercitare attive influenze, come esperienze positive o negative, come idee, sollecitazioni, speranze o paure. Usiamo il passato come elemento che entra nelle nostre scelte e nelle nostre decisioni. Lo stesso vale anche per il futuro. Anche il futuro ci attira o ci respinge rispetto alle esperienze che potremmo avere, alle idee, sollecitazioni, speranze e paure che incarna. In entrambi i casi, ciò che principalmente agisce nel presente sono le rappresentazioni del passato e del futuro.

Due condizioni per “usare il futuro”

La prima condizione necessaria per usare il futuro è dargli voce. Il futuro non sparisce se non ne parliamo, non ne discutiamo, non ne facciamo esplicita menzione. Il futuro continua a operare anche in questi casi; lavora però sottotraccia, senza che ne siamo consapevoli. Rendere espliciti i futuri possibili in via di formazione è il modo migliore per capirli, articolarli e per poter prendere posizione su di essi. Alcuni di questi futuri ci possono piacere, altri meno. Se non li esplicitiamo, non possiamo fare nulla e potremmo voler intervenire troppo tardi, quando i giochi saranno stati ormai fatti.
La seconda condizione per lavorare con il futuro è abbandonare il mito della linearità del tempo. Il tempo continua ovviamente a fluire nel suo solito modo e non stiamo certo proponendo viaggi temporali o altre fantasie alla Star Trek. Dal punto di vista della futures literacy, però, il punto critico è adottare lo schema “passato – futuro – presente”, abbandonando esplicitamente la serie “passato – presente – futuro”. Quest’ultima indica una successione lineare, vede il futuro come la continuazione del passato (e del presente, che in fondo finisce con lo sparire). La serie alternativa “passato – futuro – presente” assegna invece un’importanza fondamentale al momento del presente. Il presente è il luogo in cui le forze del passato e quelle del futuro convergono, competono e occasionalmente trovano un qualche momento di equilibrio, per poi riprendere la competizione fra ripetizione del vecchio e annuncio del nuovo.

Futuro e scuola

Anche se è facile riconoscere il ruolo del futuro nei processi educativi, le scuole e gli insegnanti rimangono prevalentemente orientati al passato. In generale, gli insegnanti non conoscono i metodi degli studi di futuro e non sanno come aiutare i loro ragazzi a usare il futuro, sfuggendo da trappole come quelle dell’ottimizzazione prematura e delle sue molte varianti.
Vogliamo ragazzi collaborativi e li mettiamo in competizione gli uni con gli altri; vogliamo ragazzi empatici e formiamo esclusivamente le loro competenze razionali; vogliamo ragazzi creativi e diamo compiti uguali per tutti; vogliamo sviluppare le competenze individuali dei ragazzi e li obblighiamo all’interno di percorsi predeterminati. Forse dovremmo fermarci un attimo e permetterci di sviluppare alcuni ragionamenti di fondo. Siamo tutti molto bravi a cercare alibi e a imputare ad altri la responsabilità di ciò che non funziona, come il Ministero, gli esami o addirittura, il grande imputato inesistente: il programma.

Questo vale per tutti. Per troppi anni il nostro Paese si è rinchiuso nella “gabbia del presente”, illudendosi di essere al sicuro dalle immense trasformazioni in gestazione e rifiutandosi di fare i necessari cambiamenti. Dobbiamo tutti capire che il XXI secolo è molto diverso dal precedente e dobbiamo attrezzarci alle nuove sfide. Lo deve fare il Paese e con esso lo devono fare anche gli insegnanti e i dirigenti scolastici. Per questo motivo, la formazione al futuro non serve solo ai ragazzi, ma anche agli insegnanti e ai dirigenti. Anche loro hanno bisogno di imparare ad aspirare e forse anche di imparare ad aspirare diversamente, autorizzandosi a sviluppare nuove visioni di futuro.

Bibliografia

E. Bloch, Il principio speranza (2nd ed., Vol. 1–3). Garzanti, Milano 2005.
C. Emanuelli, I laboratori di futuro nella scuola: L’anticipazione come strategia didattica, in "Ricercazione", 2017, 9(2), pp. 147–160.
C. Emanuelli, R. Scolozzi, F. Brunori, R. Poli, Future-Labs in the classroom: The experience of -skopìa, World Futures Review, 2018, (consultabile al sito: https://doi.org/10.1177/1946756718786325).
R. Miller, Futures literacy: A hybrid strategic scenario method, in "Futures", 2007, 39(4), pp. 341–362. https://doi.org/10.1016/j.futures.2006.12.001
R. Miller, Futures literacy. Embracing complexity and using the future, in "Ethos", 2011, 10(October), pp. 23-28.
R. Poli, Capacità di aspirare e uso del futuro, in "Ricercazione", 2017a, 9(2), 139-146.
R. Poli, Strategie di futuro in classe. Esperienze, metodi, esercizi, 2017b, Iprase, (consultabile al sito: https://www.academia.edu/33587320/Strategie_di_futuro_in_classe_esperienze_metodi_esercizi)
R. Poli, Lavorare con il futuro. Idee e strumenti per governare l’incertezza, Egea, Milano 2019.
R. Poli, The challenge of futures literacy, 2020, Submitted.

Roberto Poli: docente di Previsione sociale ed Epistemologia delle scienze sociali all’Università di Trento. È titolare della prima cattedra Unesco sui Sistemi anticipanti e Presidente di -skopìa, una start-up dell'università di Trento che propone Laboratori di futuro alle Scuole secondarie.

Chiara Emanuelli: responsabile del gruppo scuola di -skopìa.

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