

Sotto il segno dell’ignoranza
di Paolo Iacci
Paolo Iacci, membro del Comitato Scientifico di Pearson Academy, ha appena pubblicato per Egea il saggio Sotto il segno dell’ignoranza. Gli abbiamo chiesto di presentarci le tesi e i passaggi più significativi del libro, che cercando le cause del predominante elogio dell’ignoranza chiama in causa la scuola, la famiglia, il contesto culturale in cui viviamo.

«In Italia vige la dittatura dell’ignoranza. Questa è la nuova questione morale del Paese. La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una nuova orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità. La politica, i media, le istituzioni sono già stati in larga misura conquistati». Questo è l’incipit e, in sintesi, la tesi del volume. Ovviamente essere ignoranti è un limite naturale, un elemento costitutivo dell’essere umano. Una spinta a crescere e a superarsi, se non un limite di cui vergognarsi. Oggi invece l’ignoranza è motivo di vanto, sinonimo di sincerità e vicinanza con i problemi delle persone. Accade così che la sottosegretaria alla cultura si vanti di non aver letto neanche un libro negli ultimi tre anni e che il suo omologo all’Istruzione scambi Dante con Topolino. Le principali forze dei due rami del Parlamento sono unite dall’astio verso i tecnici e dall’avversione contro i “professori”, termine che è ormai diventato sinonimo di asservimento ai poteri forti. Chi difende il merito e crede che la competenza sia un elemento fondamentale per coprire posizioni di vertice è costantemente sotto attacco. L’unica vera cifra della classe dirigente della seconda repubblica è l’ignoranza diffusa, il complottismo, la radicalizzazione del pensiero e l’aggressività verso chi la pensa in modo differente.
Questo brutto spettacolo quotidiano altro non è se non lo specchio di un progressivo degrado sociale e collettivo. Ogni giorno vediamo non solo parlamentari alla prima esperienza di lavoro che parlano di cose di cui non hanno alcuna padronanza, ma anche giornalisti che inseguono lo scoop più trash purché faccia audience, dirigenti che sono arrivati a guadagnare cifre stratosferiche più per meriti di cordata che per il valore aggiunto prodotto, un intero popolo che preferisce l’arroganza dell’ignorante alla mitezza della persona colta e consapevole dei propri limiti.
Uno dei paradossi più significativi del nostro tempo
Proprio mentre la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico richiedevano una cultura critica sempre più ampia e specializzazioni sempre più spinte, si è fatta largo nel Paese una classe dirigente sempre più ignorante. Proprio nel momento in cui la complessità nella quale siamo immersi richiederebbe un enorme sforzo, individuale e collettivo, finalizzato allo sviluppo della conoscenza, la fetta della classe dirigente più colta e preparata non riesce a rimanere in sella e suo malgrado lascia spazio a una minoranza tanto aggressiva quanto ignorante.
Nell’opinione pubblica si è fatta strada la convinzione che la competenza sia una caratteristica ininfluente se non fastidiosa o, addirittura, controproducente. Le cause dell’oscurantismo culturale che stiamo vivendo sono molte e altrettante devono essere le vie da battere per provare a invertire la tendenza al degrado di cui il nostro Paese sembra vittima.
Sistema scolastico e il ruolo dei genitori
La prima causa è un sistema scolastico palesemente inadeguato (pur con tutte le debite eccezioni), dimenticato negli ultimi decenni, gestito per lo più da insegnanti demotivati e genitori improvvidi. Le riforme che si sono via via succedute non sono riuscite a ottenere il consenso dei diversi attori del sistema e non hanno centrato gli obiettivi, anche giusti, che si erano prefissi. I test Invalsi, pur con tutti i loro limiti, ci hanno offerto una fotografia sconsolante del nostro sistema scolastico, anche in confronto con quelli degli altri Paesi europei. La qualità del nostro sistema scolastico negli ultimi decenni non è stata tra le priorità nel nostro Paese. Una nazione che non investe sul proprio sistema scolastico ha smesso di investire sul futuro ed è quindi destinata a un inevitabile tramonto.
Un secondo motivo alla base del nuovo oscurantismo riguarda l’altro momento educativo per eccellenza, la famiglia. Il modello di famiglia di stampo paterno-normativo ha fatto un passo indietro a favore di un modello materno-relazionale. In passato il motto era: “prima il dovere, poi il piacere”. Ora “dimmi cosa preferisci, l’importante è che tu sia felice”. I genitori smettano di sentirsi in competizione con gli insegnanti e si focalizzino sul loro ruolo di sostegno e di vicinanza emotiva con i ragazzi e con i modelli culturali che questi stanno interiorizzando.
Questi due elementi, il degrado della scuola e il differente modello familiare, combinati tra loro, hanno ridimensionato le aspettative di tutte le figure adulte verso lo studio e la preparazione dei ragazzi. L’asticella si è progressivamente abbassata e sono cambiati i valori di riferimento.
Il duplice ruolo di internet
Alla crisi della famiglia e al degrado del nostro sistema scolastico si è aggiunta l’enorme e repentina diffusione di internet. Da un lato la rete è un’opportunità di aggiornamento, comunicazione e crescita culturale come mai avevamo visto nella storia dell’umanità. Dall'altro, però, ha fornito un meraviglioso megafono a una moltitudine che interviene con toni sempre molto aggressivi. Come diceva Indro Montanelli, «il sapere e la ragione parlano, l'ignoranza e il torto urlano». Gli incompetenti spadroneggiano nei social e stanno determinando un inaspettato abbassamento del livello del dibattito tra le persone. Le chiacchiere da bar mai nella storia hanno avuto un tale palco a disposizione.
Una diversa concezione del lavoro
Questi elementi si sono innescati su un’atavica cultura antiscientifica che trova le sue origini nella storia stessa del nostro Paese e su una profonda sfiducia degli italiani verso le istituzioni. Il merito e il lavoro hanno ormai perso la loro centralità. La mia generazione e quelle precedenti coltivavano la convinzione che il lavoro fosse il primo e fondamentale momento di socialità adulta. Oggi, al contrario, si pensa che la felicità sia ottenibile solo “dopo” il lavoro o, ancora meglio, “malgrado” il lavoro. Anche da questa diversa concezione del lavoro deriva la svalutazione delle competenze come elemento di felicità e di soddisfazione personale. L’ascensore sociale si è bloccato. Lo studio non paga più in termini occupazionali. Nella percezione collettiva la competenza richiede fatica e non serve: chiunque può fare fortuna senza disciplina, basta che trovi la strada giusta. Il merito non necessariamente conduce al successo.
L’analfabetismo funzionale
Il risultato di tutto ciò è l’incredibile incidenza degli “analfabeti funzionali” nel nostro Paese. Secondo i dati Ocse si tratta di quasi un italiano su tre. Chi sono gli analfabeti funzionali? Mentre una persona completamente analfabeta non è in grado di leggere o scrivere, una persona funzionalmente analfabeta riesce a comprendere il significato delle singole parole, ma ha significative difficoltà nel comprendere la concatenazione di queste e il ragionamento sotteso. In genere, infatti, la persona sa leggere, ma non sa ripetere con parole sue quello che ha letto. Il concetto complessivo gli sfugge, soprattutto se di carattere astratto.
Normalmente non riesce a distinguere tra notizie vere o false, neanche le più ovvie, e ragiona per slogan utilizzando schemi mentali predeterminati basati su stereotipi e pregiudizi. Non legge libri e giornali e ormai si informa solo tramite i social network. Non verifica mai le fonti di ciò che apprende in rete ed è quindi il miglior megafono possibile per qualsiasi fake news virale. Non si parla di persone incapaci di leggere o fare di conto, ma di persone prive delle competenze richieste in varie situazioni della vita quotidiana, sia essa lavorativa, relativa al tempo libero oppure legata ai linguaggi delle nuove tecnologie. L’analfabeta funzionale tende a banalizzare i temi complessi, a minimizzare e impoverire il dibattito: l’interlocuzione è spesso inesistente, poiché rispetto a un argomento egli ragiona per preconcetti o riconducendo le informazioni alla propria esperienza diretta. I segni dell’oscurantismo culturale nel nostro Paese sono quindi profondi e assai diffusi.
Laddove, però, il Paese ricomincia a ragionare, in famiglia, nelle scuole, sui luoghi di lavoro, nella società civile, tra i giovani, si sta riscoprendo il valore del merito, della professionalità e del sapere. Non è ragionevole aspettarsi che la guerra contro il dominio dell’ignoranza possa essere semplice o sicuramente vittoriosa, ma sta crescendo l’insofferenza verso chi aggredisce chi osa essere in disaccordo, in rete come nella vita di tutti i giorni. Occorre una sorta di grande rivoluzione culturale che nasca e si sviluppi dal basso. Le premesse ci sono. È sempre più evidente tra la gente il desiderio di rimettere il merito e la competenza al centro del vivere civile. Questo è il primo passo per risolvere la principale questione morale del Paese: il diffuso strapotere dell’ignoranza.
Paolo Iacci, Presidente di Eca Italia e di AIDP Promotion, insegna all'Università Statale di Milano dove ricopre la cattedra di “Gestione delle risorse umane”, dopo essere stato Presidente di BCC Credito Consumo e Condirettore generale del gruppo Pride. Ancor prima aveva ricoperto posizioni di Direttore HR in Italtel, Reader's Digest, Banca Intesa e Iccrea Holding. Già consigliere di amministrazione dell'Università Bocconi, collabora con Harvard Business Review e dirige HR Online. È membro del Comitato Scientifico di Pearson Academy.