
Per una lingua più inclusiva: i generi dei nomi
Spunti di riflessione per insegnanti, alunne e alunni tra grammatica ed educazione civica
PARITÀ DI GENERE - SCUOLA PRIMARIA
Ormai capita spesso che i media propongano dibattiti sulla lingua, incentrati in particolare sulla declinazione al femminile dei nomi. Il confronto, come spesso accade, si polarizza, assume toni aspri e talvolta eccessivi che rendono l’argomento poco attraente. Vale la pena, tuttavia, proporre questo tema in classe, illustrandolo come questione aperta su cui è possibile discutere e immaginare nuove soluzioni, dal momento che la lingua è fatta dai parlanti e per questo è una realtà in continuo mutamento.
di Simone Bettega e Irene Cavarero
Parliamo come pensiamo o pensiamo in un certo modo perché abbiamo certe parole?
Quella dell’influenza reciproca tra pensiero e linguaggio è una questione annosa e, di fatto, irrisolta. Alcuni studiosi hanno sostenuto che sia il secondo a influenzare il primo (ossia: gli esseri umani pensano diversamente a seconda della lingua che parlano). Altri propendono per l’ipotesi opposta, ovvero che sia “un certo modo di pensare” a determinare le caratteristiche del linguaggio (in altre parole: le pratiche e le abitudini di una società si riflettono nella lingua di quella società). La verità sta probabilmente nel mezzo: è vero che le lingue assorbono e codificano certi elementi dell’ambiente e della società in cui vivono gli individui che le parlano; ed è anche vero che, una volta “fissati” a livello linguistico, questi “pezzi di realtà” vengono percepiti come naturali e quindi incontestabili o comunque non facilmente modificabili sia sul piano della formulazione del pensiero sia sul piano della lingua parlata. Di fatto, pensiero e linguaggio si influenzano l’un l’altro in un ciclo senza fine, in cui non è veramente possibile stabilire un primato, come nel proverbiale esempio dell’uovo e della gallina.
Per addentrarci in questo percorso parallelo tra mentalità e lingua, vi proponiamo qualche approfondimento linguistico. Questi temi possono essere problematizzati e proposti anche alle ragazze e ai ragazzi sotto forma di semplici attività, che diventano spunti di riflessione per un dibattito in classe sulla parità di genere. Le attività proposte si profilano quindi come interdisciplinari, contemplando sia la riflessione sulla lingua sia l’educazione civica.
A livello lessicale, tutte le lingue neo-latine possiedono vocaboli distinti per indicare lo status maritale delle donne (si pensi all’italiano signora / signorina). Di queste distinzioni non esiste un corrispettivo maschile (il diminutivo signorino è possibile, ma ha connotazioni diverse). Questo avviene perché, a livello sociale, lo stato civile di una donna purtroppo è considerato ancora particolarmente rilevante.
A livello grammaticale, si può fare il ben noto esempio del maschile plurale percepito come genere “neutro”. In italiano, così come in tantissime lingue del mondo, articoli, nomi, verbi e aggettivi riferiti a gruppi di persone sono declinati al maschile, anche se il gruppo è composto tanto da uomini che da donne: si dirà comunque “i ragazzi vanno in gita” anche in riferimento a una classe composta in larga maggioranza da studentesse.
Per ragionare in classe su questo tema si possono proporre un semplice esercizio e una discussione.

Gli alunni e le alunne dovrebbero barrare per le sezioni A, B e C la prima opzione, mentre per la sezione D la seconda.
Può essere interessante, a questo punto, farli ragionare sulla sezione C dove la presenza di due soli maschi determina l’uso del maschile plurale ragazzi (una situazione speculare alla sezione B, dove senza alcun dubbio si userà il plurale maschile).
Dal confronto tra queste due situazioni possono nascere delle domande-stimolo sia sulla regola grammaticale che vuole l’uso del plurale maschile in entrambi i casi, sia su possibili alternative più inclusive per descrivere le immagini (per esempio: “le ragazze e i ragazzi della sezione B vanno in gita” ecc.).
All’incrocio tra la grammatica e il lessico, troviamo un’altra annosa questione, quella della flessione al femminile di nomi tradizionalmente usati solo al maschile. Se nessuno ha nulla da obiettare nel passaggio da “maestro” a “maestra”, o da “commesso” a “commessa”, esistono una serie di nomi, spesso riferiti a ruoli sociali di un certo prestigio, per cui la transizione da un genere all’altro non è così scontata. Come volgere al femminile medico, chirurgo o ingegnere?
L’obiezione più diffusa è che certe forme femminili (l’architetta, la chirurga, la consigliera) siano da evitare perché cacofoniche, cioè “suonano male”. Il criterio estetico non costituisce, ovviamente, un metodo di valutazione oggettivo e probabilmente queste forme “suonano male” al nostro orecchio appunto perché di solito non sono utilizzate; tuttavia, il loro impiego si scontra ancora oggi con un’ostinata e aprioristica opposizione.
Per ragionare in classe con le ragazze e i ragazzi sulla questione si può proporre la seguente attività.

Gli alunni e le alunne potrebbero avere qualche dubbio (anche di natura semantica) nella compilazione delle tabelle. Una volta identificate le varie professioni, si può riflettere insieme sull’origine delle incertezze incontrate spostando il dibattito su un piano temporale più ampio e dimostrando, per esempio, che termini oggi accettati, come sindaca, non lo erano sino a pochi anni fa (potrebbe risultare provvidenziale, a questo proposito, un vecchio vocabolario che non riporta ancora la declinazione al femminile di sindaco). Pertanto una parola che “suona male” oggi – per quanto costruita correttamente dal punto di vista grammaticale –, potrebbe diventare perfettamente accettata domani, a patto che iniziamo a usarla da questo momento.
Sul tema dell’opposizione maschile/femminile, per molti nomi vale poi la pena di fare due ulteriori osservazioni.
In primo luogo, esistono nomi che trovano senza ostacoli la propria versione femminile, che è però caratterizzata da sfumature di significato differenti: si pensi a maestro / maestra, dove il primo termine può anche indicare eccellenza in una qualche arte o disciplina, o anche a amministratore / amministratrice (dove la prima parola evoca il rappresentante incaricato del consiglio di amministrazione di una società, mentre la seconda – al massimo – la persona che gestisce le diatribe condominiali), oppure a il governante / la governante, che hanno significati completamente diversi.
Questo esempio si può anche estendere alla coppia maschile/femminile per eccellenza, ossia uomo / donna. Mentre il primo termine può indicare tanto un essere umano di sesso maschile quanto la specie umana nella sua totalità, al secondo questa possibilità è preclusa.
Anche questa osservazione può essere facilmente condivisa con la classe e problematizzata attraverso qualche domanda:
• I primitivi erano solo uomini?
• Perché diciamo Uomo di Neanderthal? In quelle comunità non c’erano donne?
• Uno dei più importanti ritrovamenti della paleoantropologia è stato lo scheletro di Lucy: era un’Australopiteca o un Australopiteco?
• Gli uomini primitivi, dunque, erano sia uomini che donne?
La seconda osservazione è invece relativa a quei nomi femminili che raramente, o mai, troviamo accordati al maschile: si pensi ai casi di “badante”, “casalinga”, “balia”, “ostetrica”, “levatrice” e il particolarmente significativo “donna delle pulizie”.
Nel concludere questo breve percorso pensiamo sia possibile condividere una riflessione: la lingua è fatta da chi la usa, e proprio per il fatto che la comunità dei parlanti si muove in una realtà in continua evoluzione e a sua volta la determina, allo stesso modo la lingua, che è specchio e modello di questo processo infinito, muta.
Possiamo rifiutare questi cambiamenti oppure decidere di osservarli dall’esterno e prenderne atto, o ancora possiamo scegliere di prendere parte attivamente all’evoluzione della lingua e della mentalità con le nostre parole e i nostri pensieri.

Il progetto Pearson per la parità di genere
#GenerazioneParità è il progetto che riassume l'idea di parità e inclusione che noi di Pearson vogliamo portare concretamente nella scuola, attraverso la produzione editoriale, le attività di formazione, le ricerche sul campo, i progetti speciali e le attività di comunicazione.