“Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare. Questo Trisha McFarland scoprì a nove anni.” Durante una passeggiata sui monti Appalachi con sua madre e suo fratello, Trisha, la protagonista, stanca dei litigi tra i suoi famigliari, si allontana con una scusa dal sentiero principale e in breve si perde nella foresta. All'inizio l’aiutano l’istinto di sopravvivenza e la saggezza pratica dell’infanzia, ma soprattutto l’ascolto, sul suo walkman, delle partite dei Red Sox, la squadra di baseball in cui gioca il mitico Tom Gordon, il suo eroe. Poi però la fiducia di Trisha s’incrina: “qualcosa” sembra inseguirla e spiarla, nascosto tra gli alberi… Non succede altro, o quasi, in questa versione contemporanea della fiaba di Cappuccetto Rosso, raccontata in capitoli che seguono il ritmo e la nomenclatura di una partita di baseball. Eppure il lettore non riesce a chiudere il libro fino al game over, perché si chiede, insieme alla bambina, se quello che sta succedendo è realtà o allucinazione, se ci sarà una via d’uscita o se il lupo cattivo prevarrà sull'innocenza dei sogni. Nel frattempo, Stephen King ci parla dei boschi, di Dio, dei vecchi e dei bambini. Del rischio di crescere, affrontando anche il nostro lato in ombra.
La bambina che amava Tom Gordon si può leggere come una “storia di paura” e un romanzo di formazione, e si può confrontare con altre storie in cui il compito di sfidare il Male è affidato ai ragazzini, come Stand by me, dello stesso autore, Acqua buia e La sottile linea scura di Joe Lansdale, Io non ho paura di Niccolò Ammaniti. In un percorso di scrittura, i lettori-scrittori possono lavorare sui meccanismi della suspense e del colpo di scena, sull'uso della descrizione soggettiva e sull'invenzione del personaggio.