Libri in classe: Umberto Eco e Il nome della rosa
«L’autore dovrebbe morire dopo aver scritto. Per non disturbare il cammino del testo»
Titolo: Il nome della rosa
Autore: Umberto Eco
Editore: Bompiani
Temi: Medioevo, opera aperta, confronto tra il pensiero medievale e il pensiero moderno
Destinazione: Scuola secondaria di secondo grado, secondo biennio e quinto anno
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
Stefano Pattini
Per avere tra le mani, in possesso esclusivo, un libro raro, anzi unico e proibito, che potrebbe cambiare il destino del mondo e che sarebbe in grado addirittura di far scricchiolare il Trono della Divinità stessa, dei monaci medievali sarebbero stati disposti a fare qualunque cosa, anche uccidere.
Nella nostra società i libri abbondano e sono pubblicamente accessibili nelle biblioteche e nella rete di internet: sembra incredibile che si possa uccidere o morire per un libro, per occultare la sua carica rivoluzionaria o per assaporarne in segreto la sua vena trasgressiva.
Nel remoto Medioevo i libri in circolazione erano pochi e perlopiù erano segregati tra le mura dei monasteri, custoditi con cura e orgoglio, potremmo anche dire con superbia, da una casta sacerdotale; si imparavano a memoria e si trascrivevano a mano, sfogliandoli avidamente per mesi, anni o tutta la vita. Erano oggetti fragili e dai contenuti pericolosi, da toccare con attenzione e da leggere in segreto. Il supporto materiale era una questione di vita e di morte per il libro: capitava che potessero essere distrutti da un incendio. E allora un brano superstite - forse la parte maggiore, il fiore più bello – di una civiltà passata, consumato dal fuoco, spariva nel fumo di quel mondo che sarebbe potuto durare in eterno e di cui, invece, non rimaneva nulla, se non un nome, un titolo, un'allusione, forse un'ipotesi, incerta e poco credibile.
La leggendaria seconda parte della Poetica di Aristotele, che avrebbe trattato della commedia e del piacere del riso, è l'oggetto oscuro del desiderio e della micidiale contesa tra i personaggi de Il nome della rosa, il più celebre e forse il più fascinoso dei libri di Umberto Eco, il grande scrittore scomparso lo scorso 19 febbraio a Milano.
Alessandrino di origine, si laureò in filosofia all'Università di Torino con una tesi sull'estetica di San Tommaso. Dapprima lavorò alla Rai come consulente culturale, poi preferì dedicarsi al Medioevo e alla semiotica, di cui fu docente presso l'Università di Bologna e il più eminente promotore e studioso italiano. Avanguardista del Gruppo '63, pubblicista brillante, medievalista e semiologo di fama internazionale, è stato teorico e sperimentatore dell'“opera aperta”: grazie alla molteplicità dei livelli di lettura della sua narrazione, Eco è stato apprezzato e studiato, e continuerà ad esserlo, sia da specialisti sia da un vasto pubblico. Con Il nome della rosa si era proposto di scrivere «un romanzo non consolatorio, abbastanza problematico, e tuttavia piacevole», che sapesse ritrovare un intreccio, senza vergognarsi di avere successo anche tra le grandi masse di lettori. E così avvenne: all'uscita, nel 1980, rimase in cima alle classifiche italiane per parecchi mesi, fino a vendere nei decenni successivi oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo.
«L'autore dovrebbe morire dopo aver scritto. Per non disturbare il cammino del testo», pensava Eco. Di certo Il nome della rosafarà ancora molta strada.