Kiko è un tipico esempio di quelle che oggi in Italia sono chiamate le “seconde generazioni”: ha sedici anni, una madre filippina e un padre italiano che gli ha trasmesso la passione per l’astrologia, prima di morire tragicamente in un incidente stradale. Kiko vive in una cittadina del Friuli con la madre, Marilou, e il suo nuovo compagno, Ennio, un “caporale” che gestisce cantieri edili, e ha alle sue dipendenze, ovviamente in nero, un gruppo di immigrati clandestini: abitano tutti insieme in un bar-stazione di benzina, un “non luogo” , un ambiente anonimo e freddo, periferia della periferia.
Kiko frequenta il liceo, dove il padre lo ha spinto ad iscriversi, ma dove il ragazzo rischia di essere bocciato nonostante la sua intelligenza e la benevolenza degli insegnanti: ha poco tempo infatti per studiare, poiché Ennio lo costringe a lavorare in cantiere con lui come manovale, pensando di fare di lui un uomo grazie alla trafila del duro lavoro e alla complicità sui più scontati stereotipi della cultura maschilista.
C’è solo un solo posto in cui Kiko si sente davvero felice: un autobus abbandonato in mezzo alle sterpaglie dei campi dietro il bar: questo è il suo mondo, il suo rifugio, il luogo in cui può illudersi e sognare una vita diversa.
Un giorno incontra casualmente Ettore, un insegnante in pensione, che si presenta come un vecchio amico di suo padre e gli propone di aiutarlo nello studio. Inizialmente diffidente, il ragazzo a poco a poco acquista fiducia in quest’uomo, vagamente misterioso, ma ricco di suggerimenti e proposte, e accetta l’aiuto che gli viene offerto: il rapporto con Ettore modificherà lentamente ma radicalmente la sua vita.
Commento
L’adolescenza è un’età già di per sé ricca di insidie: affrontarla senza un padre accanto è impresa assai ardua. Tanto più se quel padre era un genitore affettuoso e capace di trasmettere passioni (come ad esempio quella di osservare il cielo), ma è poi morto in un tragico incidente stradale. E ancor più se, a distanza di soli due anni, al fianco della madre filippina il posto del padre è stato occupato da un tipo totalmente diverso, arcigno e scorbutico, sfruttatore di manodopera straniera, imbevuto di cultura machista.
Lo spettatore non si stupisce, quindi, se per quasi tutta la prima parte del film l’espressione di Kiko, il ragazzo protagonista, oscilla tra il serio, il corrucciato e il triste. Ha poco da sorridere questo ragazzo, per metà italiano, per metà filippino, esempio emblematico dell’ambiguità e dell’ambivalenza che caratterizzano i giovani delle cosiddette “seconde generazioni”: portatori di una doppia nazionalità, di una doppia lingua, di una doppia cultura.
Tutta l’esistenza di Kiko è all’insegna della duplicità: al posto del padre la sorte gli prospetta due figure che in modo diametralmente opposto si propongono di sostituirlo: il patrigno e l’anziano professore; le sue energie sono divise a metà tra l’ambizioso impegno scolastico al liceo e il duro e monotono lavoro nel cantiere edile; ha di fatto due case: il bar-stazione di benzina nella periferia urbana, in cui è costretto condividere uno spazio anonimo e tetro non solo col brutale compagno della madre ma anche col gruppo di manovali clandestini da lui assoldati, e il suo rifugio segreto, l’autobus abbandonato tra le sterpaglie che Kiko ha trasformato in una sorta di navicella spaziale, capace di portarlo lontano dalla squallida realtà di tutti i giorni, in un mondo che è solo suo.
È là che “se chiude gli occhi” Kiko non si trova più qui. Qui, in un mondo che gli sta stretto e che gli risulta insopportabile, mentre nella sua navicella/santuario riesce a dialogare col padre scomparso, a viaggiare tra luci e riflessi di cristalli in un universo che è popolato, oltre che dalle stelle, anche dai suoi sogni.
«Il film di Moroni è ricco di temi, l’integrazione, il lavoro, l’immigrazione, ma ha il suo punto di forza nella volontà di costruzione di un mondo interiore che il ragazzino Kiko costruisce mentre soffre la solitudine» scrive Alberto Rollo. Un aiuto importante, potremmo dire decisivo, per la costruzione di tale mondo interiore viene offerto a Kiko dalla presenza e dalla compagnia del vecchio professore, che coi suoi saggi consigli esistenziali, ma anche coi suoi fondamentali riferimenti culturali, fornisce al ragazzo la possibilità di un riscatto.
È un film che racconta un’adolescenza tribolata e sofferente, perché la condizione di orfano per Kiko – secondo le parole dello stesso regista – è un dato di fatto narrativo ma è anche una metafora della sua generazione; ma per converso – è ancora Moroni ad affermarlo – «è un film pieno di ottimismo, che crede nella trasformabilità della vita a partire dal sapere».
Una complessità di temi che danno profondità a un racconto avvincente, e lo hanno fatto definire «uno dei migliori ritratti di adolescente del cinema italiano recente» (La Repubblica).
Spunti didattici
- «Nessuno fa niente per niente» è la perentoria affermazione con cui Kiko si rivolge ad Ettore quando questi gli offre il suo aiuto. Si può chiedere agli studenti se il corso del film conferma o contraddice questa affermazione; e se in base alla loro esperienza di adolescenti essi la condividono o meno.
- Nelle sequenze finali del film Kiko sfoglia un libro che Ettore gli ha lasciato in dono: I Canti di Leopardi; e legge alcuni suggestivi versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. La scelta di questa poesia come riferimento culturale che fa da sigillo alla vicenda non è certamente casuale; è possibile chiedere agli studenti di cercare di individuare quali elementi accomunino a quasi due secoli di distanza il poeta di Recanati a Kiko.
- Si può chiedere agli studenti se conoscono altri testi letterari o filmici in cui il protagonista sia un ragazzo (o una ragazza) destinato ad affrontare i difficili anni dell’adolescenza senza un padre, e cercando in altri adulti una figura di riferimento che sostituisca quella del genitore: in questo caso i ragazzi possono individuare analogie e differenze tra quei personaggi e Kiko, il protagonista del film.
Su questo tema si può suggerire la visione di questi film:
– Un ragazzo di Calabria, di Luigi Comencini, Italia 1987;
– Scialla, di Francesco Bruni, Italia 2011;
– La prima neve, di Andrea Segre, Italia 2013.
- Senza dubbio Ettore è per Kiko una guida, un maestro, che agli occhi dello spettatore appare come disinteressato ed esemplare. Le sequenze finali del film dimostrano però che Ettore nasconde non solo un segreto, ma anche delle zone d’ombra della sua vita, difficilmente confessabili (e infatti la confessione porterà a una rottura con Kiko). Risulta essere quindi non un “maestro perfetto”, ma un “maestro discutibile”. Ma esistono davvero i “maestri perfetti”? O si possono imparare cose, prendere esempi anche dai “maestri discutibili”? Su questo tema si possono invitare i ragazzi a riflettere ed esprimere le proprie opinioni (in un testo scritto o in una discussione in classe).
- In occasione di una presentazione pubblica della pellicola, il regista Vittorio Moroni ha dichiarato di non aver inteso girare un film sul problema dell’immigrazione in Italia, ma di aver voluto raccontare un aspetto “normale” della vita di oggi nel nostro paese. Come si può interpretare tale affermazione?
- A questo link si può trovare una ricca e copiosa documentazione testuale e fotografica relativa al film, che sicuramente vale la pena consultare per approfondirne le tematiche.