Liberamente ispirato al racconto La paura di Federico De Roberto, il film narra una notte di guerra del 1917 – poco prima di Caporetto – trascorsa da un piccolo gruppo di militari, asserragliati in una baita nei boschi dell’altopiano di Asiago. Come passa il tempo dei soldati in un piccolo rifugio chiuso, mentre intorno la luna illumina splendide distese di neve e volpi e lepri si inseguono placide sulle colline? Come passa il tempo al fronte, col gelo nelle ossa, con l’influenza che arriva dall’est che ti fa tremare come una foglia, con la fame e la paura che si alternano inesorabilmente nel tuo corpo?
C’è chi aspetta l’arrivo di un topolino che dividerà con lui le sue molliche di pane, c’è chi canta canzoni melodiche o chi osserva stupito i diversi colori di un acero davanti al rifugio.
La vita di un soldato è ridotta ai minimi termini, fatta di silenzi e di orecchie tese. La vita di un soldato è fatta di tante cose, fatte di niente: e il film ce lo racconta minuziosamente.
Fino a quando arriva attraverso il filo del telefono l’ordine insensato di andare all’attacco di un rudere, neppure segnato sulle carte, che è in mano al nemico: ordine che in una notte luminosa come quella significa semplicemente mandare i soldati a farsi impallinare come tordi. Un ufficiale si ribella a questa follia, si rifiuta di mandare altri uomini alla carneficina, e per questo viene immediatamente degradato.
Il suo posto viene preso da un giovane tenente, che riceve poco dopo l’ordine immediato di ripiegamento: quello che sembrava un obiettivo fondamentale e irrinunciabile, da conquistare a prezzo di vite umane, è diventato per i “signori della guerra” nel giro di poche ore qualcosa di trascurabile e secondario.
La follia della guerra ha mostrato anche in questa occasione il suo volto.
Bastano le immagini che scorrono sotto i titoli di testa per fornirci una chiave di lettura del film; la macchina da presa si muove lentamente all’interno di una baita semplice e spoglia, e si sofferma puntualmente sugli oggetti di uso comune dei soldati: la gavetta, le posate di acciaio, la lampada a olio, le sciarpe per avvolgere i volti infreddoliti. Non c’è nulla di guerresco in queste immagini: da questi semplici oggetti non traspare alcuno spirito eroico, non emerge nessun sentimento di odio verso un nemico che neppure si vede (e che non si vedrà, non a caso, per tutto il film). Sono solo oggetti di uso comune per uomini comuni; strumenti del vivere quotidiano in un ambiente chiuso, da cui è impossibile fuggire; anzi, sarebbe meglio dire del “sopravvivere” quotidiano, perché in quella piccola baita, tra freddo, fame, febbre che squassa i corpi e colpi di mortaio che esplodono a intervalli irregolari, la vita non potrebbe essere più dura.
Sono volti di uomini e non di eroi quelli che il regista ci mostra mentre sono in fila per il rancio, o mentre ricevono la posta: unica occasione in cui vengono chiamati per nome, come esseri umani quali sono, e non per numero, come i soldati del reggimento.
Uomini e topi, anzi uomini come topi in trappola, che spiano da una fessura l’ombra di un possibile nemico che sembra invisibile, mentre all’esterno la natura fa il suo corso, anch’essa indifferente: lepri e volpi si muovono in uno scenario che potrebbe sembrare fiabesco ma risulta invece irreale e allucinatorio, se confrontato con la miseria e la sofferenza che animano l’interno del rifugio. Mentre la morte dilaga come un’epidemia inarrestabile, gli uomini intrappolati in una trincea insensata cominciano a guardare direttamente nella macchina da presa, a raccontare le loro storie direttamente allo spettatore, coinvolgendolo nel clima claustrofobico di un avamposto suicida; e facendogli percepire la sofferenza ghiacciata di una galleria di fantasmi sbigottiti e incerti di fronte al silenzio della natura, ma anche all'indifferenza di un dio che non è pietoso né caritatevole ma solo assente e sordo.
Lassù nessuno ti ascolta, nemmeno «quel Dio che dovrebbe aiutarti, ma che non l'ha fatto manco col suo primogenito», come dice uno dei militari disperati.
Un grido di dolore disperato, un’accusa spietata contro l’atrocità e la disumanità della guerra, tanto più credibile e autorevole, arrivando da un fervente cattolico come Olmi.
Con questo film il regista sa regalarci momenti davvero memorabili di profonda umanità, che non possono assolutamente lasciare indifferenti anche i giovani d’oggi che – fortunatamente – conoscono la guerra solo attraverso il cinema.
Spunti didattici
Dopo la visione del film, si può stimolare la riflessione attraverso alcune domande di questo tipo:
- quale immagine e idea complessiva della guerra ti trasmette questo film?
- come interpreti il titolo del film (scritto tutto in lettere minuscole): ti sembra un messaggio di speranza o un’accorata e amara constatazione?
- quale significato hanno, secondo te, le ricorrenti immagini che mostrano la bellezza della natura (le candide e intatte distese di neve, gli animali vaganti, l’albero in fiamme...) che circonda l’avamposto militare?
- l’obbedienza ai superiori, a cui tutti i soldati sono tenuti, è uno dei temi fondamentali del film. Esattamente cinquant’anni dopo gli avvenimenti narrati nella pellicola un sacerdote, don Lorenzo Milani, scriveva un libro dal provocatorio titolo: L’obbedienza non è più una virtù. Secondo te, basandoti sul modo in cui viene illustrata la guerra nel film, qual è in proposito il pensiero del regista?
- Ermanno Olmi ha definito il suo film «un monumento cinematografico al Milite Ignoto». Cosa ha voluto dire, secondo te?
Sulla Prima guerra mondiale, le sue caratteristiche e le sue conseguenze sono numerosissimi i percorsi di approfondimento possibili. Ci limitiamo qui ad alcuni suggerimenti riferiti alla visione di altri film sullo stesso tema e ad alcune letture.
Film
- La grande illusione, di Jean Renoir (Francia 1937 – 114’)
- Orizzonti di gloria,di Stanley Kubrick (USA 1957 – 86’)
- La grande guerra,di Mario Monicelli (Italia 1959 – 129’)
- Uomini contro,di Francesco Rosi (Italia 1970 – 135’)
- Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia,di Christian Carion (Francia, Belgio, Germania, Gran Bretagna 2005 – 115’)
Letture
- Federico de Roberto, La paura e altri racconti della Grande Guerra, edizioni e/o
- Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Mondadori
- Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, Einaudi
- Poesie sulla guerra di Quasimodo, Ungaretti, Brecht.