Dalla cucina alla classe: le patate come strumento didattico
STEM ED ESPERIENZE DI CLASSE | Biologia
Uno degli alimenti più consumati nel mondo, la patata, è anche un utilissimo strumento per semplici esperimenti di chimica, fisica e biologia. In questo articolo ecco alcune delle attività che si possono realizzare, senza bisogno di un laboratorio attrezzato.
La patata, Solanum tuberosum L. della famiglia delle Solanaceae, è originaria del Sud America dove probabilmente era già coltivata dai nativi 8000 anni fa. Il primo contatto documentato con gli europei pare risalga al 1537 da parte di Gonzalo Jiménez de Quesada, un conquistatores Spagnolo. In Europa venne accolta con sospetto e fino al Settecento non venne praticamente consumata. Ora la patata è diffusa in tutto il mondo ed è diventata parte integrale della dieta e della tradizione gastronomica di miliardi di persone. E come se non bastasse, è anche un ottimo strumento didattico. Con questo umile tubero, infatti, è possibile effettuare numerosi esperimenti di chimica, di fisica e di biologia anche senza bisogno di un laboratorio didattico attrezzato. Oltre a questo vantaggio, proporre agli studenti semplici esperimenti che utilizzino oggetti familiari, e in particolar modo alimenti, permette sia di veicolare più facilmente concetti scientifici astratti sia di rinforzare l’idea che la chimica, la fisica e la biologia siano ben presenti nella vita di tutti i giorni, anche se molti ne sono inconsapevoli.
Ma le patate verdi sono davvero tossiche?
La sintesi della clorofilla e dei glicoalcaloidi avviene con l’esposizione alla luce, ma sono due processi chimici indipendenti. Il consumo di patate verdi però viene sconsigliato perché potrebbe essere indice di una elevata concentrazione di glicoalcaloidi. Sono stati effettuati studi per verificare la possibilità di stimare il contenuto di sostanze tossiche in base al colore della buccia. I livelli di glicoalcaloidi presenti dipendono dalla varietà di patate, e anche se ad una colorazione più verdognola corrisponde una concentrazione più elevata di sostanze tossiche, la relazione non sempre è lineare. Con lunghe esposizioni alla luce, fino a 10 giorni, il livello di glicoalcaloidi contenuti nella buccia e nella zona immediatamente sotto ha spesso raggiunto e superato i livelli di sicurezza raccomandati dall’OMS/FAO (cosa probabilmente successa anche a vostre patate). Nella polpa invece, nonostante l’esposizione, i livelli di sicurezza non sono mai stati superati e sono sempre rimasti a valori molto più bassi di quelli consigliati dalle istituzioni sanitarie.
Le patate si consumano sempre cotte, quindi è legittimo chiedersi se queste sostanze tossiche vengano degradate in cottura. Purtroppo non è così. Bollite, arrosto o al microonde, il contenuto di solanine non viene granché ridotto e diminuisce, ma solo parzialmente, alle temperature più alte raggiunte da una frittura. E questo perché le solanine si decompongono solo a temperature vicine a 260 °C, quindi molto superiori alla temperatura di una normale frittura, circa 170-180 °C. I livelli di solanine vengono comunque tenuti sotto controllo nei prodotti commerciali, e solo in rari casi si sono trovati dei prodotti dove il contenuto di solanine era superiore a quello raccomandato tranne che nelle bucce fritte, che possono superare i limiti di sicurezza consigliati.