Editing del genoma, tra opportunità terapeutiche e questioni bioetiche
ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Tecnologia, Biologia
La nuova tecnica di ingegneria genetica CRISPR-Cas9 permette di modiicare in modo molto mirato e a basso costo il DNA dell’essere umano. Tutto ciò apre la strada a nuove opportunità terapeutiche, ma solleva anche numerose questioni etiche, relative soprattutto alle modiiche sulla linea germinale e negli embrioni. Ne parliamo con il bioeticista Demetrio Neri.
Da qualche mese è in corso un grande dibattito internazionale intorno a CRISPR-Cas9. Questa tecnica di editing genetico permette infatti di modificare, con una precisione mai raggiunta prima, il genoma di tutti gli esseri viventi, compreso l’essere umano, anche a livello delle cellule della linea germinale (ovociti e spermatozoi) e anche negli embrioni. Questo solleva diverse questioni etiche che inevitabilmente coinvolgono tutti noi. Le affrontiamo con l’aiuto di Demetrio Neri, professore ordinario di Bioetica presso l'Università di Messina, membro del Comitato nazionale per la bioetica ed esperto proprio nel campo della bioingegneria.
La linea ereditaria non si tocca. O sì?
La prima questione etica a emergere è questa: è giusto o meno intervenire sulle cellule germinali, dal momento che le modifiche passeranno dagli spermatozoi e dagli ovociti dei genitori a tutte le cellule del figlio, e quindi dei nipoti e così via? Se sì, è possibile stabilire se è lecito farlo solo per alcuni scopi? E, in caso, quali?
Facciamo un esempio pratico. Diversi gruppi di ricerca stanno tentando di correggere con CRISPR-Cas9 l’errore genetico – una mutazione – presente in pazienti con beta-talassemia, una malattia ereditaria che provoca una grave forma di anemia. Poniamo il caso che la tecnica funzioni e si metta a punto la terapia genica per la beta-talassemia. A questo punto bisognerebbe chiedersi: dobbiamo applicarla solo alle cellule somatiche (cioè le cellule del corpo eccetto quelle germinali) del paziente, o possiamo usarla anche su spermatozoi e ovociti di individui portatori, facendo in modo che i futuri figli abbiano da subito la versione corretta del gene al posto di quella difettosa, ed evitando così che sviluppino la malattia o ne siano a loro volta portatori? La risposta sottintende una serie di riflessioni che non sono affatto scontate.
Un dibattito di lunga data
«Il problema che si pone qui – spiega Neri – è quello della trasmissione degli effetti di un intervento alla discendenza. Ci si può prendere il diritto e la responsabilità di modificare il DNA delle generazioni future?» Di questo dilemma si parla fin dagli anni Novanta, cioè dai primi timidi, temporanei successi della terapia genica: da subito si sottolineò la tranquillizzante distinzione tra la linea somatica e la linea germinale. Nelle sperimentazioni fatte si toccava il genoma umano, è vero, ma le modifiche sarebbero morte con il paziente, così come i possibili danni collaterali o i fallimenti della tecnica. Come allora, anche oggi alcuni ricercatori, filosofi e bioeticisti chiedono una messa al bando di tutti quegli studi che implichino la modifica della linea ereditaria – anche quelli fatti al solo scopo di ricerca di base: bando che, a livello legislativo, esiste di fatto in circa 40 Paesi. Vediamo perché.