L’importanza del cromosoma X nella scienza

Un premio Nobel che contribuisce a sanare l’attuale squilibrio di genere nel campo scientifico

BIOLOGIA | PARITÀ DI GENERE

Nettie Stevens fu, suo malgrado, una delle prime scienziate a subire l’effetto Matilda. Come lei, tante altre scienziate videro i risultati dei loro studi sminuiti e ne dovettero subire anche la negazione, o peggio, il furto. Oggi, il Nobel a Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier per aver sviluppato un sistema di editing genomico potrebbe rappresentare idealmente il riscatto per tutte loro.

di Francesca Messa

Siamo nel 1905. Una giovane e brillante scienziata, ai più sconosciuta, pubblica le sue ricerche che la portarono a scoprire che la determinazione del sesso dipende dai cromosomi di un individuo e non da altri fattori.

È proprio qui, nell’ereditare o meno il piccolo cromosoma Y, che ha inizio la differenza tra uomini e donne e fu proprio una donna, Nettie Maria Stevens, a dimostrarlo per prima. E la sua storia di scienziata si intreccia con quella della donna, al punto che verrebbe quasi da domandarsi se le cose per lei non sarebbero andate in modo diverso se solo avesse avuto in eredità una Y anziché due grandi cromosomi X.

Le scoperte di Nettie Stevens

Di origini modeste e orfana di madre, si iscrive all’Università di Stanford, attratta forse dai racconti anticonformisti e da una squadra di docenti giovani e motivati. Fu allieva prima, e collaboratrice poi, di scienziati dai nomi ben più blasonati (scientificamente parlando) del suo: chi non ricorda (almeno come vaga reminiscenza) Theodor Boveri o Thomas Hunt Morgan? Grazie ai suoi studi sui vermi della farina giunse a descrivere le differenze tra i gameti maschili e femminili e a correlarli con la determinazione del sesso; risultati che, nei primi anni del Novecento, condivise con la comunità scientifica, che li accolse però con grande scetticismo.

Caparbia e capace, non si arrese allo scetticismo dei colleghi e negli anni che le rimanevano si dedicò allo studio di altri insetti tra cui Drosophila melanogaster, intuendone le grandi potenzialità come organismo modello e regalando così alla comunità scientifica uno degli organismi modello ancora oggi tra i più studiati e che tanto generosamente ha e continua a contribuire a svelare i segreti dei nostri geni. Nonostante le sue ricerche fossero state pubblicate per prime, il merito della scoperta dell’ereditarietà legata all’X andò a Thomas Morgan e non a lei; non solo, fu proprio la Stevens a “presentare” a Morgan Drosophila melanogaster, che gli varrà il premio Nobel per la Medicina e l’onore di essere stato il primo genetista a esserne insignito.

Nella foto: Nettie Maria Stevens

Nettie Stevens e l’effetto Matilda

Nettie Stevens fu, suo malgrado, una delle prime scienziate a subire l’effetto Matilda, dal nome dell’attivista e femminista americana Matilda Joslyn Gage. Come la Stevens, tante altre scienziate videro i risultati dei loro studi sminuiti e ne dovettero subire anche la negazione, o peggio, il furto: tra queste non si può non citare Rosalind Franklin, cui non fu mai riconosciuto il ruolo di primo piano nella determinazione della struttura della doppia elica. Come la Franklin, anche la Stevens vide il merito delle sue ricerche attribuito a colleghi uomini e, come la Franklin, morì senza vedere realizzato il suo desiderio di ricoprire una cattedra accademica o di lavorare alla Cold Spring Harbour. Il cancro se la portò via a soli 51 anni, prima che potesse finalmente salire su quella cattedra a fondo speciale che Bryn Mawr, avendone riconosciuto le doti intellettuali, aveva creato appositamente per lei.

Morgan, che pure fu uno scienziato capace e brillante, dotato di un’intelligenza fuori dal comune, si attribuì il merito di alcune sue scoperte, e fu tra i suoi più accaniti oppositori; alla sua morte scrisse un elogio funebre in cui non ne riconosceva pienamente le doti intellettuali e la riteneva più un tecnico che una ricercatrice di primo piano.

Di esempi di donne note e meno note (o forse anche un po’ colpevolmente dimenticate) è piena la storia e Nettie Stevens è una delle tante donne che hanno dedicato la propria vita e messo la propria intelligenza al servizio della scienza e della conoscenza, senza nulla invidiare ai colleghi uomini, se non forse il fatto che, proprio perché donne, non hanno trovato la strada spianata davanti a loro; al contrario si sono viste chiudere le porte di Università prestigiose e società scientifiche e si sono scontrate con la diffidenza e i pregiudizi di una comunità scientifica prevalentemente maschile.

Nella foto: Rosalind Franklin

Veniamo ai giorni nostri

Ed ecco allora che nel 2020 ancora fa scalpore la notizia del premio Nobel per la chimica attribuito a Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier per aver sviluppato un sistema di editing genomico. Fin qua nulla di strano, se non fosse che questo è il primo Nobel della storia a essere riservato esclusivamente a scienziate donne, senza che esse abbiano dovuto condividere la ribalta con qualche collega uomo. Ed è proprio questo che rende amara la vicenda: il fatto che a destare interesse non sia tanto l’enorme valore scientifico della scoperta, ma lo scalpore suscitato dall’ennesima questione di genere. Emmanuelle Charpentier ha accolto l’assegnazione del Nobel con queste parole: “Spero che questa notizia mandi un messaggio positivo alle ragazze che vogliono intraprendere il cammino della scienza e dimostri che anche le donne con la loro ricerca possono avere un grande impatto”.

Il fatto è che non c’è, o meglio, non ci sarebbe affatto bisogno di dimostrare il ruolo di primo piano delle donne nella scienza, perché la storia della scienza è costellata di donne anticonformiste e dotate di grandi capacità intellettuali e umane che con passione hanno regalato grandi scoperte alla scienza, sfidando i rigidi pregiudizi delle società del loro tempo, e cui sarebbe oltremodo doveroso riconoscerne i meriti.

Nella foto: Jennifer Doudna

Il Nobel a Doudna e Charpentier potrebbe rappresentare idealmente il riscatto per quelle tante scienziate che invece sono state dimenticate e anche derubate delle loro scoperte; questo, insieme a tanti altri piccoli passi che da molte parti si stanno compiendo per “ricordare l’ampiezza della partecipazione femminile nel campo della scienza”, potrebbe contribuire, come auspica Claire Jones dalle pagine della rivista Nature, a sanare l’attuale squilibrio di genere. Attenzione, dunque, a non ridurre la scienza a una mera questione di genere, scienza che invece è ed è sempre stata sia per le donne sia per gli uomini.

Nella foto: Emmanuelle Charpentier

Referenze iconografiche: dpa picture alliance / Alamy Stock Photo, dpa picture alliance / Alamy Stock Photo, World History Archive / Alamy Stock Photo, WHITE MARKERS / Shutterstock

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Francesca Messa è laureata in Biotecnologie mediche presso l’Università degli Studi di Torino. Dottore di ricerca in Farmacologia e terapia sperimentale clinica e specialista in Biochimica Clinica, si è occupata per molti anni di genetica e di ricerca sul cancro. È autore e co-autore di numerosi lavori scientifici. Attualmente insegna nella Scuola secondaria di secondo grado.

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