Onde gravitazionali, una grande scoperta

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ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Fisica

L’annuncio della rilevazione diretta delle onde gravitazionali, previste da Albert Einstein nel 1916, apre a nuove frontiere nello studio dell’Universo. Ma che cosa sono esattamente, queste onde, e cosa c’entrano con la teoria della relatività generale? E soprattutto, come sono state rilevate? In questo articolo, un’accurata descrizione della scoperta, del suo inquadramento teorico, delle nuove prospettive di ricerca.

Pasquale Di Nezza e Paolo Lenisa

L'annuncio della scoperta delle onde gravitazionali, avvenuto l’11 febbraio scorso, va considerata come una delle più grandi conquiste dell’ingegno umano. È la conferma di una previsione effettuata cento anni fa da Albert Einstein, uno dei geni di ogni tempo, attraverso una delle teorie più rivoluzionarie rispetto allo stravolgimento del senso comune, quella della relatività generale. Al tempo stesso è il risultato di 50 anni di tentativi, e di 25 anni di perfezionamento tecnologico per la realizzazione di uno strumento capace di misurare una variazione di un millesimo del diametro di un nucleo atomico su una lunghezza di 4 chilometri. Tutto questo per farci trovare pronti a sentire l’eco di un appuntamento catastrofico successo più di un miliardo di anni fa.

Un passo indietro: la teoria della relatività generale

L’idea chiave della teoria della relatività generale di Einstein è che la gravità non sia una forza ordinaria, ma piuttosto una proprietà della geometria dello spazio-tempo. Si pensi a uno spazio vuoto senza forze che agiscano tra i corpi in esso presenti. In questa situazione, la meccanica classica prevede che i corpi si muovano lungo linee rette a velocità costante. Per la fisica classica, affinché una particella si discosti dallo stato di moto rettilineo uniforme, deve esistere una forza che agisca su di essa: le forze accelerano le particelle e, variandone la velocità, possono discostare la loro traiettoria da quella rettilinea e originare traiettorie curve. Se consideriamo per semplicità uno spazio a due dimensioni, in cui due particelle si trovino a percorrere traiettorie parallele, tale effetto potrebbe essere causato dalla gravità newtoniana. Per esempio, la forza originata da un oggetto massiccio causerebbe una variazione delle traiettorie delle due particelle, che da parallele diventerebbero convergenti verso l’oggetto stesso. C’è però un’altra possibilità in cui due particelle con traiettorie inizialmente parallele si trovano a convergere in un unico punto: basta che le due particelle non si muovano su una superficie piana, ma su quella di una sfera. In questa situazione, non c’è alcuna forza che agendo sulle particelle le faccia deviare dalla traiettoria rettilinea, ma è il semplice fatto che le particelle si muovano su una sfera a implicare che i loro percorsi convergano. La teoria di Einstein è esattamente analoga a questa situazione. Mentre nella teoria di Newton è la forza di gravità a deviare le particelle dalla traiettoria rettilinea, nella teoria della relatività generale di Einstein, la gravità è una distorsione dello spazio-tempo. Le particelle continuano a muoversi in linea retta nello spazio-tempo, ma siccome lo spazio-tempo stesso è distorto, esse si trovano a subire un’accelerazione e di conseguenza a percorrere traiettorie curve come se fossero sotto l’influenza di una forza.
Conseguenza di spazio e tempo intesi non come strutture rigide, ma come oggetti dinamici, è che la relatività generale prevede fenomeni fondamentalmente nuovi. Uno dei più affascinanti è l’esistenza delle onde gravitazionali.

Distorsioni dello spazio-tempo

Tutti noi facciamo esperienza di vari fenomeni ondulatori nella vita di tutti i giorni. Nelle onde sonore, per esempio, una piccola regione di aria viene compressa, e il fatto che la pressione in una regione sia leggermente più alta di quella delle regioni confinanti porta alla sua espansione. Questa espansione, a sua volta, porta a una compressione nelle vicinanze e, in questo modo, la leggera eccedenza in pressione si propaga ulteriormente. Onde di pressione sono prodotte anche quando parliamo: le nostre corde vocali comprimono l’aria intorno a loro, il suono viaggia come un’onda e le onde vengono assorbite dalle nostre orecchie quando sentiamo. Nelle onde gravitazionali, anche se la situazione è diversa, il principio di base è lo stesso: una leggera distorsione in una regione dello spazio-tempo perturba le regioni vicine. Il risultato è una distorsione dello spazio-tempo che si propaga alla massima velocità possibile che, per la teoria della relatività speciale, è quella della luce. Queste distorsioni viaggianti nella geometria dello spazio-tempo sono chiamate onde gravitazionali.

“Vedere” le onde gravitazionali

Le onde gravitazionali portano a distorsioni ritmiche dello spazio che influenzano il tempo impiegato da un segnale luminoso per viaggiare avanti e indietro tra due ipotetiche masse di prova in caduta libera. Siccome la distanza che la luce deve percorrere viene allungata o accorciata, il segnale luminoso stesso impiega più o meno tempo per viaggiare da una massa all’altra. All’inizio degli anni Settanta, i fisici compresero che era possibile rivelare questi infinitesimi cambiamenti nel tempo di percorrenza della luce tramite interferometri di tipo Michelson. Il principio di questi interferometri è quello di misurare la differenza di tempo che la luce impiega per viaggiare su due percorsi ortogonali tra loro, i cosiddetti bracci dell’interferometro. Un’onda gravitazionale allunga un braccio e contemporaneamente accorcia l’altro conducendo esattamente al tipo di differenza di tempo misurabile tramite un interferometro Michelson. È importante notare che stiamo parlando di variazioni infinitesime, dell’ordine di un millesimo del diametro del protone su una lunghezza di un chilometro. Einstein stesso ne previde l’esistenza come un puro esercizio matematico senza alcuna possibilità di essere mai provato sperimentalmente!

Gli esperimenti di ultima generazione per la rilevazione di tali onde prevedono che un fascio laser di lunghezza d’onda ben definita venga fatto viaggiare in tubi ad alto vuoto. Dopo un percorso iniziale, il fascio si divide tra due bracci lunghi alcuni chilometri e, rilessi da specchi ad altissima efficienza, i due fasci tornano indietro finendo su uno schermo. Se il cammino percorso dai due fasci è identico, essi interferiranno sullo schermo in maniera distruttiva dando luogo a un segnale nullo. Nel momento in cui il passaggio dell’onda gravitazionale dovesse accorciare un braccio dell’interferometro e allungare l’altro, l’interferenza non sarebbe più distruttiva, ma costruttiva dando luogo a un segnale proporzionale alla compressione e dilatazione dello spazio-tempo. Ovviamente i requisiti tecnologici per arrivare a una precisione di un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro richiedono uno sforzo al limite delle conoscenze fisiche e ingegneristiche. La deformazione misurata è proporzionale alla lunghezza percorsa dalla luce e quindi dei bracci dell’interferometro. Nei moderni apparati si hanno lunghezze di 3-4 km, una lunghezza tale da dover alzare un estremo del braccio per correggere la curvatura della superficie terreste. Inoltre, la luce ha una velocità costante nel vuoto e quindi dovrà viaggiare senza incontrare atomi residui nei tubi dei bracci. Ecco perché con l’utilizzo di speciali tecniche da vuoto si raggiungono dei vuoti ultra-spinti paragonabili a un millesimo di miliardesimo della pressione atmosferica.

Il primo segnale

Quattro sono al momento gli interferometri di ultimissima generazione deputati a tali misure: Virgo presso Cascina (Pisa) in Italia, GEO600 presso Heidelberg in Germania e Ligo, composto da due interferometri indipendenti, il primo a Hanford (Washington) ed il secondo a Livingston (Louisiana), entrambi in USA. Esiste però una stretta collaborazione relativa sia al funzionamento sia all’analisi dati tra gli esperimenti Virgo e Ligo. È stato infatti un ricercatore italiano – Marco Drago di Ferrara – che per primo si è accorto che un segnale importante era stato misurato dall’interferometro Ligo. Dopo mesi di controlli sugli apparati e sulle tecniche di analisi, l’11 febbraio 2016 il comunicato ufficiale è stato rilasciato, sicuri della certezza della misura effettuata. Il fenomeno rilevato è stato generato dalla collisione di due buchi neri avvenuta 1,3 miliardi di anni fa. Utilizzando l’interferometro Ligo, gli scienziati hanno potuto ascoltare per 20 millesimi di secondo due buchi neri giganti – uno pari a 36 volte la massa del Sole, l’altro leggermente più piccolo – che ruotavano uno attorno all’altro. All’inizio del segnale i due oggetti avevano cominciato a ruotare con una frequenza di 30 volte al secondo a una distanza di 400 chilometri l’uno dall’altro (quella che intercorre all’incirca tra Genova e Roma). Alla ine dei 20 millisecondi di dati, la loro frequenza di rotazione era arrivata a 250 volte al secondo prima di collidere e fondersi violentemente. In questa fusione finale durata un quinto di secondo, i due buchi neri coalescenti hanno emesso una quantità di energia 50 volte maggiore di quella emessa in tutto l’Universo in questo momento dall’effetto combinato di luce, onde radio, raggi X e raggi gamma.

Nuove frontiere nell’esplorazione del cosmo

La misura effettuata, oltre a tutte le informazioni fornite, rappresenta anche la certezza che si sono aperte le nuove frontiere della gravità, una nuova stagione di esplorazione del cosmo. Lo studio dei dati raccolti e di quelli che verranno in futuro ci aiuterà a capire meglio come funziona la forza gravitazionale in condizioni estreme mai esplorate prima, in modo da poter avere una descrizione unificata delle leggi della gravitazione e della meccanica quantistica che sappia descrivere i mattoni dell’Universo e il funzionamento e l’evoluzione di quest’ultimo. La comunità scientifica internazionale è già al lavoro per costruire gli esperimenti di prossima generazione che entreranno in funzione nei prossimi trent’anni. In particolare, si sta studiando la possibilità di inviare nello spazio una rete di tre satelliti, solidali con il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole, che si scambieranno fasci di luce, proprio seguendo il principio degli interferometri terrestri, ma con fasci laser che, anziché viaggiare per 3 chilometri, viaggeranno per alcune decine di milioni di chilometri. Tali esperimenti ci permetteranno di misurare i fenomeni più remoti dell’Universo per arrivare a captare i sussurri dell’Universo primordiale.

Per approfondire online

 

Paolo Lenisa è professore associato di fisica generale all’Università di Ferrara. Si occupa di fisica delle particelle elementari e delle simmetrie fondamentali della natura. Si interessa di divulgazione scientifica ed è appassionato di arte e cartografia antica.

Pasquale Di Nezza è ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e capogruppo dell’esperimento ALICE-LHC del CERN. Lavora nel campo della fisica delle alte energie ed è coordinatore del sito ScienzaPerTutti, portale di divulgazione scientifica dell’INFN.