L’oscillazione dei neutrini

Il Super-Kamiokande, il rivelatore giapponese “protagonista” negli studi del premio Nobel 2015 Takaaki Kajita

ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Fisica

Sono stati Takaaki Kajita e Arthur McDonald i vincitori del premio Nobel per la fisica 2015, per la loro scoperta delle oscillazioni dei neutrini e la conseguente dimostrazione che anche i neutrini hanno una massa. Una scoperta che è tipico esempio del modo di procedere della ricerca in fisica e che sfida l’attuale modello standard della fisica.

Francesca E. Magni

Se vi proponessero una valigia piena di calzini bianchi che alla fine di un lungo viaggio – assicura il venditore – li trasforma in calzini rosa, azzurri e bianchi, la comprereste? Alla natura pare che l’acquisto sia risultato interessante, perché i neutrini si comportano come quei calzini: partono tutti di un certo tipo e arrivano a destinazione un po’ in quel modo e un po’ in un altro. I fisici parlano di oscillazione nel senso che quando un fascio di neutrini si propaga (“viaggia”) può in parte cambiare identità: come se il fascio di partenza fosse costituito da una sovrapposizione di tipi che può mutare la propria composizione in percentuale durante il percorso. Ed è proprio a questo particolare comportamento dei neutrini che è dedicato il Premio Nobel per la fisica 2015.

Naturali e artificiali

I neutrini si suddividono in tre famiglie o “sapori”: elettronico, muonico e tauonico (tau). Takaaki Kajita della University of Tokyo di Kashiva in Giappone e Arthur McDonald della Queen’s University di Kingston in Canada, i due fisici vincitori del Nobel 2015, hanno scoperto rispettivamente che i neutrini muonici possono mutarsi in elettronici e gli elettronici in neutrini tau.
Prima di vedere più in dettaglio gli esperimenti dei vincitori, conviene elencare i neutrini secondo la loro origine, che può essere naturale oppure artificiale. I neutrini naturali possono essere: solari (prodotti dalle reazioni di fusione sul Sole), atmosferici (prodotti dai raggi cosmici che bombardano l’atmosfera), terrestri (dovuti alla radioattività naturale di minerali terrestri), cosmici (da esplosioni di supernovae), fossili (prodotti durante il Big Bang). Quelli artificiali sono invece prodotti all’interno di acceleratori di particelle oppure di reattori nucleari a fissione.

Il Sudbury Neutrino Observatory, oggi in disuso, è il rivelatore sito in Canada nel quale sono stati condotti gli esperimenti sui neutrini

Super rivelatori per particelle piccolissime

Takaaki Kajita e Arthur McDonald hanno osservato neutrini naturali, rispettivamente quelli muonici prodotti dalla radiazione cosmica nell’atmosfera e quelli elettronici provenienti dal Sole. Per intercettare queste particelle, che sono prive di carica e con massa estremamente piccola rispetto a tutte le altre, bisogna utilizzare rivelatori massivi di molte tonnellate e posti in un ambiente a bassa radioattività naturale, nel quale sia limitato il flusso di altre particelle di “disturbo” come quelle presenti nei raggi cosmici. Il rivelatore giapponese è il Super-Kamiokande mentre quello in Canada è il Sudbury Neutrino Observatory. Il primo è il più grande rivelatore sotterraneo mondiale, ha un diametro di 39,3 metri ed è alto 41,4 metri, contiene 50mila tonnellate di acqua ultrapura e si trova in una miniera a un chilometro sotto al terreno. Il secondo è un rivelatore sferico riempito con 7300 tonnellate di acqua leggera ultrapura, posto a due chilometri di profondità in una caverna dal diametro massimo di 22 metri, alla fine di un tunnel lungo 1,5 chilometri e ha funzionato fino al 28 novembre 2006. Non si può non raccontare il fatto che il giorno dopo la chiusura del rivelatore, un terremoto particolarmente intenso colpì la miniera e danneggiò gli strumenti!

Come funziona un rivelatore

Il funzionamento di questi rivelatori si può riassumere nel seguente modo: i neutrini interagiscono con i nuclei degli atomi di idrogeno o di ossigeno dell’acqua e in questo processo creano particelle cariche (elettroni, muoni o tauoni) che emettono una tenue luce blu detta luce di Čerenkov, che viene a sua volta rivelata dai numerosi fotomoltiplicatori presenti nella struttura sperimentale. Il rivelatore è in grado di distinguere la natura dei neutrini grazie alle alte energie che permettono l’interazione debole detta di corrente di carica in cui il neutrino viene identificato in base alla particella carica emessa.

Takaaki Kajita

I contributi di Kajita e McDonald

L’esperimento in Giappone con il rivelatore Super-Kamiokande ha permesso di misurare il numero di neutrini muonici dell’atmosfera terrestre e di rivelare che erano molto meno di quelli previsti. Merito di Takaaki Kajita è stato di dimostrare, nel 1998, che questi neutrini mancanti si erano trasformati in neutrini elettronici. Il rivelatore giapponese però non era abbastanza sensibile per individuare anche i neutrini tau, che sono stati successivamente rivelati dal Sudbury Neutrino Observatory grazie agli esperimenti condotti da Arthur McDonald, che ha quindi completato la “tessera mancante”: i neutrini elettronici a loro volta si possono trasformare in tauonici.

Arthur McDonald

Una questione di massa

Perché il Nobel di quest’anno è così importante? Aver osservato le oscillazioni del neutrino ha confermato che i neutrini possiedono una massa, perché senza di essa non potrebbero oscillare. Invece, l’attuale modello standard della fisica delle particelle, la teoria che descrive i costituenti fondamentali della materia e le loro interazioni, non prevede che i neutrini la posseggano… La prossima sfida quindi per la comprensione dei mattoni fondamentali della materia sarà trovare l’origine della massa del neutrino. È l’inizio di nuove ricerche che modificheranno la cosmologia, l’astrofisica e la fisica delle particelle.

L’idea di Pauli

Nell’articolo di presentazione dei Nobel per la fisica pubblicato sul sito della rivista “Le Scienze” il 6 ottobre 2015 si legge: «La lunga storia del neutrino è un esempio tipico del modo di procedere della ricerca in fisica, in cui un risultato sperimentale inspiegabile porta alla formulazione di una teoria che a sua volta permette di ottenere nuovi risultati sperimentali».
Il neutrino nacque infatti nel 1930 dalla mente del fisico Wolfgang Pauli per risolvere un problema sperimentale: nel processo di decadimento beta, in cui un neutrone si trasforma in un protone più un elettrone, si misurava un’energia finale minore di quella di partenza. I dati sperimentali contraddicevano il principio di conservazione dell’energia e per ovviare a questo problema, Pauli ipotizzò che nel processo venisse creata una nuova particella, il neutrino, elettricamente neutra e di massa molto piccola rispetto alle altre particelle coinvolte nel processo. La teoria del modello standard ipotizzò in seguito che la massa del neutrino fosse invece nulla. Fu solo nel 1956 che il neutrino venne effettivamente rivelato, nel reattore di Savannah River, negli Stati Uniti.

Il problema dei neutrini solari

Negli anni Sessanta sorse un nuovo problema sperimentale che riguardava i neutrini provenienti dal Sole, perché sulla Terra se ne osservava sempre un numero minore di quello calcolato di partenza. Dove finivano i due terzi di neutrini elettronici solari? O sarebbe meglio dire come finivano? La risposta è che cambiano: non li si vedeva perché si erano trasformati negli altri due tipi di muoni.
Il primo a ipotizzare questo processo riguardo ai neutrini solari fu il fisico italiano Bruno Pontecorvo nel 1968, e la sua spiegazione include il fatto che i neutrini siano una miscela di stati, ognuno dei quali evolve in maniera diversa e può oscillare da uno all’altro. Gli esperimenti compiuti dai vincitori del Nobel 2015 hanno confermato anche l’ulteriore ipotesi di Pontecorvo sull’esistenza di una massa anche per i neutrini.

Esperimenti italiani

La trasformazione spontanea di un neutrino in un altro è stata osservata per la prima volta in Italia, ai Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), durante l’esperimento Opera. I neutrini prodotti all’interno del Cern di Ginevra raggiungono i rivelatori in Italia: partono tutti muonici e arrivano oscillando, cioè assumono una componente tau sempre maggiore rispetto a quella muonica fino a convertirsi interamente in tauonici. Da quel momento l’oscillazione si ripete con le stesse caratteristiche fino a ritrasformarli in muonici. Nel 2010 è stato osservato un solo neutrino tau su miliardi di neutrini muonici, ma il risultato è stato comunque importante, viste le conferme sperimentali successive venute sempre dall’esperimento Opera.

PER APPROFONDIRE

Scheda didattica

L’oscillazione dei neutrini

di Francesca E. Magni

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L’oscillazione dei neutrini

di Francesca E. Magni

 

Francesca E. Magni: è laureata in fisica e pubblicista. Insegna matematica e fisica al liceo. Scrive racconti scientifici.