A tu per tu con il pianeta nano

La sonda New Horizon alle porte di Plutone (ricostruzione grafica)

ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Scienze della Terra, Scienze, Fisica

Il sorvolo di Plutone da parte della sonda New Horizons è stato uno degli eventi scientifici dell’anno. Ecco che cosa ci raccontano i dati inviati finora da questa missione ai confini del Sistema solare.

Paolo Magliocco

Dopo nove anni e mezzo di viaggio e più di cinque miliardi di chilometri percorsi, la sonda New Horizons è arrivata vicina, vicinissima a Plutone, sorvolandolo da appena 12 500 chilometri di di-stanza lo scorso 14 luglio. Per la prima volta è stato possibile vedere questo pianeta nano, lontano dalla Terra più di 32 volte quanto è lontano da noi il Sole, con un dettaglio straordinario. Plutone ha svelato montagne alte 3500 metri, probabilmente fatte di ghiaccio, un suolo a tratti liscio e quasi privo di crateri e un’atmosfera ancora tutta da studiare e capire. E ancora, il suo satellite maggiore, Caronte, ha mostrato un monte che sorge all’interno di un grande cratere e anche delle altre lune si sa finalmente qualcosa in più.
Insomma, grazie alla missione New Horizons abbiamo per la prima volta visitato e conosciuto un altro remoto angolo del nostro “condominio spaziale” e lo stiamo trovando pieno di novità interes-santi. Plutone non è un mondo statico, non è come la nostra Luna: è attivo e in continuo cambia-mento, geologicamente “vivo”.
Se non bastasse, il volo della sonda continua e potrà per la prima volta incontrare uno dei grandi oggetti che popolano la Fascia di Kuiper, dei quali si sa finora pochissimo.

Un quasi-pianeta pieno di sorprese

D’altra parte, Plutone era già fonte di curiosità anche prima dello storico sorvolo del 14 luglio.
La sua storia è probabilmente più ricca di stranezze e colpi di scena di quella di ogni altro corpo del Sistema solare. Lontanissimo e quasi invisibile da Terra, Plutone fu scoperto solo nel 1930 dall’astronomo americano Clyde Tombaugh, un dilettante, appassionato esploratore del cielo, che era arrivato alle osservazioni professionali senza alcuna formazione universitaria. A lui venne dato il compito di cercare il pianeta mancante, il nono corpo celeste in orbita attorno al Sole che secondo i maggiori astronomi dell’epoca doveva esistere per spiegare le perturbazioni nell’orbita di Nettuno. Tombaugh ce la mise tutta e riuscì a scovare il pianeta analizzando con infinita pazienza le foto del cielo alla ricerca di un oggetto in movimento tra le stelle. Il fatto è che la perturbazione dell’orbita di Nettuno, si scoprì poi, non c’era affatto. E quindi anche Plutone avrebbe potuto non esserci. In-somma, fu scoperto un po’ come l’America, quasi per errore.
Nono pianeta del Sistema solare per oltre sessant’anni, Plutone è stato alla fine declassato a pianeta nano, o quasi-pianeta, nel 2006, proprio quando la sonda New Horizons era finalmente riuscita a mettersi in viaggio per cercare di osservarlo da vicino.
Plutone ha un’orbita irregolare, che si avvicina al Sole più di quella di Nettuno per poi allontanarsi anche molto di più: la sua distanza dalla nostra stella varia da un minimo di circa 30 UA (ora è a 33,25) fino a circa 50 UA (UA, unità astronomica, è la distanza media tra la Terra e il Sole). E per girare attorno al Sole impiega ben 247,8 anni terrestri e dunque da quando è stato scoperto a oggi non ha percorso nemmeno la metà di questa orbita.
Anche la sua rotazione è diversa da quella degli altri corpi del Sistema solare. Plutone ha una luna, Caronte, che ha un diametro superiore alla metà del suo (il rapporto più alto tra un pianeta e una sua luna nel Sistema solare) e che non orbita attorno a lui bensì insieme a lui: i due corpi celesti hanno un centro di massa che è esterno a entrambi e si comportano come due ballerini allacciati tra loro che ruotano insieme e sulla pista.
Plutone è piccolo, ha un diametro pari ad appena il 60% di quello della nostra Luna e circa la metà di quello di Mercurio. Ma non è per questo che è stato definito pianeta nano (vedi la scheda didatti-ca). E piccola, ma molto attrezzata, è anche la sonda che ci sta svelando come è fatto.

New Horizons misura meno di tre metri per un’altezza di 70 centimetri, la sua forma assomiglia ad un pianoforte

Un pianoforte nello spazio

Partita da Cape Canaveral il 19 gennaio del 2006, New Horizons ha viaggiato a una velocità oltre 50 000 km/h (circa 14,5 km/s, il doppio della velocità a cui viaggia la Stazione Spaziale Internazionale e la più alta mai raggiunta da una sonda) per 3450 giorni prima di avvicinarsi alla minima distanza da Plutone.
La navicella è un oggetto di forma irregolare che assomiglia a un parallelepipedo con base triango-lare al quale sono agganciate un’antenna parabolica e un cilindro. I lati misurano meno di tre metri per un’altezza di 70 centimetri, e per questo è stato paragonato a un pianoforte. In tutto pesa 465 chilogrammi. Sulla navicella sono montati sette strumenti scientifici. Il più famoso è la fotocamera digitale LORRI, che realizza le immagini nella banda visibile e che può fornire dettagli, nel mo-mento del sorvolo alla minima distanza, nell’ordine di 60 metri. Ma ci sono spettrometri per l’infrarosso (RALPH) e l’ultravioletto (ALICE), per il vento solare e il plasma (SWAP), uno stru-mento per l’analisi delle particelle ad alta energia (PEPSSI), uno per l’analisi delle emissioni radio di Plutone (REX) che aiuterà lo studio della sua atmosfera e infine uno strumento, realizzato e gestito da studenti, che studia la polvere spaziale incontrata dalla sonda (SDC).
Per controllare la rotta, New Horizons ha fotocamere e un processore che confronta le immagini rilevate con una mappa di oltre 2000 stelle, un rilevatore rivolto verso il Sole, giroscopi e oscillo-scopi. Ogni suo apparecchio consuma appena tra due e dieci Watt e tutta la sonda consuma circa 180 Watt. Poiché New Horizons è troppo lontana dal Sole, la cui luce a quelle distanze è mille volte più tenue che sulla Terra, per poter sfruttare un generatore fotovoltaico, la sua energia viene da uno strumento che si chiama RTG, generatore termoelettrico a radioisotopi, che sfrutta la radioattività naturale del biossido di plutonio per generare calore che viene poi trasformato in corrente elettrica.
La propulsione è affidata a un sistema monopropellente (senza comburente) a idrazina (N2H4), so-stanza che viene decomposta in gas grazie a un catalizzatore. Ma è stato utilizzato solo per tempi brevissimi, per correggere la rotta. La sonda è riuscita comunque a centrare il corridoio di passaggio accanto al pianeta previsto dai piani di volo, largo appena 90 chilometri: un’impresa alla sua velocità!
La registrazione dei dati viene effettuata su due memorie a stato solido da appena 8 Gb e la trasmis-sione dei dati verso la Terra impiega 4,5 ore e avviene tra 0,6 e 1,2 Kb al secondo, cinquanta volte meno dei primi modem per il collegamento a Internet, quelli che trasmettevano 56 Kb/s. Per ricevere i dati raccolti nel passaggio ravvicinato e poter vedere le foto in alta risoluzione ci vorrà quasi un anno e mezzo di tempo. Ecco perché i risultati noti finora sono solo un assaggio di quel che si potrebbe trovare.

Cinque lune, un’atmosfera di azoto e qualche nebbia

La prima scoperta, fatta al momento di decidere la rotta per l’ultimo avvicinamento a Plutone, è che, contrariamente a quanto si pensava, le sue lune sono soltanto cinque. Caronte è la più grande, con un diametro di 1200 km. Di Notte e Idra ora si conoscono le misure (tra 30 e 50 km di lunghezza e di larghezza) e la forma (la prima è allungata, la seconda irregolare) Per saperne di più su Stige e Cerbero ci vorrà ancora un po’ di pazienza.
Ma l’attenzione è al momento puntata sopratutto su Plutone e Caronte e sulle somiglianze e le diffe-renze tra i due. Per esempio, Plutone ha un’atmosfera, Caronte no. L’atmosfera di Plutone, osservata soprattutto grazie al suo passaggio davanti al sole, appare incredibilmente estesa, fino a 1600 km di altitudine dal suolo, ha una pressione 10 000 volte inferiore rispetto a quella terrestre, è composta al 98% da azoto – ma l’azoto sfugge continuamente nello spazio, a migliaia di tonnellate all’ora, e non si sa come possa essere ricostituito – mentre negli strati più bassi si formano nebbie dovute all’interazione dei raggi ultravioletti con il metano presente su Plutone.

Immagine della catena mon-tuosa Tombaugh Regio, situata tra luminose pianure ghiacciate e numerosi crateri

Una superficie giovanissima

Sia il quasi-pianeta sia il suo satellite maggiore hanno una superficie che in alcune zone gli astronomi giudicano “incredibilmente giovane”. Su Plutone sono state scoperte pianure che avrebbero non più di 100 milioni di anni e dunque create da un’attività geologica che potrebbe essere ancora in corso. Sulle pianure si vedono lunghi segmenti simili a quelli che si formano sul fango essiccato. Sono pianure ghiacciate, la temperatura è attorno a 40 °K, e i ghiacci potrebbero essere in movimento. Oltre le pianure si scorgono montagne di ghiaccio alte fino a 3500 metri, ma anche una catena montuosa più modesta, tra 1000 e 1500 metri di altezza. Ci sono distese di buche che potrebbero essere create dalla sublimazione del ghiaccio della superficie, in una sorta di attività vulcanica. C’è metano ghiacciato, come già si sapeva, ma adesso si scopre che la sua distribuzione è molto ir-regolare tra le varie zone di Plutone. Si tratta di “una delle delle superfici più giovani mai osservate nel Sistema solare” ha dichiarato Jeff Moore del New Horizons Geology, Geophysics and Imaging Team (GGI) della NASA. Ci sono però anche aree segnate da crateri che potrebbero avere miliardi di anni (ai link si trovano due suggestive anima-zioni della superficie di Plutone: North Sputnik Planum FlyoverNorgay Montes Flyover).
Anche su Caronte i crateri sono meno frequenti di quanto si pensasse. Sono stati visti una lunga striscia di strapiombi e voragini e canyon profondi fino a nove chilometri. In una profonda voragine si è sorprendentemente formata una montagna. Anche Caronte, che i geologi pensavano fosse solo una palla di roccia e ghiaccio, avrebbe dunque una propria attività geologica di origine ancora misteriosa.

Oltre Plutone

New Horizons non è la sonda che si è spinta più lontano dalla Terra (Voyager 1 e 2 sono ancora at-tive e sono molto più lontane). Ma questa navicella potrebbe (e dovrebbe) essere la prima a incon-trare da vicino altri oggetti trans-nettuniani, quelli che appartengono alla Fascia di Kuiper, dove viaggiano migliaia di pianetini, asteroidi e comete del tutto sconosciuti o dei quali si sa ben poco. La navicella si sta irrimediabilmente allontanando da Plutone, non era possibile manovrarla perché entrasse in orbita attorno a lui per continuarne lo studio, e a gennaio del 2016 la fase di osservazione del pianeta nano terminerà. I responsabili della missione decideranno allora quale sarà il suo obiettivo, scegliendo tra due oggetti quasi minuscoli, grandi appena dai 30 ai 55 chilometri.

Raffigurazione artistica del pianeta Kepler 452b

Il cugino (lontanissimo) della Terra

Nonostante i successi di New Horizons, la scoperta astronomica dell’anno rischia di essere (almeno per l’immaginario collettivo) il pianeta Kepler 452b, presentato come il pianeta più simile alla Terra che sia mai stato individuato al di fuori del Sistema solare. Kepler 452b prende il nome dalla mis-sione della Nasa dedicata proprio alla ricerca di esopianeti attraverso il telescopio spaziale Kepler. È appena il 60% più grande in termini di diametro del nostro pianeta (ed è perciò definito una super-Terra), ruota attorno a una stella della stessa classe di stelle del nostro Sole (e molto simile in termini di dimensioni e temperatura) e si trova non solo nella fascia di abitabilità (cioè nella zona in cui l’acqua potrebbe essere liquida), ma anche a una distanza simile a quella della Terra dal Sole. L’enfasi messa dall’Agenzia spaziale americana nell’annuncio, dunque, ha qualche giustificazione. Tuttavia per ora non si sa neppure se Kepler 452b sia un pianeta roccioso oppure no. Da qui a definire se possa ospitare forme di vita, la strada è dunque ancora lunga. E non sarà facile saperne di più su questo pianeta, visto che si trova a 1600 anni luce da noi. Ma la ricerca continua.

PER APPROFONDIRE

Scheda didattica

A tu per tu con il pianeta nano

di Barbara Scapellato

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Paolo Magliocco: è un giornalista, appassionato di scienza e divulgazione. Dirige il sito Videoscienza. Ha scritto un libro sulla scoperta del bosone di Higgs (La grande caccia, Pearson). Collabora con diversi giornali.