Quanto è reattivo il ghiaccio?

La criosfera costituisce un sito altamente reattivo, dove gli inquinanti reagiscono e rilasciano gas reattivi

IDEE PER INSEGNARE | Chimica

Si pensa spesso che sia inerte, ma il ghiaccio è invece un sito altamente reattivo, come permette di evidenziare questa esperienza, basata sull’ossidazione dello ione ioduro da parte dell’ossigeno atmosferico.

Gianluca Farusi

Di solito la criosfera è vista come qualcosa di statico, un cappello che inibisce le emissioni dalla porzione di superficie terrestre che ricopre e che, al massimo, agisce da serbatoio per le specie presenti in atmosfera. Propongo qui un’esperienza, adatta alle classi seconde e terze di scuole secondarie di secondo grado, che permette di evidenziare che il ghiaccio, lungi dall’essere sia inerte sia mero “serbatoio”, costituisce un sito altamente reattivo, dove gli inquinanti reagiscono e rilasciano gas reattivi. L’obiettivo viene raggiunto dimostrando come l’ossidazione dello ione ioduro da parte dell’ossigeno atmosferico non solo è quantitativamente maggiore nel ghiaccio ma anche più veloce. La valutazione viene effettuata sia visivamente sia effettuando una semplice titolazione secondo Mohr.

Introduzione

Se è vero che la velocità di una reazione diminuisce al diminuire della temperatura, questo non è più vero se il raffreddamento è tale che la soluzione congela. La concentrazione degli elettroliti nella fase liquida aumenta a mano a mano che l’acqua liquida congela e va ad incrementare la fase solida. La soluzione resta intrappolata tra le superfici dei grani di ghiaccio, formando “microtasche” liquide. Non tutte le reazioni che avvengono nel ghiaccio dipendono solamente da un aumento di concentrazione dovuto ad un processo di congelamento. Molte dipendono anche dal fatto che lo sbilanciamento di carica che si ha per effetto Workman-Reynolds porta anche a variazioni di pH della soluzione per la migrazione di H+ o di OH- tra il ghiaccio e la soluzione in esso contenuta e non congelata. Questa esperienza didattica si pone quindi l’obiettivo di simulare quello che accade ai poli, con la differenza che, in quest’ultimo caso, le sostanze che ritroviamo nel ghiaccio possono esservi inglobate con una delle seguenti modalità:

1. molecole come HCl e HNO3 ionizzano, si solvatano a contatto con la superficie del ghiaccio e vengono poi incorporate velocemente all’interno del cristallo;
2. molecole come H2O2 e CH2O possono essere incorporate all’interno del cristallo, ma poco si sa sia sulla struttura che assumono sia sulle modalità di legame: se si legano ai legami a ponte di idrogeno presenti sulla superficie del ghiaccio e si disciolgono nello strato quasi-liquido, o se vanno a depositarsi nelle “microtasche” presenti nel cristallo;
3. molecole più grandi come l’acetone, l’acetaldeide e gli alcoli vengono adsorbiti sul ghiaccio formando legami a ponte di idrogeno;
4. molecole organiche semivolatili o di bassa polarità come gli idrocarburi policiclici aromatici vengono adsorbite tramite interazioni di Van der Waals: tale processo non è considerato una solubilizzazione.

Alogeni e zone polari

L’ossidazione dello ione ioduro da parte dell’ossigeno atmosferico offre il vantaggio che lo iodio molecolare prodotto dalla reazione è facilmente evidenziabile con salda d’amido e lo ioduro non reagito si titola secondo Mohr. Gli alogeni, inoltre, rivestono un ruolo fondamentale nel chimismo delle zone polari perché si sa che queste specie altamente reattive possono incidere sul potere ossidante dell’atmosfera locale. Ecco alcuni esempi:

1. l’impoverimento di ozono nella troposfera polare è stato associato al BrO mentre quello nella stratosfera ai radicali del cloro; è stato evidenziato che masse d’aria ricche di BrO si formano sulle aree occupate da ghiaccio di origine marina che sono state ricoperte dalla neve. Ciò sta a suggerire che gli ioni bromuro inerti presenti nel sale marino vengono incorporati e trasformati all’interno di questi ambienti ghiacciati in specie attive nella distruzione dell’ozono;
2. gli alogeni giocano un ruolo fondamentale nella formazione di nuclei di condensazione di nuvole (CCN): direttamente, come nel caso dei vapori degli ossidi di iodio che sono loro stessi CCN ed indirettamente, ossidando per esempio il dimetilsolfuro;
3. gli alogeni ossidano il mercurio elementare gassoso (GEM) in derivati del mercurio molto tossici;
4. gli ioni dialogenoiodati del tipo IX2- (dove X = Cl o Br) possono decomporsi per dare IX(aq), che può successivamente diffondere dalla fase acquosa per formare gas alogeni reattivi.

Tempi e modalità di realizzazione

L’esperienza proposta prevede due percorsi, che si svolgono in due lezioni da 60 minuti. Il secondo percorso può essere arricchito da foto, che il docente avrà cura di scattare ogni 24-48 ore. Nel calcolo dei tempi è stata omessa la preparazione e standardizzazione della soluzione di AgNO3. Ovviamente, vanno seguite le procedure di sicurezza standard.

Per svolgere l'esperienza proposta scaricate l'articolo in formato PDF.

PER APPROFONDIRE

  • P. O’Driscoll, Freezing Halide Ion Solutions and the Release of Interhalogens to the Atmosphere, in Physical Chemistry Letter, 2006, vol. 110, pp. 4615-4618.
  • D. O’Sullivan and J.R. Sodeau, Freeze-Induced Reactions: Formation of Iodine-Bromine Interhalogen Species from Aqueous Halide Ion Solutions, in J.Phys.Chem., 2010, vol. 114, pp. 12208-12215.
  • A-M- Grannas et all, An overview of snow photochemistry: evidence, mechanisms and impacts, in Atmos. Chem. Phys., 2007, vol. 7, pp. 4329-4373.

Scheda didattica

Spontaneità di una reazione

di Gianluca Farusi

Articolo PDF

 

Gianluca Farusi: laureato in chimica e tecnologia farmaceutica, è docente di analisi chimica e chimica fisica all’Istituto Tecnico Industriale Galilei di Carrara. Ringrazia l’allievo Stefano Benetti, che nel 2011 ha realizzato la parte pratica dell’esperienza. Per contattare il docente, scrivere a bilanciamento@yahoo.it.