Il restauro è biotech
ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Tecnologia, Biologia
L’Italia è in prima linea nelle strategie di conservazione dei beni culturali basate sui batteri. Questi microrganismi, infatti, possono essere utilizzati in ben due ambiti: la pulitura delle opere d’arte e il consolidamento di sculture e monumenti. In questo articolo, una panoramica sui meccanismi alla base di questi impieghi particolari.
Al pari della fisica e della chimica, anche la biologia può essere messa al servizio dell’arte e della conservazione dei beni culturali. Come? Per esempio sfruttando le caratteristiche di certi microrganismi, come i batteri, che si sono dimostrati abili restauratori. Parliamo, ovviamente, di specie non pericolose per la salute e che posseggono abilità particolari: per esempio “mangiare” le patine di sporco che si depositano nel tempo sulle opere d’arte oppure produrre (precipitare, in gergo) sali minerali che vanno a rinforzare sculture, architetture e manufatti in pietra. In effetti, l’applicazione della biologia alle tecniche di restauro si divide in questi due rami: la biopulitura e il bioconsolidamento. Scopriamo di cosa si tratta.
Un impacco di batteri
A ipotizzare l’impiego dei microrganismi per il restauro dei beni culturali furono due inglesi, Anne Moncrieff e Kenneth Hempel del Victoria and Albert Museum di Londra. Era il 1970, e i due restauratori avevano intuito che alcuni ceppi di batteri avrebbero potuto “mangiare” le cosiddette croste nere che spesso si formano sui monumenti. Cominciarono così a presentare ai convegni internazionali la loro idea di un “impacco biologico” (biological pack) da applicare ai marmi. Il primo vero studio di biorestauro arrivò, però, parecchio più tardi, alla fine degli anni Ottanta: quando Ronald Atlas (oggi docente di Biologia all’Università di Louisville, Usa) dimostrò che il batterio Desulfovibrio vulgaris poteva davvero ripulire il marmo, e senza causare alcun danno. Dopo 12 ore di trattamento, Atlas aveva ottenuto una pulitura parziale di una superficie: un risultato modesto, ma la prova sperimentale c’era. Da quel momento, restauratori e biologi hanno cominciato a ricercare i microrganismi più adatti da utilizzare nella pulitura di diversi tipi di materiali: non solo marmi, ma anche affreschi e dipinti murari, pitture su legno, libri e pergamene antiche, pellicole, lastre fotografiche, monete.