Rifugiati del clima

Vista aerea del villaggio di Kivalina

ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Scienze, Scienze della Terra

In molte aree del mondo, i cambiamenti climatici mettono a rischio la vita delle popolazioni, che, di conseguenza, sono costrette a spostarsi. Non conosciamo i numeri esatti del fenomeno, ma sappiamo che è ingente.

Tiziana Moriconi

Gennaio 2016, Stati Uniti. Il Dipartimento della casa e dello sviluppo urbano annuncia un finanziamento di un miliardo di dollari in 13 Stati, per aiutare le comunità locali ad adattarsi ai cambiamenti climatici, costruendo argini migliori, dighe e sistemi di drenaggio. Di questi, 48 milioni sono destinati all’Isle de Jean Charles, una stretta striscia di terra in Louisiana abitata da una sessantina di nativi americani, per un’operazione che non si era mai resa necessaria prima di allora in America: spostare altrove l’intera comunità. Il mare si è preso la terra e queste 60 persone vengono ora chiamate climate refugees.
È tra i primi progetti al mondo di questo genere, come racconta un interessante progetto del New York Times.

Territori a rischio

La Louisiana perde circa 65 chilometri quadrati ogni anno, ma non è il solo luogo dove il mare sta invadendo la terra. Il numero di persone che rischiano di diventare migranti forzati del clima è difficile da definire; si stima però che tra i 50 e i 200 milioni saranno costretti a spostarsi per via di disastri ambientali nei prossimi 35 anni. Solo in Bangladesh si parla di 20 milioni di persone: metà della popolazione vive a meno di 5 metri sul livello del mare e nel 2050 il 17% delle terre potrebbe non essere più abitabile.
Le Maldive costituiscono la nazione più a rischio: l’altezza sul livello del mare nel suo punto più alto è di appena 2,4 metri. Sia la sua economia, basata sul turismo, sia il suo habitat potrebbero essere completamente sconvolti nei prossimi decenni e tutti i suoi abitanti potrebbero trovarsi costretti a chiedere asilo altrove. Poi c’è il problema della riduzione dei ghiacci nel Nord.
In Alaska, il villaggio di Kivalina, a circa un centinaio di chilometri dal circolo polare artico, sta per scomparire: 400 persone si dovranno spostare, perché il ghiaccio si sta riducendo velocemente e sta diventando impossibile spostarsi e pescare. Presto lo stesso problema si avrà ovunque in Alaska, dove ci si aspetta che il ghiaccio sparisca entro il 2040, e in alcuni luoghi del Canada. Per quel che ci riguarda più da vicino, il 70% della popolazione italiana vive lungo i circa 7500 chilometri di costa della nostra penisola.

Tra gli effetti delle catastrofi naturali c’è il fenomeno degli ecoprofughi

Migranti forzati

«L’innalzamento dei mari darà luogo a flussi migratori ingenti. Già oggi, nel 2017, circa 40 milioni di persone vivono in aree costiere a rischio di allagamenti», dice Valerio Calzolaio, autore del libro Ecoprofughi (NdA Press, 2010) e, insieme al filosofo e storico della biologia Telmo Pievani, di Libertà di migrare (Einaudi, 2016). «Molte persone sono costrette a spostarsi, anche a causa di fenomeni meteorologici estremi, come tsunami, uragani e alluvioni, che con il riscaldamento climatico diventano più frequenti e violenti. Il numero esatto di questi ecoprofughi non si conosce, perché nessuno li conta. Secondo una stima dell’Onu, tra il 2008 e il 2014 circa 185 milioni hanno perso le proprie abitazioni a causa di disastri naturali.
Nel 90% dei casi, la causa è il clima e le aree più a rischio sono anche le più povere, come l’India, il Bangladesh e i paesi dell’Africa centrale. C’è sicuramente poca consapevolezza del fatto che questa nuova classe di migranti forzati l’abbiamo creata noi occidentali: sono vittime di decenni di comportamenti e scelte poco responsabili nei confronti del cambiamento climatico.»

PER APPROFONDIRE

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Rifugiati del clima

di Tiziana Moriconi

 

Tiziana Moriconi: giornalista scientifica, collabora con Galileo, Le Scienze, D la Repubblica online, Wired.it.