Ho iniziato a raccontare storie ai miei studenti alcuni anni fa. Il mio corso di fisica stava funzionando bene, sia per i risultati ottenuti sia per la gestione della classe, ma avevo l'impressione che risultasse troppo formale. Per questo ho cercato un modo nuovo di comunicare, che suscitasse un maggiore coinvolgimento emotivo dei ragazzi e fosse anche occasione di approfondimento. La prima storia che ho raccontato è stata quella di Jesse Owens: le sue origini, le gare studentesche, le Olimpiadi del 1936 a Berlino, il record sui 200 metri piani e il confronto con quelli di Pietro Mennea e Usain Bolt. L'ho fatto camminando tra i banchi, cercando di dosare parole e silenzi, informazioni e immaginazione (pensavo al teatro di Marco Paolini o alle storie di Roberto Saviano). Owens si trova nelle pubblicità, alcuni studenti lo hanno riconosciuto e pregustavano il fatto di sapere già qualcosa prima che lo dicesse il docente. Dopo aver discusso i diversi record, siamo passati dal mito alla fisica parlando della risoluzione dei cronometri.
Quando, nelle lezioni successive, dicevo «e adesso vi racconto una storia», gli studenti sapevano che aveva inizio una parentesi accessibile a tutti, e si mettevano comodi ad ascoltare. Da allora uso fatti di attualità o della storia recente, come il salto di Felix Baumgartner, la punizione di Roberto Carlos o la storia di Neil Armstrong, per introdurre nuovi argomenti o proporre interrogativi problematici; racconto le storie della vita degli scienziati per far apprezzare agli allievi che quello che studiano è il frutto del lavoro di persone "normali", e che il tanto famoso Isaac Newton, come molti di loro, ha avuto un'infanzia poco fortunata. Una volta abituati ad ascoltare storie, propongo ai miei studenti di provare loro stessi a raccontarne e a inventarne.
Riferimenti per cominciare
Quando ho cercato i riferimenti teorici sull'uso delle storie in classe sono partito dal lavoro dello psicologo Jerome Bruner [1], che definisce la narrativa come una serie di eventi o di stati mentali che non hanno significato autonomo, ma lo acquistano solo all'interno della sequenza con la quale sono disposti nella trama. Una storia non può essere spiegata, ma solo interpretata; la narrativa racconta qualcosa di inaspettato o insinua un dubbio. Questo tipo di analisi vale anche in ambito scientifico: si può spiegare la caduta dei corpi, ma si può solo interpretare cosa sia successo a Newton quando, come si racconta, gli è caduta la mela in testa [2]. La stessa storia della scienza può essere letta in chiave narrativa, come un romanzo epico, una tragedia, una commedia [3]. A volte anche i testi scientifici, come l'Ottica di Newton o l'articolo di Einstein sull'effetto fotoelettrico, hanno una struttura fortemente narrativa [4].
Le storie sono state molto utilizzate come un efficace strumento didattico, perché stimolano interesse, curiosità, coinvolgimento, sviluppo della memoria, maggior comprensione dei contenuti [5]. Questo accade perché i fatti e le azioni raccontati in una narrazione sembrano più concreti e facilmente comprensibili, per esempio, di una dimostrazione matematica, e perché le narrazioni permettono di mantenere sullo stesso piano linguaggio scientifico e non-scientifico [6]. Certo alcuni argomenti, per loro natura, si prestano meglio di altri alla trasposizione in chiave narrativa: la scomparsa dei dinosauri può essere "raccontata" con rigore in maniera più semplice di quanto si possa fare per il modello particellare della materia. L'uso della narrazione in alune fasi dell'attività didattica può comunque rivelarsi funzionale alla creazione di un canale di comunicazione alternativo [7]. Per conciliare rigore scientifico e approccio narrativo serve un pizzico di creatività personale, ma è possibile trovare stimoli utili nelle opere divulgative dei grandi scienziati, e in particolare di quelli che hanno dedicato molta attenzione alla didattica. Per esempio il fisico Richard Feynman è riuscito a spiegare la conservazione dell'energia con una storia di Pierino [8].
La tecnologia per le storie
Le nuove tecnologie hanno cambiato il modo in cui si può raccontare una storia, ampliando le opportunità di espressione, ma soprattutto rendendole disponibili a chiunque: oggi tutti possono facilmente creare un video con una colonna sonora personalizzata. Inoltre, attraverso la diffusione degli ipertesti e dei social network, la costruzione di una storia è diventata anche un processo non sequenziale e una forma di comunicazione distribuita. La scelta di utilizzare nuove tecnologie per portare le narrazioni nella pratica di classe permette di potenziare questo strumento, fornisce un ulteriore stimolo al coinvolgimento e promuove lo sviluppo di una media literacy sempre più necessaria per poter interpretare una società basata sulla comunicazione [9].
A questo proposito, si possono distinguere applicazioni pensate appositamente per l'apprendimento e strumenti di uso comune adattati per fini didattici [10]. Per quanto molto funzionali e stimolanti, gli ambienti di apprendimento dedicati rischiano di essere poco immediati, perché bisogna imparare regole di funzionamento e usare dispositivi aggiornati per poterli visualizzare o connessioni veloci per caricare interfacce strutturate. È il caso, per esempio, di Radix Endeavor o Citizen Science. Le tecnologie di uso comune sono invece più facili da usare perché già note agli allievi. In questa categoria rientrano esperienze che vanno dalla semplice creazione di presentazioni multimediali al montaggio di filmati registrati con dispositivi mobili, dove gli strumenti utilizzati sono quelli normalmente disponibili per la gestione di testi, immagini, suoni, filmati [11]. Altre possibilità sono offerte da vari strumenti del Web 2.0 per la realizzazione di un diario di bordo, la spiegazione collettiva di un fenomeno attraverso i commenti a un topic, la creazione di una biografia con una pagina wiki o Facebook [12]. In questo senso, Twitter potrebbe rivelarsi un ambiente stimolante per proporre un dialogo in stile galileiano: si possono, per esempio, trasporre le battute di Simplicio, Salviati e Sagredo in uno scambio di tweet oppure inventarne di nuove per la spiegazione di un fenomeno osservato in laboratorio o nella vita quotidiana.