Studenti nel bosco

Bosco

ESPERIENZE DI CLASSE | Biologia, Scienze della Terra

Nella cornice di OrvietoScienza, appuntamento annuale dedicato ai rapporti tra scienza, scuola e società, un laboratorio ha permesso ad alcuni studenti di quantificare in prima persona il carbonio stoccato in un bosco. Un lavoro concreto, per arrivare a riflettere sul tema dell’uso delle foreste come fattori di mitigazione per il riscaldamento globale.

Adele Riccetti e Giuseppe De Ninno

È giunta ormai al quarto anno l’iniziativa di OrvietoScienza, che per due giorni fa incontrare nella città di Orvieto scienziati di tutta Italia e studenti del territorio per approfondire un tema di attualità e di rilevanza per la società. Il modello ormai consolidato di organizzazione di questa iniziativa ruota intorno agli studenti, che per quattro mesi lavorano insieme a ricercatori portando avanti laboratori didattici elettivi. Quest’anno il tema scelto era quello del cambiamento climatico, e tra i partner che hanno sostenuto questa edizione abbiamo avuto i ricercatori dell’Istituto di biologia agroambientale e forestale del CNR. Molti e interessanti i laboratori offerti: analisi della relazione tra stress idrico e attività fotosintetica, uso di strumenti open source per l’analisi di dati climatici degli ultimi 70 anni, uso di particolari sensori per le misure ambientali.
In questo articolo descriviamo un laboratorio che ci sembra facilmente riproducibile e che abbiamo chiamato Land use, relativo all’uso delle foreste come fattori di mitigazione per il riscaldamento globale. In particolare, l’esperienza ha riguardato la quantificazione del carbonio stoccato in un bosco dell’orvietano e la sua capacità di sequestro della CO2 dall’atmosfera. Gli studenti partecipanti – sette alunni di classe quarta del liceo Majorana di Orvieto – sono stati supportati durante tutto il percorso di studio dal dottor Bruno De Cinti del CNR-IBAF.

Primo passo il ciclo del carbonio

Con una lezione introduttiva in classe si è inquadrato l’aspetto dell’effetto serra e il ruolo che gli ecosistemi e soprattutto il bosco hanno nella cattura di CO2 atmosferico. In particolare è stato approfondito il ciclo del carbonio, cioè il ciclo biogeochimico attraverso il quale il carbonio è scambiato tra geosfera, idrosfera, biosfera e atmosfera: un punto di partenza che permette di avere una visione generale e unitaria di come questo elemento chimico sia presente in tutti questi serbatoi, organici e inorganici.
Gli organismi autotrofi terrestri e marini producono le loro molecole organiche a partire dal diossido di carbonio tratto dall’aria o dall’acqua in cui vivono e sfruttando la radiazione solare. Gli autotrofi più importanti per il ciclo del carbonio sono gli alberi delle foreste sulla terraferma e il fitoplancton negli oceani. Attraverso la loro azione, il carbonio viene organicato, per mezzo del ciclo di Calvin, ed entra a far parte della biosfera, passando poi nella catena alimentare. Attraverso la respirazione, il carbonio lascia la biosfera e ritorna nell’atmosfera o nell’acqua.
Nel corso della lezione introduttiva sono stati accennati anche i principali effetti ambientali del cambiamento climatico in corso, dalla limitazione della capacità degli oceani di assorbire il carbonio dall’atmosfera su scala regionale alla riduzione della biodiversità, alla diminuzione dei ghiacci polari con progressivo aumento del livello dell’acqua lungo le coste.

Gli obiettivi del lavoro

Definito, anche se sinteticamente, il quadro generale, sono stati posti gli obiettivi per il lavoro da eseguire, attraverso una serie di domande A questo punto gli studenti, con l’aiuto dei ricercatori, hanno scelto un bosco significativo del territorio, ricco di esemplari di pino nero (Pinus nigra) e cerro (Quercus cerris), e hanno selezionato due aree di campionamento. Gli strumenti utilizzati per le analisi sul campo sono stati il succhiello di Pressler, praticamente un carotatore, un calibro dendrometrico e un ipsometro per misurare il diametro e l’altezza dei fusti.

Il lavoro sul campo...

Una volta nel bosco, gli studenti hanno scelto un’area di saggio circolare, con diametro di 26 metri, in una zona rivestita di pini e un’area analoga in una zona di cerri. Per ogni area sono stati scelti quattro alberi sui quali sono stati effettuati sia le misure dell’altezza con un distanziometro a ultrasuoni e del diametro all’altezza del petto di un uomo con un calibro, sia carotaggi del tronco con il succhiello di Pressler.

... e in classe

Lasciato il bosco, gli studenti hanno iniziato a lavorare sui dati raccolti con l’aiuto di un foglio di calcolo. Per ognuna delle due specie che sono state considerate si è fatto il fit dei dati con la curva ipsometrica, un modello matematico che lega l’altezza dell’albero al suo diametro a petto d’uomo. Attraverso le tavole di cubatura, conosciuti altezza e diametro si è potuto avere il volume dell’albero, comprendente fusto e rami grossi. Dal volume, conosciuto il valore di densità propria di ogni specie, si risale alla massa (m=dV) e da questa si arriva al quantitativo di carbonio stoccato che rappresenta il 50% della massa stessa (peso secco). Mettendo poi su un piano cartesiano la quantità di carbonio stoccata e il tempo in anni, si ottiene l’andamento nel tempo di questo valore.
Il carotaggio è servito a capire quanto ogni albero si era accresciuto anno dopo anno, con il conseguente cambiamento di volume e di contenuto di carbonio, attraverso l’analisi degli anelli di accrescimento.

Un compito autentico

Con questo lavoro si è cercato di rispondere alle domande che inizialmente erano state poste come obiettivi, avendo in mano dati reali, raccolti ed elaborati dagli studenti stessi. È stato possibile approcciare in modo quantitativo il processo di stoccaggio di CO2 partendo dal calcolo della massa secca degli alberi, dei quali erano stati misurati diametro, anelli di accrescimento e altezza.
In questo modo, gli studenti hanno potuto raggiungere una maggiore consapevolezza dell’argomento trattato, lavorando e studiando in modo significativo e conquistando così una comprensione profonda generatrice di competenze.
Questo lavoro ha rappresentato un compito autentico, reale, che si è sviluppato su obiettivi chiari che sono stati raggiunti. Gli studenti hanno osservato, analizzato, trovato relazioni, formulato ipotesi, svolto indagini, modellizzato e infine comunicato a una platea di compagni e di scienziati durante i lavori di OrvietoScienza. Forse è bello e opportuno concludere queste poche righe, che hanno raccontato una bella esperienza, con il pensiero con il quale gli stessi studenti hanno concluso la loro presentazione il 26 febbraio scorso: “Nella realtà di un pianeta i cui equilibri sembrano vacillare sempre più, a causa delle nostre attività, la salvaguardia delle foreste non è più solo biofilia, ma ha un aspetto funzionale alla sopravvivenza dell’umanità che non si può trascurare”. Ci piace pensare che queste parole siano il risultato di una comprensione profonda che questi sette studenti hanno conquistato andando una mattina nel bosco e ponendosi domande alle quali hanno cercato di dare risposta con il metodo della scienza.

 

Adele Riccetti è stata biologa in un laboratorio di scienze biomediche e ora insegna scienze naturali al Liceo Majorana di Orvieto. Da insegnante, ha coordinato reti di istituti in sperimentazioni nazionali relative all’innovazione didattica.

Giuseppe De Ninno insegna fisica e matematica al Liceo Majorana di Orvieto. È fisico e ha lavorato ai Laboratori Nazionali di Frascati e al CERN.