Studiare opere d’arte e reperti archeologici con la fisica nucleare
STEM E ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Chimica
Può forse sorprendere, ma la fisica nucleare, quella branca della fisica dedicata ai costituenti fondamentali della materia, può essere di grande aiuto quando si tratta di analizzare in dettaglio dipinti, manoscritti, manufatti e resti archeologici. Con tecniche e principi che permettono di effettuare datazioni, analisi di composizione e attività di restauro.
Fisica nucleare e beni culturali: il binomio può forse sorprendere, ma i due ambiti possono effettivamente essere molto vicini. La fisica nucleare è quella branca della fisica che studia le proprietà dei costituenti fondamentali della materia, cioè dei nuclei atomici e delle “particelle elementari”, con le loro ulteriori strutture interne, le loro interazioni e trasformazioni. Così come i suoi principi e le sue tecnologie sono cruciali in tanti settori della medicina, anche per studiare “pazienti” come opere d’arte o reperti archeologici, la fisica nucleare può rivelarsi molto importante: in effetti, strumenti come acceleratori di particelle e rivelatori di radiazione, inventati per fare misure di fisica nucleare fondamentale, sono stati messi anche al servizio dei beni culturali.
Orologio radioattivo per reperti archeologici o artistici
Pensiamo per esempio alla datazione scientifica di reperti archeologici o opere d’arte. Uno dei metodi più utilizzati, fondato proprio sulla fisica nucleare, è quello del 14C (radiocarbonio), isotopo radioattivo del carbonio. È infatti il ritmo del decadimento del 14C che serve da “orologio” per sapere quanto è vecchio un reperto che sia stato un tempo parte di un essere vivente, animale o vegetale (parliamo quindi di legni, semi, ossa, peli, stoffe ecc.). In particolare, il metodo permette di misurare quanto tempo è passato dalla morte dell’organismo a cui il reperto apparteneva. Da noi al LABEC, Laboratorio di tecniche nucleari per l’ambiente e i beni culturali dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Firenze, come in altri laboratori nel mondo dedicati a questo tipo di analisi, passano ogni anno decine e decine di reperti archeologici di cui stabilire l’età, reliquie religiose di cui scoprire la compatibilità o meno con la loro attribuzione, opere d’arte per svelare eventuali falsi.
Il metodo del radiocarbonio
Ma come funziona il metodo del radiocarbonio? Vediamo. Pur se in quantità relativa bassissima, il 14C – isotopo di carbonio di massa 14 – è presente nel diossido di carbonio dell’atmosfera: circa una ogni mille miliardi di molecole di CO2 ha come atomo di carbonio il 14C anziché 12C (il più frequente) o 13C. Essendo radioattivo, il 14C prima o poi “decade”, cioè diventa qualcos’altro. Ci si può chiedere allora: come mai in atmosfera non finisce mai? Il motivo ha ancora a che fare con la fisica nucleare: sono infatti i raggi cosmici, particelle che arrivano sulla Terra dallo spazio, a creare continuamente nuovi nuclei di 14C. I processi di formazione e decadimento si bilanciano in un “equilibrio dinamico” che ne mantiene una concentrazione costante in atmosfera. Praticamente la stessa concentrazione di 14C la troviamo anche in tutti gli esseri viventi, per effetto degli scambi metabolici di carbonio fra le loro molecole organiche e il CO2 atmosferico: scambio diretto (fotosintesi) per i vegetali, indiretto (tramite i cicli alimentari) per gli animali. Anche negli organismi viventi, come in atmosfera, avvengono continui decadimenti di 14C (in un uomo sono 3-4000 al secondo), ma i processi metabolici di riassunzione compensano i decadimenti e la concentrazione resta costante. Dopo la morte però, nei resti dell’organismo, il 14C che scompare per decadimento radioattivo non è più “rimpiazzato” tramite i metabolismi! E così, a partire dalla morte la concentrazione di 14C lentamente decresce, seguendo l’andamento esponenziale decrescente “dettato” dalla legge generale del decadimento radioattivo. Nel caso specifico del 14C, il ritmo della diminuzione è tale che dopo 5700 anni ne saranno sopravvissuti la metà, dopo altri 5700 anni un quarto, e così via. Dunque, se misuriamo oggi la concentrazione residua di 14C in un resto, siccome conosciamo la concentrazione “di partenza” (quella dell’equilibrio con l’atmosfera) e l’andamento della progressiva diminuzione, possiamo anche determinare il tempo trascorso dalla morte.