La vera vita del cacciatore di dinosauri

Ciro, cucciolo di Scipionyx samniticus conservato presso il Museo di Storia Naturale di Milano

ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Scienze della Terra, Biologia

Per fare il paleontologo non basta il lavoro sul campo. Servono anche lo studio dei reperti, il lavoro al computer, le competenze sulle nuove tecniche di indagine. È così che si può arrivare a tenere in mano il primo dinosauro italiano e finire sulla copertina di Nature, come accaduto a Cristiano Dal Sasso.

Paolo Magliocco

In che modo sia diventato “il papà del primo dinosauro italiano” (come lo hanno spesso chiamato affettuosamente i giornali) Cristiano Dal Sasso, paleontologo al Museo di Storia Naturale di Milano dopo una laurea in Scienze Naturali all’Università Statale, non sa spiegarlo nemmeno lui. Una serie di fortunati eventi, si potrebbe dire. Perché lui, in realtà, avrebbe voluto studiare gli anfibi: ciò che più lo affascinava era il processo della metamorfosi. Ma l’idea di fare una tesi in quel campo sfumò e lui si ritrovò ad avere a che fare con i fossili, prima mammiferi e poi rettili. E se guarda indietro a quando era ragazzo, la sua passione era per la natura in senso ampio, non per questo o quel campo di ricerca, nemmeno per la paleontologia o per i rettili del Giurassico. È per questo che scelse di iscriversi alla facoltà di Scienze naturali, anziché biologia o geologia, per mantenere uno sguardo aperto su tutto il mondo che ci circonda. Certo, i fossili hanno sempre rappresentato qualcosa di particolare nella sua vita, in qualche modo ci è cresciuto in mezzo, anche in senso fisico. Perché nella casa dei nonni sull’altopiano di Asiago, che frequentava d’estate, i fossili erano anche nei muri, nella pietra di cui la casa stessa era fatta.

Libri che “segnano”

«Ci sono stati due libri per me molto importanti, che mi furono regalati per un Natale. Il primo era di Guido Ruggeri, un giornalista, e trasmetteva tutto il fascino dell’avventura e della scoperta che sta dietro la ricerca paleontologica. L’altro era un libro di Giovanni Pinna, storico direttore di questo Museo, e aveva bellissimi disegni degli scheletri degli animali di cui parlava e che io cercavo di rifare con la plastilina e il filo di ferro.» In fondo, il racconto di Dal Sasso sulle sue prime esperienze di giovane paleontologo assomiglia molto a quello che è il suo lavoro ancora adesso, nel suo ufficio al primo piano del Museo di Storia Naturale di Milano, un luogo famoso per le sue esposizioni che da quasi duecento anni accompagnano i bambini e i ragazzi di Milano e di tutta Italia, ma in cui si fa anche tanto lavoro di studio e di ricerca. Si muove qui, tra i fossili che non perde mai di vista e che maneggia quotidianamente, e lo schermo del computer che, dice, è lo strumento che più utilizza, proprio come faceva da bambino, passando dal libro agli scheletri di plastilina.

Il paleontologo moderno trascorre la propria vita professionale tra studio e attività sul campo

Un museo importante

Dal Sasso ha trascorso qui tutta la sua vita professionale, anzi ci ha persino scritto la tesi di laurea. Ed è anche grazie a questo luogo che ha studiato Ciro, il cucciolo di dinosauro carnivoro vissuto nella Basilicata di 113 milioni anni fa, che nel 1998 lo ha portato sulla copertina di Nature, una delle riviste scientifiche più importanti. O che è entrato in contatto con i suoi più famosi colleghi di tutto il mondo, compresi quelli con cui sta conducendo il suo ultimo lavoro, lo studio dello spinosauro, il primo dinosauro adattato alla vita acquatica, che campeggiava sulla copertina del National Geographic di ottobre 2014 e che presto porterà a Milano per una grande mostra. Sulle potenzialità e i limiti della ricerca nei musei italiani ci sarebbe tanto da dire, ma Dal Sasso si concentra a raccontare come allo studio teorico e all’analisi dei reperti abbia sempre voluto aggiungere anche altro: la ricerca sul campo.

Cristiano Dal Sasso mentre analizza alcuni fossili

A caccia di fossili 

«Da ragazzo sull’altopiano di Asiago andavo anche io alla ricerca di fossili. Quando vivevo a Concorezzo (MB), invece, cercavo rane e girini e nel giardino della nostra villetta avevo ricreato uno stagno, con le sponde inclinate nel modo gusto, e ci studiavo i girini, affascinato dalla loro trasformazione. Quando sono arrivato qui per fare la tesi, mi hanno affidato una collezione di resti di mammiferi del Quaternario raccolti da un anziano signore di Stradella (in provincia di Pavia) che poi li aveva affidati al Museo. Ma io non mi sono accontentato di classificarli a tavolino, sono voluto andare a parlare con lui, a vedere i posti in cui li aveva trovati, per capire come fossero arrivati fino a lì, anche se così per finire la tesi ci ho impiegato due anni.»
Anni a volte anche un po’ noiosi, nel lavoro di classificazione, ma preziosi, in cui, dice, ha imparato un metodo di lavoro. Lo stesso che gli ha permesso di fare la sua prima, piccola scoperta, il giorno in cui Giovanni Pinna (proprio l’autore del suo libro di bambino, nel frattempo diventato il suo capo, come direttore del Museo) gli affidò i resti di un piccolo rettile perché lo “preparasse” per la conservazione aggiungendo, come se lo dicesse un po’ per caso, che di quel rettile non si conosceva la classificazione e, magari, poteva intanto provare lui a capirci qualcosa. In effetti, scoprì Dal Sasso, era proprio una specie sconosciuta.

Un lavoro minuzioso

Intanto, nel giacimento di Besano, vicino al lago di Lugano, dove da sempre scavano i paleontologi del museo milanese, comincia a emergere un grande ittiosauro, un rettile marino di quelli che precedettero la comparsa dei dinosauri. Del Sasso partecipa al lavoro di scavo degli undici metri quadrati del fossile che richiede un anno e mezzo per essere staccato dalla roccia e poi altri cinque anni e 16.500 ore di lavoro di preparazione per essere trasformato nel fossile che oggi si può ammirare anche in una ricostruzione tridimensionale. «Perché chi vede un fossile pensa che esca così dalla roccia, ma non è affatto vero, ovviamente, e il lavoro per renderlo visibile e pronto per essere studiato è enorme. Nel caso dell’ittiosauro abbiamo dovuto dividerlo in lastre di cinquanta centimetri di lato, che però poi si fratturavano e andavano preparate e ricomposte un pezzo alla volta.»

L’insolito arrivo di Ciro

La scoperta più importante, invece, arriva in un modo insolito. «Una sera mi telefona un collega del Museo, dicendo di essere a casa di una persona che ha voluto mostrargli un fossile singolare, un rettile, del quale lui non sa molto, perché studia altro, ma che a me potrebbe interessare.»
È così che Dal Sasso adotta Ciro, piccolo dinosauro carnivoro rimasto intrappolato nella roccia matese un giorno qualsiasi del Cretaceo, pochi giorni dopo essere nato. Un esemplare rarissimo e bellissimo, che mostra anche gli organi interni e i tessuti molli e che Dal Sasso continua davvero a curare e accudire anno dopo anno, come se lo crescesse. Una scoperta è un processo, non un momento preciso, almeno in questo caso. «In sé, la scoperta può essere un attimo, anche nel nostro campo: quello in cui trovi un fossile. Ma il paleontologo alla Indiana Jones, che passa tutta la sua vita sul campo, non esiste, o è molto difficile che esista, ci vuole tanto studio, bisogna leggere tanta letteratura, scrivere, pubblicare.»

Una tac per il fossile

Non solo. Il paleontologo, anche chiuso nel suo studio, oggi è sempre meno uno studioso solitario. Rigirarsi il fossile tra le mani, farne un calco, confrontarsi con i geologi per capire la storia del luogo in cui un animale è vissuto non è più l’unica possibilità. Anziché affidarsi alla plastilina e alla propria manualità, o a calchi che, per quanto ben fatti, mai possono restituire tutti i dettagli di un reperto e tutte le sue forme, un paleontologo può ricorrere a una Tac. Con la tomografia computerizzata una mummia o un osso di mammuth possono essere ingranditi, miniaturizzati, guardati da ogni angolazione, sezionati senza doverli toccare.
E se la tomografia anziché essere realizzata con gli strumenti ordinari in uso negli ospedali sfrutta la luce di sincrotrone, quella emessa dagli elettroni quando corrono in un acceleratore di particelle, allora diventa in grado di rivelare dettagli minimi e svelare cose che sarebbe stato impossibile vedere a occhio nudo o verificare: il punto esatto dell’inserzione di un tendine, per esempio. Il risultato della tomografia, inviato a una stampante 3D, può riprodurre anche nella resina sintetica qualunque particolare in poco tempo: una copia esatta del reperto può essere creata con poca spesa e da chiunque. Scienziati di continenti diversi possono così scambiarsi i pezzi su cui lavorare insieme, attraverso lo schermo o prendendoli in mano, senza averli mai toccati davvero.

Far parlare i resti antichi

I metodi basati sulla fluorescenza indotta da luce ultravioletta, invece, sono in grado di dire con precisione la composizione chimica delle diverse parti di un fossile, fino a svelare la posizione di un muscolo, la forma dell’intestino. È anche grazie a questi tipi di analisi che la paleoistologia riesce a estrarre informazioni preziose, persino la dieta di un animale fossilizzato, la sua età, il sesso, sulla base degli elementi chimici contenuti nelle sue ossa. «Sono analisi sempre più sofisticate e utilissime per far dire di più ai resti di cui disponiamo. Perché alla fine, anche se io non credo nella possibilità di clonare un giorno qualche animale estinto partendo dai pochi frammenti di Dna dei quali disponiamo, il nostro lavoro può essere descritto così: rendere i fossili sempre meno animali pietrificati e sempre più animali vivi.»

Chi era Ciro?

Ciro era un cucciolo di dinosauro e aveva solo pochi giorni quando venne inghiottito dal mare, 110 milioni di anni fa. Il suo corpo andò a cadere su un fondale dove fu intrappolato da fanghi calcarei che ne favorirono l’immediata fossilizzazione. È così che i suoi resti sono arrivati fino a noi in condizioni straordinarie, che hanno permesso lo studio non solo dello scheletro, ma anche (grazie a tecniche di indagine come fotografia in luce ultravioletta, TAC e microscopia elettronica a scansione) dei tessuti molli e persino del contenuto del suo apparato digerente. Un caso unico. Appartiene a una specie di cui non si conoscono altri esemplari, battezzata Scipionyx samniticus. Era un carnivoro e nel suo intestino sono stati individuati resti di lucertole e pesci. Fu ritrovato nel 1980 nelle campagne di Pietraroja, in provincia di Benevento e da anni è studiato da Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco, che continuano a estrarre nuove informazioni da questo prezioso reperto.

La vela sul dorso dello spinosauro è il tratto distintivo di questo grande dinosauro semiacquatico

Il dinosauro che nuotava

Lo spinosauro è un dinosauro davvero particolare, e non solo per la grande “vela” che aveva sul dorso e della quale ancora non si conosce bene la funzione (l’ipotesi è che fosse un segno di riconoscimento all’interno della specie). Per quanto ne sappiamo oggi, lo spinosauro è l’unico dinosauro che conduceva una vita semiacquatica. Nessun dinosauro ha mai vissuto nel mare o nelle acque interne. Lo spinosauro, però, con ogni probabilità cacciava in acqua. Un’acqua fangosa e popolata da pesci enormi, dove sfruttava un sistema di localizzazione delle prede simile a quello dei coccodrilli e dove si muoveva con zampe che forse erano palmate. Questa ipotesi, formulata da un gruppo internazionale di paleontologi di cui fanno parte anche gli italiani Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco, è stata pubblicata nel 2014 dalla rivista scientifica Science e dal National Geographic, che ha finanziato in parte il lavoro. Lo spinosauro era un grande dinosauro carnivoro, come il tirannosauro, ma aveva un corpo estremamente pesante e sbilanciato in avanti che gli rendeva difficile muoversi sulla terraferma. Molte sue caratteristiche, come le ossa leggere, il profilo dei denti adatti a prede scivolose, la posizione delle zampe, fanno invece supporre un buon adattamento alla vita nell’acqua.

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Paolo Magliocco è un giornalista, appassionato di scienza e divulgazione. Dirige il sito Videoscienza. Ha scritto un libro sulla scoperta del bosone di Higgs (La grande caccia, Pearson). Collabora con diversi giornali.