Le passioni letterarie di Bárberi Squarotti

Bàrberi Squarotti

APPROFONDIMENTI DISCIPLINARI

Il 9 aprile scorso è scomparso Giorgio Bárberi Squarotti, una figura di primo piano nel panorama della critica letteraria. Allievo di Giovanni Getto, è stato a lungo docente di Letteratura italiana a Torino. Ripercorriamo brevemente la sua carriera e i suoi principali interessi letterari.

Francesco Spera

Giorgio Bárberi Squarotti ci ha lasciato il 9 aprile di quest'anno dopo un'operosa vita dedicata agli studi letterari. Nato a Torino nel 1929, si era laureato con Giovanni Getto e aveva prima lavorato nell'editoria. Dal 1967 aveva iniziato a insegnare all'Università di Torino prima come professore di Letteratura italiana contemporanea e poi di Letteratura italiana. Dotato di una prodigiosa capacità di studio e lavoro, Bárberi ha diretto il Grande dizionario della lingua italiana della Utet, la collana dei Classici italiani e la Storia della civiltà letteraria italiana sempre della Utet. È stato membro di numerose accademie e fondazioni, di comitati scientifici di collane e riviste, spesso con il ruolo di direttore. Ha promosso molteplici iniziative culturali, convegni, premi letterari. È stato anche un vivace critico militante che interveniva su riviste e giornali con recensioni e articoli talora polemici intorno alle più dibattute questioni culturali. È stato infine e soprattutto anche poeta fin dalla giovinezza, autore di molte sillogi, che regalava agli amici, con un atteggiamento un po' schivo. Eppure questa attività apparentemente laterale rivestiva per lui un valore essenziale ed era per la cerchia dei lettori una rivelatrice testimonianza della sua ricca umanità.

Le prime pubblicazioni: l'interesse per la poesia contemporanea

Bárberi aveva cominciato a farsi conoscere come critico letterario fin dagli anni cinquanta, con articoli e recensioni sui poeti del Novecento, dimostrando una spiccata predilezione per il genere poetico. Ma non erano rari gli interventi sulla letteratura dei nostri secoli classici, come il saggio sulle poetiche del Trecento che risale al 1959. Tuttavia è indubbio che nello sterminato elenco delle sue pubblicazioni (soltanto i volumi sono più di cinquanta) prevalgano all'inizio articoli e raccolte soprattutto sulla poesia novecentesca, a cominciare da Astrazione e realtà (1960) e Metodo, stile, storia (1962). In questi libri emerge l'interesse verso la poesia contemporanea e insieme verso le poetiche e i metodi della critica. Bárberi ha infatti sempre seguito con curiosità il dibattito culturale, il nascere e la diffusione di nuovi metodi, ma senza farsi coinvolgere, senza aderire a determinate scuole (si veda il significativo titolo, Il codice di Babele, attribuito nel 1972 a una raccolta di scritti tutti teorici).

L'approccio metodologico

Il suo approccio alla letteratura attesta una straordinaria conoscenza delle opere letterarie, dalle più antiche alle più recenti, ma anche una notevole riflessione sull'operazione critica. Tali competenze si concretano mirabilmente nel biennio 1965-66, quando lo studioso pubblica tre volumi fondamentali: Teoria e prove dello stile del Manzoni; Simboli e strutture della poesia del Pascoli, La forma tragica del «Principe» e altri studi sul Machiavelli. Intorno a tre autori fra i più grandi della nostra storia letteraria Bárberi propone letture fortemente innovative, che partono prima con una serie di sondaggi sull'opera presa in esame, si potrebbe dire alla francese un'attenta explication de texte, dove passi esemplari vengono capillarmente esaminati nella ricerca delle caratteristiche peculiari dell'operazione letteraria dello scrittore: esempi memorabili sono l'analisi della rovina della vigna di Renzo descritta nel capitolo XXXIII dei Promessi sposi, l'individuazione di una primaria componente tragica nel Principe, la ripresa anche di strumenti psicoanalitici, ma in maniera del tutto autonoma, per identificare la complessa rete delle immagini chiave su cui si regge la poesia pascoliana. Soltanto dopo questa approfondita successione di esempi è possibile per il saggista passare all'interpretazione dell'opera, allargando lo sguardo all'intreccio dei vari livelli stilistici e tematici, al confronto con altre opere dello stesso autore, ai riferimenti ad altri scrittori per mostrare come situazioni drammatiche, personaggi, temi, stili, si evolvano nel grande corso della nostra letteratura. Nella Premessa alla raccolta Favole antiche. Modelli, imitazione, riscrittura (2000) si dice chiaramente: «È ormai scontato il principio che la genesi del testo letterario dipenda dal confronto più o meno conflittuale con il sistema in cui si colloca e che la sua interpretazione non possa trascurare la ricognizione degli archetipi più o meno espliciti che esso ingloba o a cui fa riferimento».
Per questo lo studioso ha spesso proposto analisi anche di minori e si è spinto a scegliere autori di tutti i tempi, ma certo si può rilevare una netta propensione a privilegiare i grandi del canone letterario.

Gli autori prediletti...

Se i numeri hanno un senso, bisogna allora ammettere che Dante sia stato l'autore più amato da Bárberi: senza contare i numerosi interventi su riviste, si possono annoverare quattro ricchi volumi, dal primo, L'artificio dell'eternità (1972), all'ultimo, Tutto l'Inferno. Lettura integrale della prima cantica del poema dantesco (2011). Si può affermare che, rileggendo queste pagine, è possibile ricostruire per frammenti un commento dell'intera Commedia.
Un altro autore molto studiato è Manzoni, per cui si contano tre monografie: oltre la prima già citata, si devono ricordare Il romanzo contro la storia (1980) e Manzoni: le delusioni della letteratura (1988): l'autore viene esaltato come il più grande moralista della nostra letteratura, capace di indagare con estrema acutezza il tema del tragico cristiano, dell'oppressione dell'uomo sull'uomo.
Molta attenzione Bárberi dedicò anche a Gabriele d'Annunzio, tanto da sceglierlo come oggetto del suo primo corso universitario. Non erano tempi favorevoli per lo scrittore abruzzese, per lo più menzionato per le sue note raccolte poetiche (vedi l'Alcyone) o per qualche romanzo (vedi Il piacere), ma spesso guardato con sospetto per le sue scelte ideologiche. Con indubbia audacia Bárberi non solo optò per questo scrittore, ma propose anche l'analisi di un testo non certo tra i più conosciuti, cioè il Canto novo, la sua prima raccolta di poesie (1882), riedita poi con sostanziali varianti (1896). Fin dal primo corso universitario si evidenziava il metodo barberiano che mirava alla centralità del testo letterario e al confronto fra i testi. Nel 1971 uscì il primo libro su d'Annunzio, Il gesto improbabile, che conteneva appunto due saggi sul Canto novo e un terzo sul teatro (il dramma Più che l'amore), anche questa una scelta originale visto che il teatro dannunziano era allora considerato di minore rilevanza e trascurato dalla critica. Si snodano poi nel corso degli anni moltissimi scritti dove tutte le varie opere di d'Annunzio sono passate in rassegna, dai romanzi alla poesia, al teatro, alle prose di memoria. Si deve almeno citare l'ampio saggio sulla Laus vitae, che rimane tra i più significativi del critico, in grado di porre efficacemente in luce la singolare modernità di d'Annunzio.
Questa figura rimane centrale nella critica barberiana perché ritorna in molte raccolte (spesso con titoli suggestivi: Gli inferi e il labirinto, 1974; I miti e il sacro, 2003), dove spiccano numerosi confronti con altri poeti e narratori del Novecento, secondo una tipica modalità interpretativa già sopra segnalata: si passa da riferimenti e analisi di poeti come Gozzano a narratori come Pavese. Ma tutto il Novecento italiano è presente nelle pubblicazioni di Bárberi, sempre con una preferenza per i poeti (per esempio Sbarbaro e Montale soprattutto), ma anche con interventi su narratori come Svevo, Gadda, Pavese, Fenoglio. Un posto a parte occupa Pirandello, studiato come narratore e soprattutto come drammaturgo, in particolare nel volume Le sorti del tragico (1978), dove alle riflessioni teoriche sul genere teatrale si accompagnano le analisi delle più importanti opere del siciliano. Ma ancora sul teatro è imperniato Le maschere dell'eroe. Dall'Alfieri a Pasolini (1990). In questo saggio si incontrano anche due canti di Leopardi, cioè i monologhi di Bruto e Saffo, scelti appunto per il taglio teatrale delle due poesie.

... e quelli meno amati

In effetti in questa abbondante saggistica non è frequente trovare scritti su Leopardi. Lo stesso Bárberi ha ammesso che alcuni scrittori non riuscivano a sollecitare un suo forte interesse. Così nella sua ricchissima produzione emerge che alcuni grandi fanno poche comparse, e non solo Leopardi, ma anche Petrarca e Ungaretti, tanto per fare due nomi. Con onestà il critico ammette questa sua scarsa "compatibilità", che non esclude tuttavia la presenza di contributi sparsi. Certo per il Trecento abbiamo un eccellente libro su Boccaccio (Il potere della parola. Studi sul «Decameron», 1983), ma nessuno su Petrarca.

Testi in dialogo

Per il Cinquecento nessun scrittore è tanto presente nella bibliografia come Machiavelli, anche se Ariosto, Castiglione, Aretino e soprattutto Tasso ritornano in singoli articoli o capitoli di raccolte. Certo come allievo di Getto, fine interprete di Tasso e riscopritore del Barocco, anche Bárberi scrive parecchio su Tasso, Marino e poeti marinisti. E così possiamo ancora aggiungere per i secoli successivi monografie sul Parini del Giorno (1999) e soprattutto un Verga (1982) incentrato sui Malavoglia e su alcune novelle, con confronti con Leopardi e d'Annunzio, a conferma di questa ininterrotta vocazione al discorso letterario e alle reciproche interferenze tra le opere degli scrittori. Soprattutto con quelli privilegiati su cui si può tornare e ritornare, perché la letteratura dona significati inesauribili, come appunto diventa inesauribile il desiderio di leggere, scrivere, interpretare, comunicare, permettendo di inaugurare un nuovo dialogo con studenti e amici lettori. In un libro del 1989, Le colline, i maestri, gli dei, Bárberi aveva parlato del paesaggio dell'anima, cioè delle langhe, dove era nato e dove passava l'estate come luogo prediletto e fondamentale nella sua esistenza di scrittore: «È, appunto, il paesaggio dell'anima, quello che mi porto dentro: ed è anche l'atmosfera di vita e di gente che avverto intorno ai miei studi critici, anche se i luoghi in cui, in questo caso, mi muovo sono la foresta divina di Dante oppure il lago e la Lombardia del Manzoni o l'Abruzzo di d'Annunzio o tanti altri spazi ancora che la letteratura esplora per i suoi sogni».

 

Francesco Spera: è stato allievo di Bárberi Squarotti e suo assistente per 15 anni, fino al 1986. Ha insegnato Letteratura italiana all'Università Statale di Milano per più di vent'anni.