Esempio di svolgimento
Paura prima e Paura seconda sono due componimenti pubblicati nell’ultima raccolta poetica di Vittorio Sereni, nel 1981, intitolata Stella variabile.
I due testi, che sono strettamente intrecciati tra loro, descrivono due momenti successivi di una medesima situazione esistenziale complessa: nel primo componimento il soggetto è presentato in conflitto con sé stesso; nel secondo, invece, la tensione si scioglie e la situazione esistenziale si sblocca, avviandosi verso un esito quantomeno apparentemente positivo.
In Paura prima il poeta parla di un killer che da anni lo insegue notte e giorno (v. 3): l’insistenza persecutoria con cui questo killer insegue l’io poetico è a tal punto insostenibile che egli arriva addirittura a chiedergli di farla finita (v. 7), di sparargli e ucciderlo. In realtà, ai versi 8-11 del primo componimento il poeta si accorge che il killer al quale sta parlando non è altri che sé stesso.
In Paura seconda l’io poetico sente invece una voce che lo chiama dalla strada sotto casa (v. 4), una voce che, interpellandolo, non lo rimprovera per i suoi errori (vv. 8-9), ma anzi lo invita con dolcezza a calmarsi, disarmando così l’io aggressivo (v. 11) e ridando forza all’io prima schiacciato sotto l’onda prevaricante di sé stesso.
Nei due testi pertanto si descrive un rapporto conflittuale tra due individui che in realtà rappresentano due dimensioni del soggetto stesso, diviso tra una parte di sé prevaricante e violenta e una parte di sé aggredita e indifesa: un io vittima e un io killer, che abitano lo stesso individuo, facendolo soffrire. In Paura prima la conflittualità è fortissima e apparentemente inconciliabile, mentre in Paura seconda tale conflittualità si stempera e sembra che l’io poetico raggiunga un’agognata pacificazione interna.
Le due liriche sono tutte incentrate sull’io poetico, come dimostrano le frequentissime ripetizioni di pronomi personali o aggettivi possessivi di prima persona singolare. Si vedano, in sequenza, mia volta (v. 2), Sparami sparami (v. 4), offrendomi (v. 5), fammi fuori (v. 7), mi avvedo (v. 8), a me solo (v. 9) e infine, in posizione forte perché proprio a conclusione di Paura prima, di me (v. 11). Per quanto riguarda invece Paura seconda, troviamo chiama me / proprio me (vv. 2-3), mio nome (v. 8), i miei torti, non mi rinfaccia (v. 9), mi disarma (v. 11) e infine, con poliptoto nello stesso verso conclusivo, contro me stesso me. Guardando però con maggiore attenzione, si può notare che tali aggettivi o pronomi permeano ancor più profondamente i due testi, creando una fitta rete di richiami e corrispondenze. Basti pensare, per quanto riguarda Paura prima, a offrendomi alla mira (v. 5), mentre, per quanto riguarda Paura seconda, si vedano pioggia […] mio (vv. 7-8), nome [...] enumera (v. 8), Vittorio / Vittorio (vv. 10-11).
La scissione interiore dell’io poetico e la doppia personalità che lo contraddistingue pervadono la struttura essenziale dei due testi, agendo su tutti i suoi livelli strutturali. Si parla di un individuo diviso e pertanto anzitutto la stessa situazione viene descritta attraverso due componimenti distinti, sebbene correlati, che si riflettono fin dal titolo (Paura prima e Paura seconda), creando un evidente parallelismo aggettivo-sostantivo. La specularità dei due testi emerge anche dal confronto tra i versi conclusivi, chiaramente posti in corrispondenza: non ce la faccio a far giustizia di me e arma / contro me stesso me.
Le figure retoriche che ricorrono con maggiore frequenza nei due componimenti sono però quelle di ripetizione, che riflettono la contrapposizione interna all’io poetante. Si vedano, in Paura prima, ogni angolo o vicolo ogni momento è buono (v. 1), facciamola finita fammi fuori (v. 7), oppure ancora Sparami sparami (v. 4, senza alcun segno d’interpunzione tra i due termini) e non serve, non serve (v. 10). In Paura seconda abbiamo invece, ai versi 2-3, la voce che chiama me / proprio me e, al penultimo verso, mi disarma, arma. Vero punto focale della vicenda descritta in questi due testi è però l’anadiplosi del nome proprio dell’autore, ai versi 10-11 di Paura seconda, ossia Vittorio, / Vittorio, come se la voce avvertita dalla strada sotto casa, paragonata a un breve risveglio di vento e a una pioggia fuggiasca, stesse chiamando entrambe le personalità che si contrappongono all’interno del soggetto poetico, per invitarle a una rappacificazione e a una conciliazione.
Per la descrizione di tale dissidio interiore è probabile che Vittorio Sereni abbia impiegato elementi desunti da uno dei testi più celebri della letteratura italiana, ossia il canto XIII dell’Inferno. La vicenda di Pier delle Vigne è chiaramente allusa dal poeta novecentesco, come dimostrano alcune spie lessicali rivelatrici. I versi conclusivi dei due componimenti (non ce la faccio a far giustizia di me e arma / contro me stesso me) sono una ripresa di uno dei versi più proverbialmente noti del suicida dantesco: ingiusto fece me contra me giusto (Inf. XIII 72). Probabilmente Sereni è rimasto colpito dalla concentrazione semantica di tale espressione e dall’efficace resa retorica del conflitto interiore. Ma si noti anche quanto i versi danteschi a descrizione del faticoso atto locutivo di Pier delle Vigne (Si convertì quel vento in cotal voce: / “Brievemente sarà risposto a voi”, Inf. XIII 92-93) abbiano suggestionato il poeta di Stella variabile, quando parla della voce che lo chiama dalla strada sotto casa, paragonata appunto a un breve risveglio di vento. D’altronde, come abbiamo visto, Sereni allude esplicitamente a un impulso suicida nel primo componimento, impulso che pare essere determinato da un senso di colpa irrisolto, legato a torti compiuti nel passato: la stessa conflittualità irrisolta che Dante aveva descritto viva nell’animo del notaio di Federico II.
Non è certo un caso poi che in entrambi i testi compaia il tema del suicidio, un tema centrale nella letteratura italiana tra Otto e Novecento, che segna costantemente, dunque, l’età contemporanea. Basti pensare ai due romanzi epistolari del Werther di Goethe e dell’Ortis di Foscolo, nei quali il soggetto perviene al gesto estremo del togliersi la vita, a causa certo di un rapporto amoroso impossibile ma anche per l’incapacità dei due protagonisti di adeguarsi pienamente alla società borghese, tesa al raggiungimento di valori ritenuti inautentici.
Da Foscolo, e da Goethe, questo tema viene ripreso anche nell’opera letteraria di Giacomo Leopardi. Il tema del suicidio come possibile via d’uscita dalla condizione di infelicità dell’uomo è presente, per esempio, nel Bruto minore, una delle più celebri canzoni leopardiane, nel quale la figura dell’antichità classica viene ripresa per esprimere i turbamenti e le angosce dell’uomo contemporaneo. Nelle Operette morali, invece, e in particolare nel Dialogo di Plotino e di Porfirio, il suicidio viene rifiutato soltanto perché, pur riconosciuta l’insensatezza della vita umana, possiamo, come uomini, aiutarci a vicenda e a vicenda sostenerci per sopportare nel miglior modo la fatica della vita.
Il tema è presente poi, per fare solo qualche esempio, anche nel romanzo più celebre di Pirandello, Il fu Mattia Pascal: all’inizio si crede che il protagonista si sia suicidato, mentre, nel capitolo XVI, Adriano Meis, il nome che Mattia Pascal aveva assunto per rifarsi una vita, finge di essersi suicidato, gettandosi nel Tevere.
Si pensi poi al primo romanzo di Italo Svevo, Una vita, che si conclude proprio con il suicidio del protagonista, l’antieroe, l’inetto Alfonso Nitti. Un gesto assai significativo, soprattutto se raffrontato alla riflessione filosofica di Arthur Schopenhauer, sicuro riferimento per lo Svevo autore di questo romanzo. Il filosofo tedesco, infatti, nel Mondo come volontà e rappresentazione (1818), aveva condannato il suicidio quale gesto estremo e insensato.
Come dimostrano questi esempi, quello del suicidio è un tema ricorrente nella tradizione letteraria italiana tra Otto e Novecento: esso rappresenta il gesto estremo di una conflittualità propria interna all’uomo contemporaneo, costitutivamente segnato dall’inquietudine, in perenne ricerca di una pace sempre agognata, ma solo raramente conseguita.