Il nuovo esame di italiano: solo un “addio al tema”?
Lo scorso 16 gennaio, al MIUR, in presenza della ministra Fedeli e del professor Luca Serianni, è stato presentato il Documento di orientamento per la redazione della prova d’italiano nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo. Stando alle indicazioni presentate in tale documento, gli studenti che concluderanno quest’anno il primo ciclo d’istruzione per la prova scritta di italiano avranno la possibilità di scegliere tra quattro diverse tipologie di testo: il testo narrativo o descrittivo, che rimane l’opzione più vicina al tema tradizionale; l’argomentazione, nella quale i ragazzi dovranno sostenere una tesi con argomenti convincenti e mettendo in atto una scrittura efficace; la comprensione di un testo di carattere letterario o scientifico, che potrà essere evidenziata anche attraverso forme di riscrittura, come per esempio il riassunto; infine, l’ultima opzione possibile consisterà in una prova mista, che potrà combinare in vario modo elementi delle tre prove precedenti. Non va dimenticato quanto viene sottolineato nella Premessa al documento: “la Commissione d’esame può liberamente scegliere quali tipologie di prove proporre nell’ambito di quelle previste dalla normativa e può definire le tracce tenendo conto delle Indicazioni nazionali e anche delle situazioni specifiche dei singoli istituti scolastici”. Insomma, la nuova prova scritta di italiano offre agli insegnanti una possibilità di movimento e di scelta ben più ampia rispetto al D.M. del 26 agosto 1981, che di fatto costituiva a tutt’oggi la falsariga a cui adeguarsi per la redazione delle tracce.
A un primo sguardo, parrebbe che l’intenzione principale sia stata quella di avvicinare la prova scritta di terza media a quella dell’esame di maturità, contribuendo così a togliere centralità e importanza a una prova “classica” nel percorso formativo tipico dello studente italiano: il tema. Anche la percezione immediata del documento da parte della stampa e dei mezzi di comunicazione generalisti si è alquanto appiattita su questo aspetto: “Addio al vecchio tema” è il leitmotiv che potrebbe riassumere gran parte dei titoli giornalistici con cui è stato accolto il documento nei giorni immediatamente successivi alla sua divulgazione.
In questi anni di accese dispute sulla scuola, sulla didattica, sul valore degli studi umanistici, l’abbandono del tema è stato spesso letto come il segno chiaro, inequivocabile e allo stesso tempo sconfortante di un abbassamento di livello a cui la scuola si sarebbe mestamente rassegnata: di fronte all’innegabile evidenza che i ragazzi non sanno più scrivere, la scuola si sarebbe adattata a farli scrivere sempre meno e sempre peggio, proponendo loro prove semplificate, strutturate ad hoc per guidarli in un ragionamento che non sanno più condurre da soli (i questionari di comprensione). Ma porre la questione in termini di “tema sì - tema no”, oltre a essere molto riduttivo, è un atteggiamento concettualmente scorretto, comprensibile sul piano della semplificazione giornalistica (e, anche qui, solo fino a un certo punto), ma inaccettabile per chi si occupi di scuola e di didattica in modo approfondito, e in veste professionale.
Non è della difesa o della messa al bando del tema che si deve preoccupare chi si impegna a progettare un nuovo modello di prova scritta di italiano, bensì del significato profondo e autentico che tale prova deve assumere come momento conclusivo di un percorso di formazione. In questo senso, il lavoro di riassetto della prova scritta tradizionale non potrà fare a meno di confrontarsi con le prospettive aperte dalla didattica per competenze, già viva e operante, sia pure tra tanti dubbi e difficoltà, nella maggioranza delle scuole italiane. Anche quando non venga ancora applicata capillarmente alla pratica di insegnamento quotidiana, la didattica per competenze è comunque presente come sollecitazione: una costante opportunità di incontro e dialogo tra docenti, che definisce la direzione verso la quale si sta muovendo la nostra scuola, in un processo di rinnovamento e ridefinizione dei propri ruoli che, ovviamente, non può lasciare intatto e inalterato il sistema di valutazione e certificazione finale dei percorsi educativi.
È un cammino che è stato intrapreso da tempo: le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione risalgono ormai al 2012 (DM 16/11/2012), e vi si legge che, in un contesto sempre più complesso, dove “l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono”, e dove “per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici”, più che mai la scuola dovrà sforzarsi di assolvere in modo efficace il suo “compito di promuovere la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che rischiano di caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti.” La nuova scuola vuole insomma proporsi come un vivo collettore di esperienze varie e diverse, in grado di dare forma, scopo e direzione al patrimonio di vissuto che ciascuno studente porta con sé.
La scrittura nella didattica per competenze
Che ruolo riveste la scrittura in tutto questo? A che cosa pensiamo quando applichiamo la didattica per competenze all’insegnamento della scrittura? E, per calarci nell’argomento che stiamo affrontando, che cosa occorre valutare per tratteggiare un quadro preciso e il più possibile completo delle competenze di scrittura raggiunte dai nostri studenti?
Riferendosi a un contesto didattico più ampio e generico, le Linee guida per la certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione (nota prot. n. 2000 del 23 febbraio 2017) affermano che “la competenza costituisce il livello di uso consapevole e appropriato di tutti gli oggetti di apprendimento, ai quali si applica con effetti elaborativi, metacognitivi e motivazionali”. Parlando di scrittura, è dunque “scrittore competente” il ragazzo che, avendo acquisito un’adeguata padronanza degli strumenti linguistici a sua disposizione, li utilizza con consapevolezza per redigere testi animati da motivazioni reali e profonde, che siano anche funzionali all’analisi e all’arricchimento di sé e del proprio percorso formativo e cognitivo. Ciò significa che in ambito scolastico, quando la didattica si trova a dover affrontare anche i più prosaici problemi di grammatica spicciola, a partire dall’ortografia, non andrebbe mai dimenticata la natura profondamente attiva e creativa della scrittura, che non è soltanto uno strumento asettico per esprimere delle idee, ma un elemento costitutivo del loro farsi.
Certo, un’impostazione di questo tipo induce gli insegnanti a prefigurarsi obiettivi assai ambiziosi, che a molti potrebbero sembrare addirittura fuori portata: eppure, nella direzione indicata dalla didattica per competenze troviamo la possibilità di riempire di significato l’apprendimento dei ragazzi, dando un valore di esperienza autentica a quanto viene solitamente considerato un puro esercizio, sganciato dal vivere. Ciò è particolarmente vero proprio per la scrittura, che nelle aule scolastiche spesso rischia di perdere il suo altissimo potenziale comunicativo ed espressivo.
Una scrittura autentica e “situata”
Ritornando alle Linee guida per la certificazione delle competenze, anche per la didattica della scrittura è più che mai valido quanto si scrive, che “ai fini dello sviluppo delle competenze, la modalità più efficace è quella che vede l’apprendimento situato e distribuito, collocato cioè in un contesto il più possibile reale e ripartito tra più elementi e fattori di comunicazione (materiali cartacei, virtuali, compagni, insegnante, contesti esterni e interni alla scuola, ecc.)”. La prospettiva di un apprendimento che sia “situato e distribuito” ci invita a costruire una pratica didattica aperta al patrimonio esistenziale dei nostri studenti, nella consapevolezza che “le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate” (dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione). “Situare” un processo di apprendimento significa porlo a stretto contatto con la realtà di vita del soggetto discente, “distribuirne” gli elementi fondanti perché non si presentino più come un monolite astratto, ma come una struttura organica in grado di creare legami e interagire con i saperi, le esperienze, i valori di cui ciascun ragazzo è portatore.
Si comprende allora il senso di strutturare la prova scritta di italiano in un’articolazione più ampia che, senza voler eliminare la prova classica del tema, tuttavia sceglie di non eleggerla come unico strumento di valutazione delle effettive competenze di scrittura dei ragazzi alla fine del primo ciclo di istruzione; soprattutto perché tali competenze si applicano a un utilizzo della lingua scritta come strumento comunicativo autentico e “situato”, ossia in stretto e diretto contatto con situazioni reali.
L’obiettivo della nuova prova è “situare” la scrittura in contesti reali per renderla più motivante
Nel Documento di orientamento ogni tipologia testuale viene presentata con una breve premessa dalla quale emerge abbastanza chiaramente lo spirito che ha guidato il gruppo di lavoro: l’idea di fondo è avvicinare la scrittura al mondo degli studenti, proponendo loro tracce che si configurano come piccoli “laboratori in atto”, in cui la scrittura si integra nelle pratiche didattiche, eventualmente anche coinvolgendo altre discipline, in quell’ottica di trasversalità dei saperi già presente nelle Indicazioni nazionali per il curricolo.
Il testo narrativo e descrittivo
Presentando il testo narrativo e descrittivo, si precisa per esempio che le tracce d’esame “devono contenere indicazioni precise relative alla situazione (contesto), all’argomento (tematica), allo scopo (l’effetto che si intende suscitare), al destinatario (il lettore a cui ci si rivolge)”: in altre parole, a un apprendimento “situato” dovrà corrispondere una prova che non si fondi su generiche tracce, ma su una riflessione che parte da una situazione il più possibile reale e circostanziata.
Vediamo il terzo esempio offerto per questa tipologia testuale:
Un ricordo che non si cancellerà mai dalla mia memoria. Sviluppa questo spunto in un racconto legato a un episodio della vita scolastica che ti fa piacere ricordare.
Questa la sollecitazione di partenza, nella quale riconosciamo la tonalità tipica di tante tracce spesso proposte ai ragazzi. Ma il titolo acquista una valenza e una potenzialità operativa del tutto diverse se lo accompagniamo con un’indicazione di questo tipo:
Il tuo racconto sarà letto durante una festa di fine d’anno e ha come scopo quello di condividere un’esperienza significativa e conservarne il ricordo.
A un traccia generica vengono forniti un fine e un contesto ben precisi: la scrittura viene così, per l’appunto, “situata” in un tessuto di realtà che la rende più autentica, e anche più motivante.
Molto utile e interessante è pure la proposta di inserire uno spunto di partenza, che potrà essere tanto un elemento tratto dal contesto esistenziale dei ragazzi, quanto un brano di carattere letterario: gli esaminandi potranno così contare su una sorta di “oggetto mediatore”, che li aiuterà a orientare la propria scrittura, a trovare una tonalità adeguata.
Come primo esempio per il testo descrittivo-narrativo il Documento propone un brano di Marco Lodoli, in cui viene descritto un momento di traffico caotico e congestionato, in un’ipotetica ambientazione urbana. La traccia propone poi di sviluppare un racconto che si svolga in questa situazione specifica, con l’indicazione supplementare di immaginare un testo destinato a una lettura pubblica, nell’ambito di un progetto scolastico sui problemi della città. Un lettore attento ed esperto saprà cogliere nel brano di Lodoli tutti i suggerimenti più opportuni per rendere in maniera efficace le sensazioni e i pensieri di personaggi coinvolti in una situazione di “traffico estremo”: dal lessico, alle strutture morfo-sintattiche, alla retorica. Una prova di questo tipo mette in stretta relazione l’atto del leggere con l’atto dello scrivere, e così acquista finalmente un qualche senso di autenticità quel trito e ritrito luogo comune secondo cui “per scrivere bene occorre leggere”. Allo stesso tempo, essa ci avverte anche sulla direzione che sarebbe opportuno dare all’insegnamento della letteratura nella Scuola secondaria di primo grado: non tanto una sequela di nozioni astratte, ma un serbatoio di testi vivi, ai quali gli studenti possono attingere per formare o arricchire il bagaglio di conoscenze specifiche sulla materia, traendo vantaggio dall’osservazione e dallo studio della scrittura “in atto”; a questo si riferisce il Documento di orientamento quando afferma che “la riflessione sui diversi generi narrativi, sulle tecniche di scrittura e sulle scelte linguistiche dovrebbe essere sviluppata attraverso un apprendimento attivo”.
La stessa linea si propone anche nella premessa al testo descrittivo, dove l’attenzione dei docenti è chiamata a riflettere sul valore trasversale che l’esercizio della descrizione riveste in ambito scolastico e non solo, visto che saper descrivere bene “può servire agli alunni per esporre meglio un argomento di studio o per convincere qualcuno con maggior efficacia delle proprie opinioni”: occorrerà dunque progettare sia attività didattiche sia prove in grado di dare forma alle ricche potenzialità della pratica di descrivere. Anche qui, infatti, si ricorda che “nella traccia è bene esplicitare situazione, argomento, scopo, destinatario, tenendo presente che la funzione orienta il carattere della descrizione”. Detto in altri termini: più che invitare gli alunni a produrre descrizioni oggettive o soggettive semplicemente per rispondere alla consegna di un esercizio, bisogna far loro capire quando occorre descrivere in un modo piuttosto che nell’altro, e dar loro gli strumenti per operare questa scelta in modo consapevole e appropriato.
Il testo argomentativo e la traccia di tipo misto
Anche introducendo le prove sul testo argomentativo, il Documento di orientamento si adopera per avvicinare alla realtà dei ragazzi questa tipologia, che in genere viene considerata la più ostica e quindi, implicitamente, è ritenuta abbordabile soltanto da parte degli alunni “più bravi”. “Eppure - ricorda il documento - l’argomentare è, come il narrare, atto linguistico primario (…) legato ai bisogni elementari di ogni studente”. Ogni ragazzo, quindi, “dovrebbe essere educato, con attenta gradualità, a motivare in forme sempre e più complesse le proprie prese di posizione”, anche perché “l’educazione all’argomentare prepara all’esercizio di una cittadinanza consapevole”. Un esercizio allo stesso modo indispensabile e irrinunciabile per tutti.
Con la terza tipologia testuale, ci troviamo di fronte a una delle novità più evidenti di questo nuovo esame: una prova che si propone sostanzialmente come un esercizio, più che di scrittura, di ri-scrittura. Analisi, sintesi, riassunto e commento sono tutti testi che nascono come filiazione di un altro testo, senza il quale non potrebbero esistere, e con il quale devono trovarsi in un rapporto di coerenza e adeguatezza, che l’alunno deve dimostrare di saper creare. Un’attenta considerazione delle competenze messe in gioco da un’operazione di questo tipo dovrebbe tranquillizzare chi teme che sostituire il tema, per esempio, con un riassunto, o con la stesura di una sintesi commentata, possa in qualche modo determinare un “abbassamento di livello”. La prova, inoltre, può proporre un testo letterario, ma anche di divulgazione scientifica, di manualistica scolastica o di natura giornalistica, richiamando ancora una volta il principio di trasversalità del sapere che costituisce uno dei principi fondanti della didattica per competenze.
Anche l’opportunità di mescolare queste diverse tipologie in una traccia di tipo misto si pone nell’ottica di offrire ai ragazzi un ambito di lavoro elastico, pluridisciplinare e stimolante, perché anche nel momento dell’esame la scrittura possa esprimersi non solo come mero esercizio, ma come un’esperienza autentica in cui prendono forma le competenze comunicative ed espressive sviluppate nel corso del triennio.
Una prova nuova, specchio di una nuova didattica
È evidente che una prova di questo tipo ci invita a compiere una profonda riflessione non tanto sull’esame, quanto sui percorsi didattici che a quell’esame portano, e sui principi e le scelte che li ispirano. È un’intera visione dell’insegnamento dell’italiano che qui viene messa alla prova: come insegniamo a scrivere ai nostri ragazzi? Quanto del nostro insegnamento è rivolto alla costruzione di un bagaglio di strumenti tecnici, e quanto alla consapevolezza del come e perché quegli strumenti possono essere usati? Quanto ci impegniamo nel valorizzare il “senso” dello scrivere come attività autentica, presente nella vita personale e comunitaria dei futuri cittadini che stiamo formando?
Non è certo con l’elaborazione di una nuova prova d’esame che si potrà dare una risposta a domande tanto importanti: ma lo stimolo a porcele è già un contributo di grande valore, e sarebbe un peccato e un’ennesima occasione perduta non riuscire a coglierlo.