Quale Media Education per i cittadini di domani?

Le competenze del XXI secolo

DIDATTICA PER COMPETENZE

Con l’inizio del nuovo millennio l’Unione Europea ha indicato alcune linee strategiche per la Media Education, includendo la competenza digitale tra quelle considerate necessarie per lo sviluppo di una “cittadinanza attiva” nella Raccomandazione «relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente». Ma che cosa si intende con “competenza digitale”?

di Sara Lo Jacono

Con l’inizio del nuovo millennio l’Unione Europea ha indicato alcune linee strategiche per la Media Education, includendo la competenza digitale tra quelle considerate necessarie per lo sviluppo di una “cittadinanza attiva” nella Raccomandazione «relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente». Ma che cosa si intende con “competenza digitale”? Il documento definisce la competenza digitale come «il saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie […] per il lavoro, il tempo libero, la comunicazione» e l’essere in grado di «cercare, raccogliere e trattare le informazioni e usarle in modo critico e sistematico, accertandone la pertinenza e distinguendo il reale dal virtuale pur riconoscendone le correlazioni».

In poche parole, l’Unione Europea non parla solo di conoscenza tecnica, ma anche di spirito critico e consapevolezza.

Il ruolo della scuola: opportunità e sfide

In questo scenario la scuola, secondo l’UE, costituisce un elemento determinante per assicurare che i cittadini europei acquisiscano le competenze chiave necessarie per adattarsi a un mondo in rapido mutamento, cogliendo sia le sfide sia le opportunità educative poste dai nuovi media. La nuova situazione apre all'educazione e alla didattica nuove opportunità in merito alla cooperazione, alla condivisione di competenze e allo scambio interculturale, allo sviluppo di un atteggiamento attivo da parte degli studenti o, ancora, alla facilità ad accedere a contesti spesso isolati o poco conosciuti, che sensibilizzano al rispetto dei diritti.

Anche le sfide sono però numerose: ci troviamo infatti a sperimentare una sempre maggiore difficoltà di controllo delle pratiche di utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei ragazzi, per via della portabilità e della facilità di accesso alla connessione a internet, nonché a fare i conti con il cosiddetto knowledge gap, ovvero il disallineamento dell’adulto e del minore rispetto alla conoscenza e alle pratiche relative alla tecnologia.

Da un punto di vista strettamente didattico, siamo costretti a confrontarci con la necessità di sviluppare negli studenti la capacità di selezionare criticamente contenuti e informazioni, dobbiamo gestire la nostra difficoltà a mantenere un ruolo di guida, nonché ridefinire le pratiche didattiche in relazione alle tecniche della produzione digitale, che oggi, per esempio, permettono la creazione di filmati in classe, grazie alla presenza di fotocamere e videocamere nei cellulari. Inoltre, è necessario essere consapevoli che è diventato indispensabile sviluppare, in noi e negli studenti, competenze di regolazione delle tecnologie, che includano la capacità di proteggere e gestire la propria privacy.

Quale Media Education? Una scelta per educare alla responsabilità e alla consapevolezza

Di fronte a tante difficoltà è facile trovarsi smarriti, soprattutto a causa del disallineamento a cui si faceva cenno poco sopra, che spesso fa sì che gli adulti credano che i ragazzi ne sappiano più di loro in materia di tecnologia. Questa convinzione porta generalmente ad assumere due differenti approcci. Nel primo, quello del laissez-faire, si ha la tendenza a credere che i giovani non abbiano bisogno di essere educati alle nuove tecnologie, poiché le conoscono e le padroneggiano meglio di chi dovrebbe tutelarli. Questo atteggiamento ha però due difetti fondamentali: presume che i giovani riflettano attivamente e in autonomia sulle loro esperienze di utilizzo dei media e che siano in grado, senza l’aiuto di un adulto, di sviluppare le norme etiche necessarie a far fronte al mondo variegato e complesso della rete. Nel secondo approccio, al contrario, si cerca di proteggere il ragazzo, il quale, nonostante sia percepito come uno “smanettone”, non è ritenuto in grado di difendersi da solo dalle insidie dei media. Questo modo di vedere la questione in genere conduce all'imposizione di divieti e restrizioni o all'installazione di filtri nei computer che vietano la navigazione in alcuni siti.

Accanto a queste posizioni, negli anni si è fatto strada un approccio diverso, che non chiede più alla Media Education di difendere i ragazzi, ma di abilitarli, di creare le condizioni perché possano difendersi da sé. È questa la via educativa, che pensa i giovani come soggetti competenti e potenzialmente autonomi e lavora sull'incoraggiamento alla riflessione etica sulle proprie scelte e sulle ricadute che queste hanno sugli altri. Tutte le agenzie educative possono lavorare in questo senso, anzi, è importante che scuola e famiglia collaborino affinché i ragazzi sviluppino consapevolezza e spirito critico. La scuola in particolare è considerata uno dei luoghi privilegiati in cui riflettere sulle caratteristiche e sulle modalità d’uso della rete. Perché lo faccia, però, è fondamentale che tutti gli insegnanti affrontino nelle proprie classi un percorso di Media Education, in quanto questa non si riduce alla pura conoscenza tecnica degli strumenti, bensì riguarda un’area molto più vasta di competenze, legate per esempio ai nuovi linguaggi e alle modalità espressive utilizzate per comunicare. Lavorare in classe con e sui nuovi media consente all'insegnante di abilitarsi agli occhi dei suoi studenti come adulto interessato e consapevole delle novità tecnologiche; di essere riconosciuto non più come adulto regolatore, ma come facilitatore della riflessione e della condivisione di conoscenze ed esperienze. L’insegnante avrà così la possibilità di capire che utilizzo facciano dei media e della rete i suoi studenti e quali siano i bisogni e le motivazioni che li guidano. Inoltre, potrà stimolare ogni alunno a socializzare le pratiche che lo vedono coinvolto, agevolando lo sviluppo di competenze attive che lo aiutino ad analizzare criticamente il suo stile partecipativo online e a comprendere se i siti visitati sono davvero validi e “professionali” dal punto di vista dei contenuti o se, al contrario, danno solo l’impressione di esserlo. Attraverso il dialogo con la classe, il docente si pone come scopo ultimo quello di permettere ai ragazzi di imparare a difendersi da soli dai rischi della rete, lavorando sulla prevenzione e non sulla protezione.

Alcune proposte di lavoro

Gli strumenti messi a disposizione dalla letteratura e dalla ricerca per strutturare un percorso di Media Education sono innumerevoli: per questo motivo è molto importante sceglierli e tararli sulla base dell’età e delle competenze dei ragazzi. Di seguito proverò a fornire qualche indicazione di lavoro, creando una breve guida per chi volesse intraprendere questa avventura.

Tabella

Per poter parlare di media e di uso consapevole, è fondamentale innanzitutto avere un’idea di quali siano le abitudini di consumo dei ragazzi. Una semplice indagine per alzata di mano ci restituisce in modo immediato un’immagine del possesso di digital devices e del “quando, quanto e per che cosa” li utilizzano: sapendo quanti di loro possiedono uno smartphone con connessione a internet, un profilo su Facebook o su Whatsapp è possibile già farsi un’idea delle loro pratiche di utilizzo. Per approfondire questo dato facendo un affondo sull'immaginario degli studenti, è possibile chiedere loro di realizzare dei collage per mettere in evidenza quello che è il loro modo di percepire internet e la tecnologia digitale, facendo emergere sia le opportunità sia i pericoli che colgono. Un diario di bordo può essere lo strumento per raccogliere i problemi sollevati dai ragazzi durante il dibattito e le relative soluzioni proposte, annotando in un eventuale glossario termini più o meno noti: lavorare sul termine “privacy”, per esempio, può consentire di capire quanto gli studenti siano consapevoli di avere un pubblico che legge ciò che postano sui social network. Può essere poi utile visitare con la classe una pagina Facebook, verificando quanti abbiano un profilo privato e permettendo agli altri di modificare le impostazioni della propria privacy. Queste attività aiutano i ragazzi a sviluppare una certa consapevolezza in merito alle proprie pratiche di utilizzo e ai comportamenti che è giusto o meno attuare in rete, permettendo loro di giungere in autonomia all'elaborazione, seppur implicita, della cosiddetta “netiquette”, una serie di regole che disciplina il comportamento degli utenti di internet nel rapportarsi agli altri. Per concludere il percorso è utile chiedere ai propri studenti di redigere, magari in piccoli gruppi, un decalogo di buone pratiche che espliciti quanto hanno appreso. Al termine della riflessione, ciascun gruppo esporrà alla classe il proprio insieme di norme fino a creare una netiquette condivisa, che comprenda tutte le regole di comportamento online che i ragazzi ritengono fondamentali per diventare abitanti responsabili della rete.

Il CREMIT (Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media, all'Informazione e alla Tecnologia) opera nel campo delle tecnologie didattiche, con particolare riferimento ai temi del rapporto tra i media e i minori, dell'impiego didattico dei media nella scuola, della riflessione sui cambiamenti culturali in atto nella società della conoscenza. Per saperne di più: http://www.cremit.it

Riferimenti bibliografici

  • Commissione Europea, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE).
  • Ardizzone A., Rivoltella P.C. (a cura di), New Media Education, inserto della rivista “Scuola e Didattica”, 15 (2007), La Scuola, Brescia.
  • Jenkins H., Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, Guerini e Associati, Milano 2010.
  • Nanni W. (a cura di), Educazione e Nuovi Media. Diritti e responsabilità verso una cittadinanza digitale, Mondadori Education, Milano 2008.

 

Sara Lo Jacono è collaboratrice del Cremit – Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.