A fronte del rischio dispersione ed emarginazione degli studenti che non riescono a raggiungere gli standard, una prospettiva inclusiva della didattica è necessaria e doverosa. Tale prospettiva, infatti, riconosce le differenze di funzionamento di ciascun apprendente e le sue eventuali difficoltà, proponendosi di garantire a tutti gli alunni diritti di individualizzazione del percorso scolastico e formativo. Ciò ha avuto formalizzazione normativa con la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 e con la circolare del 6 marzo 2013, contenente le indicazioni operative. Sono queste le disposizioni ministeriali che rendono la didattica ordinaria strutturalmente inclusiva attraverso il riconoscimento di bisogni educativi speciali (BES), anche in assenza di disturbi specifici dell’apprendimento o comunque di una diagnosi clinica.
Anche i testi scolastici vanno sempre più incontro a questa nuova esigenza, proponendo, a lato del libro “per tutti”, volumi per studenti con BES. Questa vera e propria onda d’urto ha investito diversi ambiti disciplinari quali matematica, storia, lingue straniere; la didattica della grammatica italiana, invece, solo in misura minore sembra essere investita da venti di rinnovamento: che lo si ami o meno, che gli si dedichino molti sforzi o lo si trascuri, l’insegnamento della grammatica troppo spesso privilegia il riconoscimento di parti del discorso e funzioni logiche a scapito dell’uso della lingua. La maggior parte degli esercizi di grammatica proposti nella scuola secondaria di primo e di secondo grado chiede infatti allo studente di individuare pronomi, analizzare aggettivi, definire le alterazione dei sostantivi, riconoscere tempi e modi verbali, individuare complementi (su una delle grammatiche più in uso se ne contano fino a trentanove!) ecc.
Alcune considerazioni
Il riconoscimento grammaticale è una competenza “alta”, raggiunta con successo da una fascia ristretta di studenti, costituita da quanti necessitano di affinare tali competenze perché devono prepararsi a (o stanno già affrontando) un indirizzo di studi liceale, caratterizzato da un approccio teorico che prevede per esempio lo studio della lingua latina. I dati delle iscrizioni alla scuola secondaria superiore per l’a. s. 2014-2015 ci dicono che tali percorsi sono stati scelti da poco più di un terzo della popolazione scolastica: possiamo quindi affermare che la maggior parte degli studenti italiani ha capacità e bisogni ai quali la grammatica di riconoscimento va incontro in modo solo parziale.
Quali sono le esigenze degli studenti italiani in termini di padronanza della lingua? Quali i bisogni comunicativi? Quali le competenze linguistiche richieste per “vivere e lavorare nel XXI secolo”, come recita un recente rapporto OCSE-PISA?
Esigenza cogente è imparare a usare la lingua per partecipare in modo efficace a scambi comunicativi. Non ci riferiamo solo a studenti di provenienza non italiana, pur così numerosi nelle nostre classi, ma a tutti quegli apprendenti che, non avendo alcuna dimestichezza o familiarità con il testo scritto, costituiscono la cosiddetta “generazione venti parole”: tante sono quelle che essi usano in un terzo delle loro comunicazioni quotidiane, come rileva uno studio di Tony Mc Enery, professore di linguistica presso la Lancaster University.
Gli insegnanti sanno che va crescendo il numero di parole uscite dal lessico ricettivo e produttivo degli studenti: ciò ha una ricaduta gravissima in termini di comprensione del testo e di comunicazione. Secondo un’indagine OCSE-PISA, il 33% degli italiani comprende solo testi di primo livello, su una scala che arriva fino al quinto livello di difficoltà; un altro 33% si ferma invece alla lettura e alla comprensione di testi di secondo livello: questa fetta di popolazione si attesta sotto la soglia minima di competenze linguistiche.
Alla luce di queste considerazioni, se un vento di rinnovamento deve investire la grammatica, si auspica che porti verso un approccio che promuova l’uso concreto della lingua, anche a partire da un ampliamento del lessico.
Alcune proposte operative
Il riconoscimento del grado di alterazione del sostantivo è un esercizio teorico e speculativo che produce scarsi risultati in termini di potenziamento lessicale.
Esercitare la capacità di distinguere se ad esempio porticciolo sia un diminutivo o un vezzeggiativo è un esercizio di mera teoria che difficilmente porterà lo studente a usare il vocabolo in questione. Potrebbe rivelarsi più utile l’esercizio che proponiamo:
Trova l’alterato corrispondente alla definizione e forma una frase. [1]
- un porto piccolo e grazioso → porticciolo → ...
- una casa piccola e miserabile → …
- un passero piccolo e grazioso → …
- una pioggia sottile e persistente → …
La richiesta di formare una frase con i vocaboli individuati risponde all’esigenza di proporre agli studenti compiti operativi, particolarmente efficaci per lo sviluppo di competenze: impariamo nuove parole se le usiamo in contesto e le facciamo diventare da concetti astratti lingua viva.
Analogamente, in luogo o almeno a fianco del riconoscimento dei gradi o dei tipi di aggettivi, appaiono efficaci attività mirate all’ampliamento lessicale. Eccone un esempio:
Trova l’aggettivo corrispondente all’espressione sottolineata e forma una frase.
- gesto da amico → amichevole → ...
- pesce di lago → …
- cielo di piombo → …
Una parte del discorso che molti docenti affrontano con un certo fastidio è la congiunzione: spesso la sua trattazione è rimandata dalla prima alla terza classe della secondaria di primo grado, o dalla prima alla seconda della secondaria di secondo grado, quando la congiunzione sembra diventare indispensabile per distinguere le proposizioni coordinate dalle subordinate. Si tratta ancora una volta di una prospettiva classificatoria che penalizza una competenza essenziale nell’ambito della comprensione del testo. Non è tanto importante sapere, ad esempio, se sebbene sia una congiunzione coordinante o subordinante; è invece fondamentale che lo studente sappia comprenderne il valore concessivo, così da individuare il significato della frase che essa introduce: sebbene come sinonimo di malgrado, nonostante, benché, non di infatti.
In questa direzione sembrano muoversi le prove INVALSI, che propongono sempre più spesso la comprensione del significato dei legami sintattici, a prescindere dal loro riconoscimento.
Ecco qualche proposta operativa: [2]
Scrivi accanto a ciascuna espressione della prima colonna la lettera di quella della seconda colonna che la completa.
1. Questa figura è un quadrilatero ... a. quindi verrò a scuola a piedi.
2. Venerdì c’è sciopero dei mezzi ... b. cioè ha quattro lati.
Correggi gli errori nell’uso delle congiunzioni coordinanti.
Ho voglia di qualcosa di dolce, però → perciò/quindi farò una torta.
Completa con le congiunzioni subordinanti elencate in fondo.
- Lasciami vedere i tuoi errori, ..................... io possa aiutarti.
- .................. mangi molti dolci, Luciana è sempre in linea.
sebbene - affinché
Un’altra parte del discorso che nelle grammatiche tradizionali viene spesso trattata con finalità di puro riconoscimento è l‘avverbio. Si chiede generalmente allo studente di distinguere gli avverbi di tempo, di modo, di luogo ecc. o addirittura di distinguere gli avverbi dalle locuzioni avverbiali. Proprio queste ultime, invece, possono aprire percorsi sull’uso metaforico della lingua. Risulterà utile proporre attività di ricerca-azione volte alla codifica e all’uso di locuzioni quali a scena aperta, a vanvera, a bizzeffe, alla carlona ecc.
Più in generale, è proprio la difficoltà di comprendere il significato metaforico di molte espressioni (ad esempio alzare il gomito, strizzare l’occhio ecc.) che inficia la comprensione dei testi. Anche nelle prove INVALSI gli studenti, non solo di provenienza linguistica non italiana, cadono laddove si tratti di individuare il significato traslato delle parole. Ecco un esempio tratto dalla prova INVALSI 2013-2014 per la scuola secondaria di secondo grado:
“In due o tre giorni, il reparto fu al completo. Oltre a noi quattro da Vicenza, che ci sentivamo il nocciolo, c’erano quindici o venti popolani della zona, i più assai giovani […]”
Con la parola “nòcciolo” (riga 51) che cosa intende l’autore?
A. Il nucleo primo e centrale
B. Il fondamentale centro di raccolta
C. La sicura base di riferimento
D. Il gruppo dei responsabili militari
La parte del discorso maggiormente oggetto di esercizi di riconoscimento (e anche quella che spesso dà i risultati più deludenti) è il verbo. Il riconoscimento di modi e tempi mette in difficoltà una parte cospicua del gruppo classe, in particolare DSA e studenti di provenienza non italiana. Più utile è concentrare l’attenzione sull’uso dei tempi verbali, anche attraverso brevi composizioni scritte. Per esempio, si può chiedere agli studenti di raccontare una breve storia usando il passato remoto e inserendo almeno un flashback: tale espediente obbliga all’uso dei tempi relativi (trapassato prossimo e trapassato remoto), vero scoglio linguistico che marca una distanza fra lingua parlata e lingua scritta.
La didattica del verbo si presta, attraverso esercizi di trasformazione, a un apprendimento basato sul learning by doing, efficace in quanto favorisce il passaggio da acquisizione di conoscenze a sviluppo di competenze. Ecco qualche esempio.
Trasforma dal presente al passato prossimo.
- Finiscono di lavorare alle 17.00. → Hanno finito di lavorare alle 17.00
- Capite quello che dico → …………………………………………………………………………………
Completa con il trapassato prossimo.
- (io - finire) Non ................ di rileggere quando è suonata la campanella. → Non avevo finito di rileggere quando è suonata la campanella.
- (entrare) Papà ……………………….. appena …………… ma è uscito perché (dimenticare) …………… ……………… i guanti in macchina.
Altro aspetto rilevante della grammatica d’uso è la sua spendibilità in termini di didattica laboratoriale. Le modalità di apprendimento più efficaci per i nativi digitali, abituati alla ricerca di soluzioni attraverso il confronto tra pari, sono infatti quelle che prevedono l’interazione in un gruppo.
In una prospettiva di flipped classroom, ecco alcune proposte operative che, attraverso l’acquisizione del significato dei principali prefissi e suffissi della nostra lingua, hanno come obiettivo l’ampliamento lessicale, vera e propria sfida per contrastare il rischio alfabetico di cui parla Tullio De Mauro. Si tratta di attività didattiche assimilabili all’insegnare a pescare, anziché al regalare pesci...!
Sottolinea il prefisso nelle parole della prima colonna e individua il suo significato fra quelli proposti.
Biblioteca a. scrittura b. libro c. ordine
ecc.
Sottolinea il suffisso nelle parole della prima colonna e individua il suo significato fra quelli proposti.
Democrazia a. forza b. norma c. legge
ecc.
Inserisci la parola corretta scegliendola tra quelle elencate in fondo.
Antonio, che è un vero ............................ va spesso al cinema.
cinefilo – ignifugo - paleolitico
Aggiungi i seguenti suffissi ai nomi proposti per formare dei nomi derivati e scrivi per ciascuno una frase.
–archia, –ario, –ame, –ata, –ficio, –logia, –nomia
anno, astro, campione, re, colore, monarca, psiche
Gli esempi proposti vogliono essere solo degli spunti: è evidente che un approccio attento all’uso della lingua può utilmente investire l’insegnamento dell’italiano non solo a livello di morfologia, ma anche di sintassi della frase semplice e della frase complessa.
[1] M. Celi, M. Giarratana, Italiano. Leggere, scrivere e comunicare, Milano, Hoepli, 2014.
[2] M. Celi, M. Giarratana, Competenze di lettura e ampliamento lessicale: una sfida all’“illitteratismo”. Strategie per contrastare il rischio alfabetico, in corso di pubblicazione in Materiali extra. Imparo sul web, G. Alberton, L. Benucci, Grammatica allo specchio, Torino, Loescher.