Il colloquio pluridisciplinare

IDEE PER INSEGNARE - SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO

Timidi e impauriti, come se vedessero i loro insegnanti per la prima volta e per la prima volta affrontassero un’«interrogazione», gli studenti di terza si presenteranno alla prova conclusiva dell'Esame di stato con il batticuore e la gola secca di tutti gli inizi.

Orietta Pozzoli

Gli studenti avranno già affrontato gli scritti di Italiano e Matematica, l'Inglese e la seconda lingua, la temuta prova Invalsi, tuttavia l’appuntamento con il colloquio sarà per tutti il gran cimento: una sfida individuale, una prova fatta apposta per saggiare la maturità globale della persona e la sua capacità di utilizzare conoscenze e abilità acquisite durante il percorso scolastico in una situazione in gran parte nuova.

Le regole

La Circolare n° 48 del 31 maggio 2012 (con indicazioni confermate nella Nota n° 3587 del 3 giugno 2014) fornisce istruzioni a carattere permanente sulla conduzione dell’Esame di stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione. In tema di colloquio il testo di legge così afferma: «il colloquio pluridisciplinare, condotto collegialmente alla presenza dell'intera Sottocommissione esaminatrice, verte sulle discipline d'insegnamento dell'ultimo anno (escluso l'insegnamento della religione cattolica), consentendo a tutte le discipline di avere giusta considerazione. Il colloquio è finalizzato a valutare non solo le conoscenze e le competenze acquisite, ma anche il livello di padronanza di competenze trasversali (capacità di esposizione e argomentazione, di risoluzione dei problemi, di pensiero riflessivo e critico, di valutazione personale, ecc.). Al colloquio interdisciplinare è attribuito un voto espresso in decimi». In base alla legge, inoltre, «gli studenti che hanno frequentato le classi a indirizzo musicale sono chiamati a dimostrare anche la competenza musicale raggiunta al termine del triennio sia sul versante della pratica esecutiva, individuale e/o d'insieme, sia su quello della conoscenza teorica». Questi candidati, dunque, sosterranno anche una prova di esecuzione allo strumento e saranno interrogati sulla Teoria musicale.

La circolare, nel complesso, accoglie, precisandola e ampliandola, tutta la legislazione precedente: dall’antesignano Decreto Ministeriale del 26 agosto 1981, che da subito sanciva il carattere pluridisciplinare della prova orale, si sono via via assunte le indicazioni europee in materia di istruzione (si pensi al concetto di «competenza trasversale»); inoltre, in linea con la valorizzazione dell’autonomia delle scuole, si è sottolineato il ruolo dei singoli consigli di classe nel definire come e su quali contenuti gli alunni saranno invitati a dialogare con la commissione.

Fin dal 2001, infatti, si mette in evidenza che è proprio il consiglio di classe a stabilire i criteri della prova orale «consistenti non nella predisposizione di domande, ma nell’individuazione delle modalità di conduzione del colloquio in relazione ai candidati e alla programmazione educativa e didattica attuata nel triennio» (O. M. n° 90, articolo 11). Oltre l’ovvio richiamo alla coerenza tra la prova finale e il percorso formativo di cui essa deve rendere conto, il legislatore chiarisce in seguito la possibilità di prevedere un orale davvero cucito su misura degli studenti e delle attività di insegnamento/apprendimento di cui, con i loro docenti, sono stati protagonisti nel triennio: il colloquio, infatti, «potrà riguardare gli approfondimenti delle singole discipline di studio e altri elementi derivanti da qualificate esperienze realizzate» (C. M. n° 32, del 14 marzo 2008).

Una precisazione di forma e di sostanza

Se gli insegnanti, dunque, hanno ampi margini di libertà nell’organizzazione della prova orale, sarà evidentemente necessario che la preparazione degli studenti sia da loro preventivamente orientata in modo adeguato. Posto che le «competenze trasversali» cui si accenna sopra sono l’esito di un percorso iniziato con la prima alfabetizzazione degli alunni, come possiamo pianificare il colloquio in modo che le capacità dei candidati, sottese a tali competenze, siano davvero messe in luce e che la «pluridisciplinarità» non si riduca a una sventagliata di informazioni/conoscenze, organizzate per «materie»? E inoltre, la Circolare n° 48 del 2012 sembra usare come sinonimi gli aggettivi «pluridisciplinare» e «interdisciplinare», termini che si sfiorano, ma non sono esattamente sovrapponibili. Dunque, come regolarsi?

L’interdisciplinarità interpreta in modo eccellente il principio dell’unità del sapere: non si tratterebbe solo di affrontare un argomento assumendo il punto di vista di più discipline, ma di fare in modo che esse entrino in reciproca relazione e connessione, sconfinando l’una nell’altra, facendo convergere i propri saperi e metodi, e aprendo inediti orizzonti di indagine. Possiamo chiedere tanto a un tredicenne? Anzi, possiamo chiedere a noi stessi di preparare venticinque tredicenni a sviluppare altrettanti argomenti diversi con un approccio davvero interdisciplinare, negli ultimi mesi dell’anno scolastico?

Forse, perlomeno fino a quando l’organizzazione delle attività di insegnamento/apprendimento prevederà, nella prassi quotidiana delle nostre scuole, un’articolazione per discipline, ciascuna con una propria sostanziale autonomia nella programmazione dei contenuti e dei traguardi specifici, ciascuna con un proprio statuto (e un «peso» orario nel curricolo), ciascuna tenuta a contribuire alla valutazione finale con un suo «voto», indipendente da quello delle altre…, meglio puntare, per l’Esame di stato, a una più realistica pluridisciplinarità.

Il percorso pluridisciplinare. Come allenare gli studenti a una pratica di ricerca stimolante, senza affondare nelle impronte altrui?

Nelle nostre antologie non mancano i consigli rivolti direttamente agli alunni perché si preparino al colloquio scegliendo un argomento «di partenza», all’interno di una qualsiasi materia, e attorno a esso costruiscano una mappa concettuale: un percorso sensato, in cui, senza superficiali forzature, un certo numero di discipline (non obbligatoriamente tutte!), possa «dire la sua», sul tema in questione, allargando e approfondendo il campo dei saperi coinvolti. Spesso i suggerimenti sono ottimi spunti concreti di lavoro, propongono di per sé «grandi temi» a partire dai quali non è difficile individuare le possibilità di sviluppo pluridisciplinare: la globalizzazione, il viaggio, la guerra e la pace, l’ambiente e l’ecologia, la città, i diritti dei bambini, le emozioni e gli affetti, il cibo e l’alimentazione (e quest’anno, complice Expo, ci sembra più che mai di essere ciò che mangiamo…!), l’esplorazione dello spazio, la questione femminile…

Non solo. Basta digitare su Google la parola magica «tesina di terza media», ed ecco che i nostri alunni (e i loro genitori) trovano di tutto, dai terremoti alla ginnastica artistica, centinaia di «percorsi» già compiuti e pronti per essere scaricati, copiati, adattati, con collegamenti, immagini, bibliografia… Niente che assomigli a un lavoro scientifico di ricerca, ma abbastanza per saltare l’ostacolo senza troppa fatica e «fare bella figura».

Insomma, se vogliamo che il colloquio sia la sintesi e la valorizzazione di un «percorso», la linea di partenza, le tappe intermedie e la sua distanza dal traguardo devono essere stabilite all’inizio dell’anno. La «pluridisciplinarità» deve diventare un metodo di lavoro sin dalla progettazione iniziale degli insegnanti che, individuati i bisogni e gli interessi dei loro alunni, da subito scelgono collegialmente uno o più temi «chiave», rispetto ai quali i singoli apporti disciplinari siano dei «mezzi» di indagine e approfondimento, piuttosto che dei fini in sé. Gli studenti devono poter imparare in aula, nel lavoro quotidiano, «come si fa» a studiare un problema con tutti gli strumenti che si hanno a disposizione e i metodi specifici delle discipline; sarebbe importante che fossero chiamati in causa loro stessi nella scelta degli argomenti da sviluppare in modo pluridisciplinare e che poi si assumessero direttamente, divisi in piccoli gruppi, la responsabilità della ricerca del materiale, della sua organizzazione e della sua presentazione: quest’ultima potrà consistere in una presentazione multimediale, un lapbook / cartelletta di raccolta (di testi, foto, disegni, piccoli oggetti), un manifesto pubblicitario, un video, un copione teatrale.

Ai temi «pluridisciplinari» cui si accenna sopra, tutti in qualche modo legati ai contenuti che in genere si propongono in terza, se ne possono aggiungere numerosi altri: tante esperienze, non strettamente «di studio», possono essere il punto di partenza, comprese le attività di volontariato (per esempio, una raccolta di generi alimentari, o la partecipazione a una iniziativa «ecologica» di cura dell’ambiente…), i laboratori teatrali, i viaggi della classe, le visite alle mostre…

Gli insegnanti, in questo modo di operare, sono i punti di riferimento, i «facilitatori»: suggeriscono dove andare a cercare, come riconoscere le «fonti» più attendibili – soprattutto quando si tratta di navigare in rete! – mostrano i «ponti» che dalla loro disciplina conducono alle altre. Ogni docente è tutor di uno o più gruppi, per ragioni di pura logistica, perché faccia da «punto di raccolta» del lavoro dei «suoi» e da referente organizzativo.

Se, nel corso dell’anno, ciascun alunno sarà stato coinvolto in uno o più lavori di questo tipo, non solo i risultati della «ricerca di gruppo» potranno essere discussi anche nel colloquio finale, ma la maggioranza degli studenti sarà in grado di cogliere anche in modo autonomo, nello svolgimento dei contenuti disciplinari, le connessioni più evidenti tra i «temi portanti»: avrà acquisito un metodo, una competenza trasversale di riflessione, sintesi, valutazione, giudizio personale, applicabile in un contesto nuovo.

Per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali, la strada è libera…

Questo tipo di preparazione sarà utile per tutti gli studenti e potrà essere la carta vincente per quelli con Bisogni Educativi Speciali (non necessariamente tutti, ma senz’altro quei ragazzi che, secondo gli insegnanti, per prepararsi alla prova, e nella conduzione della prova stessa, abbiano la necessità di facilitazioni): al momento dell’esame, senza bisogno di essere ulteriormente guidati in altre «produzioni» funzionali al colloquio, potranno raccontare qual è stato il loro contributo nel lavoro del gruppo, mostrare e commentare fotografie e disegni, presentare materiali, leggere testi, proporre l’ascolto di brani musicali… Insomma, avranno tra le mani un oggetto culturale interessante, realizzato anche con il loro contributo e che sapranno illustrare.

E per gli altri? Dopo che sono stati validamente allenati, quale sarà «l’impresa»?

Naturalmente, i lavori di ricerca pluridisciplinare di cui abbiamo parlato finora faranno parte dello «zaino» con cui tutti i candidati potranno presentarsi alla commissione. La stessa legge ci raccomanda di valorizzare gli «approfondimenti» e le «esperienze qualificate». Ma, con la maggior parte degli alunni, l’asticella della richiesta potrà essere alzata.

Ecco, perciò, un’altra proposta per le ultime settimane dell’anno scolastico e per l’ultima prova.

1. Entro il mese di maggio ogni studente è invitato a segnalare al docente coordinatore della classe la disciplina dalla quale vorrebbe incominciare il colloquio finale, con un’eventuale «seconda scelta»; si dirà chiaramente ai ragazzi che quella NON sarà l’unica materia oggetto del colloquio, ma che essi sono invitati a indicare l’ambito in cui pensano di sapersi «muovere» più agevolmente, quello che li appassiona di più, e in cui possono avvalersi di conoscenze e abilità più sicure, per «rompere il ghiaccio» davanti alla commissione esaminatrice.

2. Il consiglio di classe, vagliate le scelte degli alunni, assegna in modo definitivo a ciascuno la sua «materia di partenza».

3. A questo punto, ciascun alunno riceve indicazioni precise per il ripasso dal docente titolare della materia scelta. Ogni insegnante, anche a seconda dell’effettiva quantità e complessità degli argomenti che ha trattato durante l’anno, deciderà se il «programma», nel frattempo portato ormai a termine, debba essere ripreso dagli alunni in toto, o se enucleare dei contenuti irrinunciabili, sui quali concentrarsi nello studio.

4. Supponiamo, a questo punto, di dover accompagnare nella preparazione uno studente che abbia scelto di «partire da Storia». Lo inviteremo a ripassare cercando, per ogni argomento, i possibili collegamenti con altre discipline, in modo che il suo ritorno su contenuti già acquisiti avvenga seguendo un percorso ramificato, nel modo più ampio possibile. Per esempio, quando ripasserà le pagine e le attività che abbiamo dedicato alla Grande Guerra, si ricorderà che ha analizzato alcune poesie di Giuseppe Ungaretti in Italiano, ha imparato a riconoscere le principali caratteristiche della pittura del Futurismo in Arte, ha studiato l’invenzione e le applicazioni del motore a scoppio in Tecnologia, saprà parlare degli Stati Uniti per Inglese e presentarne le caratteristiche geografiche… e così via. Approfitteremo delle ultime lezioni per fornire molti esempi in questa direzione agli studenti, anche ripercorrendo brevemente in aula gli indici dei libri di testo e i quaderni di lavoro, per richiamare alla memoria quanto è stato fatto e quanto si ritiene importante per la costruzione di un discorso pluridisciplinare.

5. Gli studenti arriveranno così all’appuntamento dell’esame orale dopo aver ripassato tutti o quasi tutti gli argomenti fondamentali, in modo non soltanto mnemonico, e non «per materie», ma mettendo in atto capacità di riflessione, sintesi, collegamento fra i saperi, valutazione. Da parte nostra, li avremo incoraggiati a tenere traccia dei loro itinerari di ripasso, elaborando «mappe concettuali» per il loro uso personale, in cui ordinare i temi che sono stati man mano setacciati dai serbatoi di informazioni delle varie discipline.

6. Il colloquio, a partire da un «documento nuovo». Chiederemo a ogni candidato di presentarsi almeno mezz’ora prima dell’orario fissato per il suo esame orale: l’insegnante della disciplina scelta dallo studente avrà cura di predisporre un «documento» di varia natura, nuovo per l’alunno, ma relativo a uno dei temi ampiamente trattati e ripassati, e di sottoporlo alla sua attenzione in un ambiente tranquillo (un aula non occupata dalle sottocommissioni d’esame). Riprendiamo l’esempio dello studente che abbia scelto Storia e al quale vogliamo proporre la Prima guerra mondiale, come avvio dell’esame orale: faranno al caso suo la lettera di un soldato dal fronte, un manifesto di propaganda interventista, la fotografia di una trincea, una carta degli schieramenti in Europa tratta da un atlante storico… Nel corso delle nostre lezioni di certo avremo già fatto ricorso a questo genere di materiali, quindi il candidato sarà in possesso degli strumenti di analisi per dire di che tipo di documento si tratta, per «leggerlo» e darne il corretto inquadramento storico. Dovrà però cimentarsi con la novità del documento, interpretarlo, ragionarci sopra con «competenza». Prima del colloquio, avrà tempo di raccogliere da solo le idee e di prepararsi, dunque, non solo a presentare il documento in sé, ma anche a proporre alla commissione i collegamenti tra il tema in questione e un certo numero di argomenti nelle diverse discipline, come è stato ben allenato a fare.

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Il colloquio pluridisciplinare

di Orietta Pozzoli

 

Orietta Pozzoli: scrittrice e docente di Lettere nella scuola secondaria di primo grado presso l'Istituto Don Carlo San Martino di Besana Brianza.