Letteratura come vita: possibile?

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La letteratura, una Cenerentola dell’Esame di stato

IDEE PER INSEGNARE

Le percentuali di studenti che svolgono all’Esame di stato l’Analisi del testo sono sempre piuttosto basse: perché? Come insegnanti ci dobbiamo interrogare sull’apparente scarso interesse degli studenti verso questa disciplina e, forse, rivedere l’approccio didattico con cui la si insegna…

di Monica Bottai

La tipologia A propone, con un’unica traccia, l’analisi di un testo poetico o in prosa. Oltre ad offrire alcune sintetiche informazioni sul testo e sull’autore, la prova richiede allo studente tre operazioni di scrittura: dimostrare una comprensione complessiva del testo a livello informativo e letterale; rispondere a una serie di domande per analizzare il testo dato, evidenziandone il significato e gli aspetti connotativi; esporre un’interpretazione complessiva ed effettuare alcuni approfondimenti e collegamenti. Questa è considerata la prova principale dell’esame, forse perché rappresenta l’erede del più antico “tema” letterario. Nonostante tale ruolo di rilievo, ben pochi studenti scelgono questa tipologia: per esempio, nella sessione del 2017, soltanto il 12,4% si è cimentato con l’analisi del testo di Caproni e in anni precedenti è andata anche peggio ad autori come Umberto Eco (6,2%), Primo Levi (4,7%) o Quasimodo (4,2%).

Analisi del testo, una prova poco amata: perché?

Al di là della difficoltà a interpretare le scelte degli studenti (le preferenze accordate non sembrano corrispondere alla “notorietà scolastica” di un autore), possiamo dire che, in generale, la tipologia A è poco gradita, insieme alla C (tema storico, categoria ritenuta la più ostica dagli studenti) e alla D (tema di attualità). Confermano questa affermazione i dati diffusi dal MIUR relativamente al periodo 2008-2015, secondo i quali è il saggio breve o l’articolo di giornale – soprattutto di ambito scientifico – la prova preferita dagli studenti.
Non possiamo non cercare di approfondire le possibili motivazioni che inducono gli studenti a boicottare così platealmente alcune tipologie, in particolare quella dell’analisi del testo; infatti, se anche qualche favore in più va al saggio di argomento artistico-letterario, è evidente che la proposta prettamente letteraria viene puntualmente quasi del tutto evitata. Perché?
Come asseriscono molti ragazzi, il saggio o l'articolo di giornale permettono di superare le difficoltà ideative della composizione libera, grazie alla ricca serie di documenti con cui tessere la propria argomentazione; tuttavia, ben conosciamo la scarsa originalità di tante prove scritte di maturandi, che costruiscono veri e propri centoni con i testi a disposizione, privi tuttavia di originalità e densità argomentativa.
In secondo luogo, possiamo forse concordare con Nicola Lagioia quando, intervistato in merito agli otto quesiti sul testo della Tipologia A dell'Esame 2017, ha risposto: “Solo a leggerle mi viene il mal di testa: io mi sarei limitato a commentare liberamente il componimento. La tecnica sarà pure importante, ma la poesia va più sentita che decodificata. Anche perché parliamo di ragazzi di diciotto anni, non di critici letterari (...). Da professore mi accontenterei di leggere un tema ben scritto, con una contestualizzazione generale del brano e soprattutto la restituzione del sentimento che questa poesia comunica e del suo significato. L’obiettivo è spiegare, rendere conto in maniera complessa del moto dell’anima che la letteratura suscita e che quando nasce non ha un nome. In fondo non è forse questo la maturità?”
Un docente, però, potrebbe giustamente obiettare che i nostri studenti sono ormai abbastanza edotti nell'analisi del testo, perché da molto tempo è entrata nelle nostre aule, ha determinato l'approccio ai testi, ha dato forma alle nostre antologie scolastiche. Tuttavia le parole del noto scrittore e direttore del Salone internazionale del libro di Torino sollevano forse un senso di disagio in noi professori, perché non sempre il moto dell'anima, la restituzione del sentimento, il sentire è ciò che davvero chiediamo ai nostri ragazzi quando facciamo letteratura.
Proprio questo aspetto ci conduce all'origine profonda del rifiuto da parte degli adolescenti della Tipologia A e della loro distanza dalla letteratura in genere. Su questo dobbiamo interrogarci: che valore ha oggi lo studio della letteratura? O meglio: che valore ha oggi lo studio della storia della letteratura? Che valore ha il percorso triennale su autori e testi in chiave cronologica e storica, se poi all'Esame la prova verte sull'accertamento di competenze testuali, che quasi potrebbero prescindere dalla storia letteraria stessa, in quanto adattabili a qualsiasi testo? Analizzare un testo equivale a fare letteratura? Quale valore ha lo studio di certi autori di un ipotetico canone, se poi all'Esame spesso ne sono proposti altri estranei ai percorsi scolastici?

Adulti vivi, per studenti ... non sdraiati

“Se qualche maestro indegno, se qualche anno di scuola ci hanno condotto a un’ansia sterile, e a una vera serie di nozioni inutili, lo stesso nostro dolore, l’immediata mancanza d’aria ci avvertivano dell’inganno e del senso nascosto dell’unica letteratura”. E quell’unica letteratura, prosegue Carlo Bo, ”è un eterno scandaglio (…) una misura di coscienza in un esame che ha i limiti della nostra vita ma è inesauribile come movimento di verità.” (in Letteratura come vita). Non dunque una pagina, non un’evasione, non un passatempo, ma una vita. Quando i nostri ragazzi ci chiedono "A cosa serve studiare letteratura?", ci stanno mostrando la loro mancanza d’aria, un sottile disagio che, pur nella forma a volte scomposta e irritante, chiede un senso che superi le mura scolastiche e invada la vita. Da questa domanda dobbiamo partire, noi insieme a loro, per recuperare l'esperienza vera della letteratura. Infatti, la letteratura non si studia, ma si vive. Quando è così, non si ha bisogno di costringere a fare parafrasi o esercizi, né si deve trascinare un uditorio stanco e svogliato; non è vero che i nostri adolescenti non si interessano a nulla, non si appassionano, non fanno fatica; loro si interessano, si appassionano e fanno anche fatica, ma per qualcosa che valga la pena in quanto intercetta il loro cuore, anche nelle vesti di un professore che proponga loro non soltanto una pagina del manuale, ma l'incontro con qualcuno che ha scritto qualcosa di vero anche per lui. Questo è fare letteratura in classe. Per questo vediamo riunirsi platee numerosissime davanti a grandi scrittori: Baricco, D'Avenia, o Lodoli, o Rondoni, tanto per citarne alcuni; non sono fenomeni pubblicitari, né prodotti di marketing, ma uomini che scrivono o leggono, commentano o analizzano testi, innanzitutto vivendo quello di cui parlano e destando un fascino antico, una nostalgia di verità, un senso di bellezza nel cuore di chi ascolta, soprattutto negli adolescenti.

“Facciamo” letteratura

Ma non possiamo avere un autore in carne ed ossa accanto a noi, nelle nostre classi, né io sono bravo come quegli scrittori e professori citati, obietterà qualcuno. Pensiamo allora a un'esperienza ormai pluriannuale come I Colloqui fiorentini nella quale gli attori sono i docenti stessi delle scuole superiori con le loro classi. O alle gare di lettura di Eros Miari, al Salone del Libro di Torino, o a esperienze come EquiLibri e Fuorilegge, che coagulano intorno a sé lettori e scrittori preadolescenti, fino ad arrivare a esperienze più specifiche come la Scuola Holden, il cui numero di iscritti aumenta ogni anno.
Queste esperienze dimostrano che la letteratura affascina e attrae, ma soltanto quando è viva. Per essere tale, deve essere un incontro. Non si legge un testo, ma si incontra qualcuno che comunica qualcosa proprio a me.
Come avere questo approccio? Innanzitutto, attraverso un docente che vive per primo questo incontro. Si insegna soltanto ciò che si vive in prima persona. Quindi, si insegna ciò che si ama. In secondo luogo, è necessario allentare quell'impostazione storicistica della letteratura ancora troppo presente nella nostra didattica: essa ci vincola al manuale, a un canone o a un programma che ancora troppo rigidamente ci condiziona, ostacolando un ben più appassionante percorso di incontri.

Alcune istruzioni d’uso

Favorire il rapporto diretto coi testi, per stimolare la capacità di lettura, l’immedesimazione e soprattutto il paragone con sé stessi; scoprire dentro i testi i richiami biografici, il contesto, nonché quelle idee complessive che danno il senso delle prospettive epocali, evitando però uno storicismo onnicomprensivo e monodirezionale; proporre un canone degli autori, ma relativizzandolo e costruendolo anche insieme agli studenti, in un dialogo serrato con le loro esigenze e il loro vissuto; procedere talvolta per esami comparati di testi coevi o anche di epoche diverse; procedere pure per tagli e campioni, fuggendo da quell’enciclopedismo sterile che si basa sulla quantità dei contenuti, non sulla qualità delle azioni cognitive attuate; utilizzare diversi approcci metodologici (linguistico, sociale, psicologico …) per evidenziare la specificità della vita e dell’opera di ogni singolo autore; infine, stimolare i ragazzi in semplici progetti di lavoro o attività che evidenzino competenze reali e che magari li facciano anche divertire un po’: perché non creare la pagina FB di Leopardi? O un dossier comico su qualche evento? In tale prospettiva, il manuale diventa soltanto uno strumento, mentre l’insegnante e gli studenti saranno i veri protagonisti.

Verso il nuovo Esame di stato

Nello schema di decreto legislativo recante “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di stato” della legge 13 luglio 2015, n. 107 troviamo alcune indicazioni sul nuovo Esame di stato. Chiaramente dobbiamo aspettare indicazioni più precise e dettagliate per il prossimo anno scolastico, ma possiamo già cogliere un cambiamento di rotta rispetto al passato; infatti, relativamente alla prima prova, leggiamo: “La prima prova […] consiste nella redazione di un elaborato con differenti tipologie testuali in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico. La prova può essere strutturata in più parti, anche per consentire la verifica di competenze diverse, in particolare della comprensione degli aspetti linguistici, espressivi e logico-argomentativi, oltre che della riflessione critica da parte del candidato.“ È interessante leggere anche le righe relative alla prova orale; infatti, oltre all’elaborato relativo all’esperienza di alternanza, il candidato deve affrontare anche un colloquio sui contenuti disciplinari: “la Commissione (…) propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale anche utilizzando la lingua straniera.”
Pur restando aperte varie domande sulle modalità di svolgimento delle due prove, possiamo comunque rilevare un significativo spostamento verso la dimensione critica e argomentativa, oltre a una certa varietà nella formulazione delle proposte. Insomma, pare decadere la forma dominante del saggio breve, per lasciare spazio ad altre tipologie; inoltre, sembra riemergere la necessità di educare alla comprensione, analisi, interpretazione dei testi, di qualsiasi tipologia essi siano. La forma del saggio breve o la tipologia A finora non hanno forse dato i risultati sperati ed è per questo che, ora più che mai, fare letteratura rappresenta la strada maestra anche per affinare lo spirito critico: accettiamo la sfida e rischiamo qualcosa di nuovo.

 

Monica Bottai: è insegnante di italiano e storia, si occupa di pedagogia e didattica e svolge attività di formazione per docenti; ha pubblicato Pagine di elegia. Antologia dalle opere di Tibullo, Properzio, Ovidio, G. D’Anna, Firenze 2003 e Se non io, Il Filo, Roma 2008.