La programmazione: riflessioni ed esempi

La programmazione: riflessioni ed esempi

IDEE PER INSEGNARE - SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

Prime settimane di scuola: tempo di progettazione didattica, le aule docenti sono un fermento di programmazioni, piani di lavoro, con scadenze più o meno ravvicinate. Sviluppiamo insieme qualche riflessione perché questo adempimento diventi un’occasione di vera progettazione e maturazione per il docente e proponiamo qualche esempio concreto.

Linda Cavadini

La programmazione è caratterizzata da intenzionalità educativa, contestualizzazione, cioè conoscenza degli allievi e della loro situazione formativa, e razionalizzazione: è un’attività complessa che richiede un periodo di riflessione. Il momento della programmazione, infatti, arriva per l'insegnante dopo un tempo “vuoto di studenti” piuttosto lungo, un periodo da usare per riposarsi e ricaricarsi, ma anche per studiare e progettare, pensando alle classi che incontrerà di nuovo o che conoscerà per la prima volta a settembre. Il docente deve comunque essere ben consapevole che, dopo un’osservazione iniziale, potrà ricalibrare quanto progettato ed eventualmente modificarlo in corso d’opera.

La programmazione è un atto dovuto della funzione docente (decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150)

È necessaria non solo per «dare razionalità e scientificità all’insegnamento, sottraendolo al caso e all’improvvisazione e liberando la professionalità didattica dell’insegnante dallo stereotipo del missionario colto che sempre lo accompagna» (come ci ricorda Massimo Baldacci in Unità di apprendimento e programmazione), ma anche e soprattutto per migliorare la nostra didattica. È un momento fondamentale dell’insegnamento che serve anzitutto al docente e che deve basarsi secondo alcuni principi base.

È il docente a fare la programmazione didattica, non il libro in adozione

Spesso il docente si sente obbligato a seguire la scansione dei libri di testo, impostati però secondo un modello che deriva da altri modelli (indicazioni ministeriali, riflessione pedagogica, necessità di marketing...). È invece più importante costruire propri percorsi utilizzando anche (ma non solo!) i testi in adozione: vale per l’antologia, che per sua natura è pensata per essere usata senza un preciso ordine, ma anche per grammatica, dove è più efficace rendere funzionale la riflessione sulla lingua e sul lessico. A chi domanda “Ma poi alle superiori?” “E la prova Invalsi?” si può rispondere che noi non dobbiamo addestrare a..., né preparare per.... Noi docenti dobbiamo insegnare a...

Il docente fa la programmazione a partire dalla classe reale e non immaginaria

Ogni classe è diversa, ogni classe ha bisogni educativi differenti, ogni docente ha interessi personali che mutano nel tempo. Nella scuola secondaria di primo grado, dove non c’è l’obbligo della scansione cronologica della storia della letteratura, lo spazio di personalizzazione è ampio. Programmare significa partire dalle competenze che si vogliono raggiungere, tenendo conto delle caratteristiche della classe oltre che delle indicazioni ministeriali. Pur partendo da un impianto generale, quindi, soprattutto per le classi iniziali è necessario osservare e non avere fretta di mettere tutto nero su bianco. Qualche anno fa fu proprio la presenza numerosa di stranieri in classe che mi spinse a rimodulare il classico percorso sulla fiaba e la favola in studio, riscoperta e riscrittura delle fiabe del paese d’origine. Ne uscì una bella raccolta di fiabe dal mondo, un’interessante sezione di fiabe inventate e una giornata in cui i genitori dei ragazzi vennero a raccontare la fiaba in lingua originale, con traduzione simultanea eseguita dagli alunni.
La programmazione, inoltre, permette di costruire percorsi partendo dalle proprie passioni. E nulla come un insegnante appassionato conquista i ragazzi.

La programmazione non è il fine della nostra didattica ma un mezzo

Il compito del docente non è stendere belle programmazioni, ma programmazioni efficaci, che tengano conto del punto di partenza (la situazione della classe) e di quello d’arrivo (la competenza che si vuole raggiungere). Nel mezzo ci sta la normale evoluzione dell’anno: quindi a fronte di situazioni contingenti esterne o interne alla classe occorre potere e volere cambiare. La programmazione non è un dogma e nemmeno il formato scelto lo è: entrambi devono essere flessibili. I modelli e gli schemi di riferimento non sono rigidi, ciascun docente può e deve mutarli nel tempo. La programmazione deve essere realizzabile: è meglio, pertanto, puntare solo su alcuni macrotemi attraverso i quali sviluppare le competenze e liberarci di elenchi di argomenti che non completeremo mai. I programmi, d’altra parte, non esistono più da molto tempo, esistono invece le progettazioni che devono riflettere la nostra libertà di insegnanti di scegliere cosa sia più efficace per il conseguimento delle competenze.

 

Linda Cavadini: docente della Scuola secondaria di primo grado “Aldo Moro” (Como) e del Liceo del Lavoro per giovani in dispersione scolastica presso la scuola “Oliver Twist” (Como).”