Una proposta di analisi del testo argomentativo

IDEE PER INSEGNARE - SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO

Più di dieci anni fa un articolo di Marco Lodoli, insegnante e scrittore, denunciava i guasti prodotti tra i nostri studenti da una pedagogia impegnata a cancellare dalla scuola ciò che è complesso e difficile (I miei ragazzi insidiati dal demone della facilità, «la Repubblica», 6 novembre 2002). Da allora, gli osservatori delle vicende scolastiche di indirizzo catastrofista si sono spesso lamentati dell’indebolimento delle capacità riflessive delle nuove generazioni.

Giuseppe Benedetti

Ma quanto c’è di vero negli allarmi lanciati da chi sospetta che i giovani non sappiano più argomentare? Un paio d’anni dopo l’articolo succitato, Lodoli, con un’altra acuta lettura dell’universo giovanile (La vita bassa a quindici anni, «la Repubblica», 18 ottobre 2004), in parte rettificava l’impressione emersa nel pezzo precedente, raccontando di una studentessa che con un ragionamento di «disperata lucidità» faceva a pezzi le convinzioni dell’insegnante. Le esperienze del prof. Lodoli, come ogni collega avrà potuto verificare in prima persona, rivelano piuttosto che molti giovani non percepiscono più la scuola come una risorsa decisiva per il loro ingresso nel mondo degli adulti. Da qui probabilmente deriva l’oscillazione, già rilevata, tra stordimento e lucidità.

Tuttavia queste considerazioni non devono far abbassare la guardia rispetto a spie linguistiche rivelatrici di un affievolirsi delle capacità deduttive degli studenti, come lo scarso ricorso al lessico astratto e alla costruzione ipotattica negli scritti. D’altra parte la scuola aiuta troppo e finisce per non agevolare la crescita delle capacità ragionative degli studenti. Si pensi ai “documenti” che accompagnano le consegne per la stesura dell’articolo di giornale e del saggio breve all’esame di Stato: un disincentivo a leggere, informarsi e prendere nota autonomamente perché nell’allegato si troverebbe tutto l’occorrente per confezionare un articolo o un saggio. Ritengo che non sia superfluo tener conto di queste e altre ragioni nel momento in cui si decida di affrontare in classe il testo argomentativo.

Per ciò che è stato detto finora, risulta necessario scegliere come modello da studiare un testo il cui contenuto intercetti immediatamente l’interesse degli studenti.

Pensando a un lavoro destinato a una classe di scuola secondaria di secondo grado – di biennio o di triennio – abbiamo selezionato un editoriale di Ernesto Galli della Loggia apparso sul «Corriere della Sera» il 3 febbraio 2014 e intitolato Il linguaggio dell’inciviltà: una denuncia del degrado morale e civile del nostro Paese, a partire dalla degenerazione del linguaggio osservata già tra i giovanissimi. L’applicazione di lavoro proposta consiste nell’identificazione degli elementi formali che costituiscono l’intelaiatura del testo: i coesivi (che riprendono alcune parti del brano), i connettivi (che congiungono varie parti del testo) e i segnali discorsivi (che uniscono porzioni più ampie rispetto agli altri connettivi). Lo scopo è quello di riconoscere i procedimenti formali posti al servizio dell’argomentazione, fino a una lettura che riesca a cogliere la strategia discorsiva usata nel testo. Leggiamo, in allegato, il testo dell’editoriale di Galli della Loggia.

In via preliminare andrebbero ricordate – e verificate nel brano esaminato – le condizioni fondamentali per qualsiasi testo: completezza del messaggio – nella fattispecie la decadenza morale e civile italiana – e coerenza. A questo proposito, qui la dispositio più convenzionale del testo argomentativo sembra coincidere con la paragrafatura: una premessa, da cui si evince che, per così dire, il fatto ha cercato il giornalista e non viceversa; lo svolgimento dell’ipotesi che il degrado del linguaggio sia la manifestazione di un generale imbarbarimento; l’esposizione della discussione sul declino delle istituzioni formative; l’enunciazione della tesi secondo la quale la rinuncia alle regole si è tradotta nell’imbarbarimento della società.

Ora possiamo tornare al traguardo prefissato, selezionando gli elementi formali più significativi per rimarcare i mezzi linguistici che rendono il testo coeso e formano l’intelaiatura dell’argomentazione.

  • Nel primo paragrafo emergono i connettivi conclusivi e, così, ebbene (il primo dei quali più esattamente si potrebbe definire copulativo-conclusivo), che riflettono un rapporto di necessità, come se, si diceva, il fenomeno del linguaggio volgare avesse investito l’editorialista, quasi forzato a registrare un dato di fatto. All’altezza del terzo connettivo (ebbene) si colloca il primo focus informativo, marcato anche dalla frase pseudoscissa («quello che mi arriva alle orecchie è una continua raffica di parolacce e di bestemmie»). Subito dopo troviamo il primo segnale discorsivo (Praticamente), con cui si ratifica che tutte le interazioni verbali tra gli adolescenti ascoltati grondano volgarità.

  • Nel secondo blocco ci sono tre segnali discorsivi. Con il primo (Sostanzialmente) si rileva che il degrado linguistico riguarda ogni ambito. Con il secondo (a mia conoscenza) si fa riferimento a una particolarità italiana – l’uso di parolacce nei titoli dei giornali –, come ulteriore prova del degrado del nostro Paese. Il terzo segnale discorsivo (In una parola) conclude una porzione argomentativa importante, in cui si affaccia l’idea dell’imbarbarimento: la sequenza è unita dalla ripresa anaforica («Non dico tuttoquesto […]. Lo dico solo come richiamo a un dato di fatto») e si conclude con una frase nominale.

  • Il terzo paragrafo, nel quale comincia a definirsi la tesi, è solidale con quanto precede grazie a un coesivo anaforico («Il declino italiano è anche questo»). Subito dopo, un segnale discorsivo (di certo) sottolinea la causa del degrado secondo l’editorialista: l’indebolimento delle istituzioni preposte alla formazione dei cittadini. Il focus argomentativo è delimitato da una frase scissa in cui è presente un connettivo esplicativo: «Era in quegli ambiti, infatti, che non solo si sviluppava […]».

  • L’ultima sequenza è fissata, all’inizio, da una catena cataforica e anaforica («La modernità italiana ha voluto dire anche questo generale e cieco rifiuto del passato. Rifiuto di consolidate regole pubbliche e private […]»). Si conclude con una ripresa anaforica («Ma quel filo rosso non ci piace vederlo») in una frase marcata che, attraverso la ridondanza pronominale insiste sul tema (il generale degrado italiano). Anche i segnali discorsivi da un lato e dall’altro, con duplicazione, concorrono alla conclusione retoricamente tesa del testo.

In conclusione, l’analisi dei coesivi e dei segnali discorsivi consente di riconoscere le diverse sequenze argomentative e di rilevarne la consistenza in funzione della tesi principale.

Per approfondire

  • Luca Serianni, Giuseppe Benedetti, Scritti sui banchi. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Carocci, Roma 2009
  • Giuseppe Benedetti, Pieranna Benedetti, Modelli di scrittura e guida all’esame di Stato, Loescher, 2011

 

Giuseppe Benedetti: insegnante di italiano e latino presso il Liceo Tasso di Roma. Ha scritto diversi saggi sulla lingua italiana e sull’insegnamento dell’italiano a scuola. Sul settimanale «Left» cura una rubrica sulla scuola.