Fiori di cera

GITE SCIENTIFICHE

I modelli di cera permettono di approfondire l’anatomia in modo avvincente ed efficace. Che si tratti di anatomia umana oppure di botanica, con modelli sorprendenti di fiori, piante, funghi, capaci di riprendere e ingrandire anche elementi invisibili a occhio nudo. In questo articolo, una carrellata sulle principali collezioni italiane.

Tiziana Moriconi

Il museo della Specola a Firenze è il più antico museo scientifico d’Europa

Pollini giganti, ingranditi di migliaia di volte – in proporzione un naso umano sarebbe lungo 300 metri – e poi piante carnivore, fioriture effimere, difficili da osservare perché durano un solo giorno o si verificano una sola volta in tanti anni. E ancora, i funghi più velenosi, i parassiti: riproduzioni così fedeli alla realtà da trarre in inganno, a un primo sguardo, anche i botanici. Soltanto la cera può imbrogliare l’occhio umano, e spesso anche il tatto, così bene. Lo sapevano i ceroplasti scientifici della Scuola Fiorentina, vissuti tra il Settecento e l’Ottocento – Clemente Susini, Luigi Calamai, Egisto Tortori, Francesco e Carlo Calenzuoli – artefici di centinaia di perfette copie anatomiche, realizzate a scopo educativo ed espositivo.
Perché il 3D ha sempre avuto il suo fascino, e fino a non troppi anni fa la cera è stata il materiale che meglio si prestava (il più veloce e il più semplice da plasmare, in grado di inglobare i pigmenti) a riprodurre l’anatomia umana, di animali e di piante.

Esempio in cera di Euphorbia canariensis

I fiori della Specola 

È di cera il primo modello creato per dimostrare come avviene la fecondazione di una pianta angiosperma, nel caso particolare una zucca, con la formazione del tubetto pollinico. Quest’opera è italiana, e la si può osservare esattamente là dove è stata realizzata: alla Specola di Firenze, uno dei più antichi e grandi musei scientifici d’Europa, al quale appartiene la più consistente collezione di cere anatomiche del mondo. La sezione botanica è meno nota di quella biomedica, ma non meno strabiliante: vi sono oltre 180 frutti e ortaggi a grandezza naturale, 37 tavole con riproduzioni anatomiche, istologiche o patologiche e circa 200 modelli di piante in vaso, per esempio Magnolia grandiflora del Nord America, Strelitzia reginae e Aloe succotrina dall’Africa meridionale, varie specie di Euphorbia, Cactus e Mesembrianthemum. Piante alle quali oggi siamo abituati, ma che erano sconosciute un tempo. Oltre ai disegni, la cera è infatti stata a lungo l’unico modo per mostrare al pubblico le specie esotiche scoperte dagli esploratori.

Polline di artemisia

Percorsi didattici, dal passato al presente

Perché riproporre agli studenti questo tipo di rappresentazione botanica, oggi che è così facile accedere online a immagini dettagliate e fotografie macroscopiche di ogni struttura vegetale? «Potrebbe sembrare anacronistico, ma le cere botaniche hanno ancora un grande valore didattico, perché sono perfette per costruire percorsi interdisciplinari e perché la verosimiglianza genera sempre meraviglia nei ragazzi», risponde Cristina Delunas, naturalista, divulgatrice scientifica per i musei e, soprattutto, ceroplasta scientifica da oltre 20 anni. L’unica, attualmente, in Europa. «Studi recenti di museologia – continua Delunas – ci confermano che l’oggetto tridimensionale ha ancora un impatto maggiore sul pubblico rispetto a un’immagine bidimensionale o riprodotta su uno schermo. Senza contare quanto permette di ottenere la ceroplastica quando la si abbina all’uso del microscopio elettronico: è infatti possibile riprodurre fedelmente ciò che è invisibile all’occhio, come le strutture cellulari e le spore dei funghi, una caratteristica che permette di progettare percorsi per ipovedenti.»
A chi si chiede se non sia più semplice ottenere tutto questo con una stampante 3D, Delunas risponde di no: «Certe consistenze, certi tessuti e certi colori non si riescono ancora a rendere con questa tecnologia. Inoltre ogni pezzo creato con la cera è unico, e può avere un valore storico e artistico. Questa arte antica che blocca nello spazio e nel tempo qualcosa di effimero come un fiore non smette ancora di stupire».

Utilizzo di modelli di cera consente di costruire percorsi didattici

Conoscere per proteggere

Seguendo la tradizione della Scuola Fiorentina, in questi anni Delunas ha creato molte collezioni monografiche per il Museo Botanico dell’Università di Cagliari: i pollini allergenici riprodotti su scala macroscopica, le piante carnivore, i funghi più pericolosi della Marmilla, una regione centro-meridionale della Sardegna, le orchidee e i fiori tropicali presenti anche nell’Orto Botanico dell’ateneo. «In questo modo – spiega l’artista – è possibile strutturare percorsi didattici integrati orto-museo: quello che si vede prima in vivo, lo si può approfondire subito dopo.» Il suo ultimo lavoro è stato ospitato di recente dal Museo Regionale di Scienze Naturali - Palazzo Lascaris di Torino: si tratta di un modello di Morisia, una pianta rara esclusiva della Sardegna e della Corsica. Attorno a questa piccola pianta è stato possibile organizzare percorsi didattici multidisciplinari che partivano dalla vita dello scopritore, il medico e botanico piemontese Giuseppe Giacinto Moris, passavano dalla storia dell’Unità d’Italia e arrivavano al tema della protezione della biodiversità e delle specie rare. Questo è un argomento centrale: le piante riprodotte appartengono in molti casi a specie protette: in questo modo è possibile osservare da vicino tutte le loro fasi di sviluppo, e il messaggio diventa “conoscere per proteggere”.

Imparare dal vero(simile)

«Nell’insegnamento delle scienze, l’osservazione dal vero è importantissima», conferma Maria Rita Di Simone, docente di Scienze e Matematica alla scuola secondaria di primo grado “Ser Lapo Mazzei” di Prato. Quasi ogni anno Di Simone porta le sue classi alla Specola di Firenze, anche per vedere le cere. «Normalmente introduco gli argomenti oggetto della visita con una lezione frontale: l’uscita didattica è sempre successiva al lavoro in classe, in modo che i ragazzi possano trarre il più possibile da ciò che osservano. Ancora oggi, queste cere danno la possibilità di spiegare in modo molto concreto cosa sia l’anatomia, stupiscono e impressionano. Che sia l’apparato circolatorio umano o la struttura di un fiore, poter spiegare davanti a un modello ha un impatto molto forte. Se si vuole poi affrontare lo studio dei frutti, si entra in un mondo sconfinato, che i modelli rendono molto più comprensibile.»

Modello in cera del frutto di Tamarillo, Cyphomandra betacea

Mele e funghi d’artista

Se si è interessati ai frutti, il posto giusto in cui recarsi è il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti” di Torino. Qui si trovano esposti 1100 frutti artificiali plastici (così chiamati dallo stesso autore) della fine dell’Ottocento, la maggior parte dei quali appartengono alla collezione pomologica originale. Sono riprodotte 295 varietà di mele, 501 di pere, 98 di pesche, 70 di susine, 56 di albicocche, e poi fichi, uva, patate, rape, barbabietole, carote, pastinaca, melograno, fragole, ciliegie, arance, mandarini e limoni. Sono varietà antiche, molte delle quali ormai scomparse dai nostri mercati, con sapori e consistenze che non soddisferebbero un palato degli anni Duemila. Il percorso didattico enfatizza il confronto fra passato e presente dell’agronomia, spiegando cosa abbia portato ad abbandonare la coltivazione di molte varietà, e l’evoluzione della ricerca applicata all’agricoltura.
Come per le cere delle botteghe fiorentine (che non hanno lasciato indizi sulle miscele usate, se non l’elenco delle materie acquistate, conservato negli archivi della Specola), la ricetta di queste riproduzioni è rimasta in parte segreta. Garnier Valletti, artigiano e scienziato eccentrico, produceva le sue opere in serie per i musei naturalistici e per le scuole, riuscendo a restituire a ciascun frutto anche il suo peso. Non usava solo cere: nelle sue composizioni si possono trovare polveri di marmo e molti altri materiali, che servivano a rendere l’opera la più verosimile possibile.
Per gli appassionati di funghi è invece d’obbligo una visita al Gabinetto di Storia Naturale del Museo FirST di Firenze. Oltre alle bellissime tavole botaniche di Egisto Tortori, qui è conservata la collezione micologica in cera di Luigi Calamai: 250 preparati, creati con l’intento di aiutare le persone a distinguere le specie di funghi a quel tempo conosciute. E sempre di Calamai sono i modelli ceroplastici botanici conservati nel Museo Botanico dell’Università di Pisa.

Non solo piante

Oltre che collezioni di cere botaniche, esistono in Italia numerose e pregiate collezioni di cere anatomiche umane, che possono rivelarsi molto utili per affiancare lo studio del corpo umano.
I luoghi principali che le ospitano sono il Museo delle cere anatomiche “Luigi Cattaneo” di Bologna, il Museo di Palazzo Poggi di Bologna, il Museo delle cere di Clemente Susini di Cagliari e il Museo Anatomico “Giovanni Tumiati” dell’Università di Ferrara.

PER APPROFONDIRE

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Fiori di cera

di Tiziana Moriconi

 

Tiziana Moriconi: giornalista scientifica, collabora con Galileo, Le Scienze, D la Repubblica online, Wired.it