Gomma verde dal deserto

Il guayule è una fonte al ternativa di gomma naturale

STORIE DI SCIENZA

La gomma naturale ha alcune proprietà insostituibili rispetto a quella sintetica. Ancora oggi viene estratta soprattutto da un albero originario dell’Amazzonia, ma servono alternative. Da qui il rinnovato interesse per il guayule, arbusto della zona desertica tra Messico e Stati Uniti, nell’ambito di approcci tipici della chimica verde.

Vincenzo Guarnieri

È un piccolo arbusto che cresce nel deserto di Chihuahua, tra gli Stati Uniti e il Messico, non lontano da dove è stata selezionata l’omonima razza canina. Non è molto conosciuto, ma potrebbe diventare essenziale per produrre oggetti come guanti, pneumatici o preservativi. Il guayule (nome scientifico Parthenium argentatum) è una fonte alternativa di gomma naturale. Ancora oggi, questo prezioso materiale è tipicamente ricavato dall’Hevea brasiliensis, l’albero che gli indigeni dell’Amazzonia chiamavano “Cahutchu”, che significa legno piangente. Tra il 2008 e il 2012, però, il progetto europeo EU-PEARLS (EU-Based Production and Exploitation of Alternative Rubber and Latex Sources), condotto da un consorzio internazionale di imprese e centri di ricerca coordinato dall’Università olandese di Wageningen, ha verificato i presupposti per un impiego su vasta scala del guayule. E diverse aziende hanno già prodotto e testato i primi beni di consumo a base di gomma estratta da questo arbusto.

Un materiale sorprendente

Perché tutto questo interesse per la gomma? Per una molecola polimerica, il poliisoprene, che le conferisce sorprendenti proprietà elastiche. Quando, nella prima metà dell’Ottocento, viene messo a punto un sistema efficiente per la lavorazione della gomma naturale, questa diventa presto fondamentale per la realizzazione di molteplici beni, dai rivestimenti agli pneumatici. Il Brasile detiene inizialmente il monopolio della sua produzione, per la quale gli indios vengono sterminati o ridotti in schiavitù. Poi francesi, inglesi e olandesi decidono di coltivare il prezioso albero nelle loro colonie asiatiche e africane. Le nazioni che, invece, non dispongono delle piantagioni di Hevea sono costrette a importare il prezioso materiale. O ad ingegnarsi per trovare sistemi alternativi per produrlo.

L’italico guayule

Quali? Un’idea è quella di cercare altre piante che contengano sostanze “elastiche”. Negli anni Trenta, i russi ci provano con il Taraxacum koksaghyz, una varietà di tarassaco dell’Uzbekistan e del Kazakistan, mentre gli americani individuano un arbusto molto resistente al cui interno sono presenti sostanze con le proprietà tipiche della gomma. E conducono ricerche per selezionare semi, tecniche di coltivazione e di estrazione migliori. Si tratta proprio del guayule. Non è una novità dei nostri giorni, allora. E nemmeno delle nostre parti, anche se il guayule compare presto anche da noi. Nel tentativo di rendersi indipendente dalle importazioni, l’Italia fascista e autarchica avvia una collaborazione con l’Intercontinental Rubber Company: la società americana verifica le condizioni agronomiche del territorio nazionale (e delle sue colonie) e invia semi di guayule selezionati per i primi tentativi di coltivazione. La regione che risulta più adatta è la Puglia. Nella primavera del 1940, l’Ente Gomme Guayule avvia una coltivazione su vasta scala in provincia di Foggia. Ma poco dopo l’Italia entra in guerra, gli americani diventano nemici e non ci sono più le condizioni per coltivare l’arbusto. Nel 1944 gli alleati occupano quei terreni, li convertono in cereali e mettono fine all’esperienza dell’italico guayule. Momentaneamente.

L’Hevea, l’albero che gli indigeni dell’Amazzonia chiamavano “Cahutchu”, che significa legno piangente

Oltre le piante

Quella di cercare piante alternative all’Hevea non è l’unica idea. I tedeschi non dispongono del caucciù però hanno tanto carbone. Da questa fonte fossile ricavano diverse sostanze chimiche, tra le quali lo stirene e l’1,3-butadiene. Negli anni Trenta, attraverso una reazione chimica di addizione tra le due sostanze, riescono a ottenere un copolimero che viene chiamato Buna S. Si tratta della gomma “sintetica”. In Italia, in quegli stessi anni, il futuro premio Nobel per la chimica Giulio Natta lavora per mettere a punto un processo simile che utilizza come materia prima l’alcol etilico ottenuto per fermentazione delle biomasse, in particolare delle barbabietole. E anche gli americani, soprattutto nel corso della Seconda guerra mondiale, guardano oltre al guayule e puntano alla gomma sintetica, utilizzando prima l’alcol dalle biomasse e poi il petrolio. La nascita dell’industria petrolchimica è stata fondamentale per la vittoria degli alleati. E, dal dopoguerra in avanti, per la produzione della gomma (e di quasi tutte le materie plastiche) a partire dall’oro nero.

Tutti i vantaggi dell’arbusto del chihuahua

Perché allora si torna a parlare di guayule? La gomma naturale non viene del tutto soppiantata da quella sintetica. Per alcune sue proprietà, come la resistenza all’abrasione, è insostituibile. E oggi proviene per il 93% dalle piantagioni di Hevea del sud-est asiatico. In Sud America la produzione è crollata perché l’albero è stato attaccato da un fungo, il Microcyclus ulei, che potrebbe raggiungere anche l’Oriente. Ogni anno l’Europa impiega più di un milione di tonnellate di gomma naturale, ma deve importarla tutta dall’Asia. La gomma è considerata una materia prima strategica su cui l’industria europea è totalmente dipendente dall’Oriente. Ora come in passato, dunque, meglio trovare un’alternativa e il guayule sembra ancora una delle più promettenti, tanto che appunto il progetto EU-PEARLS si è concentrato proprio su questo arbusto, come avevano fatto gli americani nel secolo scorso. Perché? Intanto si adatta bene ai climi temperati e aridi di alcune regioni del Mediterraneo, Italia compresa. La sua coltivazione può essere meccanizzata e può avvenire in terreni marginali senza sottrarre spazio e risorse alla produzione di cibo. A differenza dell’Hevea, al momento non si conoscono parassiti dell’arbusto. E, cosa non da poco, il lattice che si estrae dal guayule contiene meno proteine di quello del caucciù. Questo significa che provoca meno allergie e che lo rende particolarmente adatto alla fabbricazione di materassi, guanti e prodotti medicali.

Come il maiale

Al momento i progetti di ricerca volti alla produzione di gomma dal guayule rientrano in quell’ambito della chimica che prende il nome di green chemistry (chimica verde). Si tratta di un approccio alla chimica che cerca di minimizzare i danni arrecati alla salute e all’ambiente. In che modo? Per produrre la gomma sintetica, prima si semplificano le macromolecole presenti nel petrolio (o nel carbone) fino a ottenere i monomeri di partenza e poi questi vengono riassemblati attraverso reazioni di addizione per formare i polimeri desiderati. Prima si scompone e poi si ricompone con una serie di passaggi che richiedono energia e producono scarti, spesso tossici. Il guayule contiene già le macromolecole desiderate. La pappa è già pronta, bisogna solo tirarla fuori dalla pianta senza sprecarla. E per farlo sono state messe a punto tecniche di estrazione che non prevedono l’uso di solventi tossici ma di semplice acqua. L’approccio della green chemistry prevede di ridurre gli sprechi e di ottimizzare le rese. Così si stanno studiando sistemi per realizzare prodotti utili da ciò che resta dell’arbusto dopo l’estrazione del lattice, come materiali per l’edilizia o pellet per le stufe. È stato anche studiato un processo di pirolisi per ottenere biocombustibile. Per la chimica verde il guayule è come il maiale, non si butta via niente.

Tra chimica e geopolitica

EU-PEARLS, comunque, non si è rivolto solo al guayule: ha studiato anche il Taraxacum koksaghyz, come avevano fatto i russi. E i risultati, anche in questo caso, sembrano promettenti. L’innovazione in chimica non è solo una questione di atomi, molecole e reazioni. È anche una questione di dinamiche geopolitiche, non sempre così nuove.

Green Chemistry o Green Washing?

Non è detto che un prodotto della green chemistry sia sempre sostenibile. Anche se realizzato con risorse rinnovabili, la velocità di sfruttamento di queste potrebbe superare quella di rigenerazione naturale. Oppure potrebbe competere con altri prodotti, come il cibo. Inoltre, minimizzare l’impatto socio-ambientale di un prodotto non significa annullarlo del tutto. L’etichetta green chemistry può nascondere un tentativo di green washing, un trucco “verde” per attrarre i consumatori e incrementare le vendite.

I frutti della chimica verde

Già durante la grande crisi del ventinove, Henry Ford cercava di realizzare alcune parti delle sue automobili a partire dalla soia. In quegli anni prendeva piede la “chemiurgia”, un approccio che prevede l’impiego di materie prime agricole per l’industria. Insomma, la green chemistry non è proprio nata oggi, ma attualmente è in esplosione. Ecco qualche esempio. Dalla paglia del grano si può estrarre una paraffina con la quale si producono rossetti o altri cosmetici. Il Mater-Bi e il Solanyl sono due bioplastiche prodotte a partire da mais e bucce di patata, rispettivamente. Piante ad alto contenuto di olio, come il girasole e alcune brassicacee, sono utili per la produzione di biolubrificanti impiegati nell’industria. Il Chrysanthemum cineraefolium è una margherita da cui si estraggono le piretrine, sostanze antiparassitarie utili in agricoltura e meno tossiche di quelle di sintesi. Dalle biomasse vegetali, come colza, mais o i residui organici provenienti dalle foreste si sintetizzano i biocombustibili.

PER APPROFONDIRE

  • Green Chemistry. Sito dell’Environment Protection Agency degli Stati Uniti dedicato alla green chemistry. Interessante il link “education”. 
  • Guayule. Sito dell’Università di Wageningen sullo stato della ricerca di fonti alternative di gomma naturale dal guayule.
  • Russian dandelion. Sito dell’Università di Wageningen sullo stato della ricerca di fonti alternative di gomma naturale dal tarassaco russo.
  • Cianci A., SAIGA. Il progetto autarchico della gomma naturale. Dalla coltivazione del guayule alla nascita del polo chimico di Terni, Thyrus, Terni 2007.
  • Redondi P., a cura di, La gomma artificiale – Giulio Natta e i Laboratori Pirelli, Guerini e Associati, Milano 2013.
  • Guerra C., El abrazo de la serpiente (2015). Sofisticato film ambientato nella foresta amazzonica durante la prima metà del Novecento. È molto efficace nel raccontare l’incontro-scontro tra la cultura indios e quella occidentale anche per quanto riguarda l’estrazione del lattice dagli alberi di Hevea.

Scheda didattica

Gomma verde dal deserto

di Vincenzo Guarnieri

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Gomma verde dal deserto

di Vincenzo Guarnieri

Vincenzo Guarnieri: è chimico e ha un dottorato di ricerca in biochimica e biotecnologia cellulare. Si occupa di comunicazione della scienza. Ha pubblicato Maghi e reazioni misteriose (Lapis edizioni, 2007), una storia della chimica per ragazzi.