Oltre le piante
Quella di cercare piante alternative all’Hevea non è l’unica idea. I tedeschi non dispongono del caucciù però hanno tanto carbone. Da questa fonte fossile ricavano diverse sostanze chimiche, tra le quali lo stirene e l’1,3-butadiene. Negli anni Trenta, attraverso una reazione chimica di addizione tra le due sostanze, riescono a ottenere un copolimero che viene chiamato Buna S. Si tratta della gomma “sintetica”. In Italia, in quegli stessi anni, il futuro premio Nobel per la chimica Giulio Natta lavora per mettere a punto un processo simile che utilizza come materia prima l’alcol etilico ottenuto per fermentazione delle biomasse, in particolare delle barbabietole. E anche gli americani, soprattutto nel corso della Seconda guerra mondiale, guardano oltre al guayule e puntano alla gomma sintetica, utilizzando prima l’alcol dalle biomasse e poi il petrolio. La nascita dell’industria petrolchimica è stata fondamentale per la vittoria degli alleati. E, dal dopoguerra in avanti, per la produzione della gomma (e di quasi tutte le materie plastiche) a partire dall’oro nero.
Tutti i vantaggi dell’arbusto del chihuahua
Perché allora si torna a parlare di guayule? La gomma naturale non viene del tutto soppiantata da quella sintetica. Per alcune sue proprietà, come la resistenza all’abrasione, è insostituibile. E oggi proviene per il 93% dalle piantagioni di Hevea del sud-est asiatico. In Sud America la produzione è crollata perché l’albero è stato attaccato da un fungo, il Microcyclus ulei, che potrebbe raggiungere anche l’Oriente. Ogni anno l’Europa impiega più di un milione di tonnellate di gomma naturale, ma deve importarla tutta dall’Asia. La gomma è considerata una materia prima strategica su cui l’industria europea è totalmente dipendente dall’Oriente. Ora come in passato, dunque, meglio trovare un’alternativa e il guayule sembra ancora una delle più promettenti, tanto che appunto il progetto EU-PEARLS si è concentrato proprio su questo arbusto, come avevano fatto gli americani nel secolo scorso. Perché? Intanto si adatta bene ai climi temperati e aridi di alcune regioni del Mediterraneo, Italia compresa. La sua coltivazione può essere meccanizzata e può avvenire in terreni marginali senza sottrarre spazio e risorse alla produzione di cibo. A differenza dell’Hevea, al momento non si conoscono parassiti dell’arbusto. E, cosa non da poco, il lattice che si estrae dal guayule contiene meno proteine di quello del caucciù. Questo significa che provoca meno allergie e che lo rende particolarmente adatto alla fabbricazione di materassi, guanti e prodotti medicali.
Come il maiale
Al momento i progetti di ricerca volti alla produzione di gomma dal guayule rientrano in quell’ambito della chimica che prende il nome di green chemistry (chimica verde). Si tratta di un approccio alla chimica che cerca di minimizzare i danni arrecati alla salute e all’ambiente. In che modo? Per produrre la gomma sintetica, prima si semplificano le macromolecole presenti nel petrolio (o nel carbone) fino a ottenere i monomeri di partenza e poi questi vengono riassemblati attraverso reazioni di addizione per formare i polimeri desiderati. Prima si scompone e poi si ricompone con una serie di passaggi che richiedono energia e producono scarti, spesso tossici. Il guayule contiene già le macromolecole desiderate. La pappa è già pronta, bisogna solo tirarla fuori dalla pianta senza sprecarla. E per farlo sono state messe a punto tecniche di estrazione che non prevedono l’uso di solventi tossici ma di semplice acqua. L’approccio della green chemistry prevede di ridurre gli sprechi e di ottimizzare le rese. Così si stanno studiando sistemi per realizzare prodotti utili da ciò che resta dell’arbusto dopo l’estrazione del lattice, come materiali per l’edilizia o pellet per le stufe. È stato anche studiato un processo di pirolisi per ottenere biocombustibile. Per la chimica verde il guayule è come il maiale, non si butta via niente.
Tra chimica e geopolitica
EU-PEARLS, comunque, non si è rivolto solo al guayule: ha studiato anche il Taraxacum koksaghyz, come avevano fatto i russi. E i risultati, anche in questo caso, sembrano promettenti. L’innovazione in chimica non è solo una questione di atomi, molecole e reazioni. È anche una questione di dinamiche geopolitiche, non sempre così nuove.