Il gusto del pH

La conservazione “sottaceto”, grazie al processo di acidificazione, abbatte gli agenti patogeni che colonizzano gli alimenti

STORIE DI SCIENZA

L’acidità o basicità di un alimento ne influenza il sapore, ma come si è arrivati a definire il pH? Un affascinante percorso storico, dalle prime teorie su acidi e basi alla sua formula matematica.

Vincenzo Guarnieri

Tutti gli alimenti di cui ci nutriamo possiedono un particolare valore di pH. A parte rari casi, come quello dell’albume dell’uovo che ha un pH di circa 9, questo valore è inferiore a 7. Quindi, il cibo di solito è acido. I detergenti con cui ci laviamo possono avere un pH acido, basico o neutro. Dipende da come vengono prodotti. Ma che cos’è il pH?
libri di testo ci dicono che è “il logaritmo negativo della concentrazione degli ioni idrogeno”. Per capire cosa vuol dire davvero questa definizione occorre prima capire che cos’è uno ione e che cos’è l’idrogeno. Ma prima ancora è meglio sapere che cosa significano i termini acido, basico e neutro.

Pungente o amaro?

Il succo di limone ha un gusto aspro e pungente. Anche l’aceto ha un gusto che si può descrivere nello stesso modo. Fin dall’antichità si è pensato che in questi liquidi fosse presente una sostanza con proprietà “pungenti”, cioè un acido. Questo termine deriva infatti dal latino acidus la cui radice ac è la stessa da cui derivano termini come ago e acuo (rendere aguzzo). Mentre gli acidi hanno un gusto pungente, le basi (o alcali) vengono riconosciute dal loro gusto amaro. E anche dalla consistenza scivolosa che possono assumere.

Dissoluzione del platino in acqua regia

Sostanze molto versatili

Gli impieghi degli acidi e delle basi iniziano molto presto. Uno dei sistemi, adottati già in passato per conservare il cibo, è l’acidificazione – come il classico sottaceto – processo che riduce la possibilità di crescita di agenti patogeni. E, a proposito di conservazione, gli Egizi trattavano i cadaveri per l’imbalsamazione con una base, il natron (un carbonato idrato di sodio), per le sue proprietà disidratanti. Con il passare del tempo, le conoscenze evolvono grazie alla scoperta dei metodi di preparazione degli acidi da parte degli alchimisti. Vengono prodotti in laboratorio dallo spiritus acidus nitri (acido nitrico HNO3), allo spiritus vitrioli (acido solforico H2SO4), dall’acido muriatico (nome ancora impiegato per l’acido cloridrico HCl) fino all’aqua regia (acqua regia, ottenuta con acido nitrico e cloridrico), in grado di sciogliere anche l’oro. Presto le proprietà corrosive e distruttive degli acidi diventano molto utili per indagare la natura intima della materia. E si inizia a comprendere che rapporto c’è tra gli acidi e le basi.

Viole e cavoli

Nel Seicento, l’alchimista Johann Rudolph Glauber nota che la reazione tra un acido e una base è spesso violenta e che, al termine del processo, quando le due sostanze “si sono uccise a vicenda”, si forma sempre un sale. È da queste considerazioni che nasce il concetto di reazione di neutralizzazione, approfondito in quegli stessi anni da Robert Boyle. Il chimico irlandese, tra le altre cose, mette a punto per la prima volta un metodo per capire se una certa soluzione sia acida, basica o neutra, cioè per stimare il suo pH, come diremmo noi oggi (il concetto di pH nasce solo agli inizi del Novecento). Che cosa fa Boyle? Lascia cadere una goccia della soluzione da analizzare su un pezzo di carta impregnato di succo di viola. Se la soluzione è acida si accorge che il colore passa dal blu al rosso. Se invece è basica passa dal blu al verde. In caso di soluzione neutra rimane blu.
In questo modo Boyle inventa gli indicatori colorati di pH. Data la sua semplicità, si tratta di un metodo alla portata di tutti: basta prendere qualche foglia di cavolo rosso, sminuzzarla e metterla a bollire in acqua per pochi minuti. Il liquido che si ottiene è di colore rosso-porpora intenso a causa della presenza di una classe di sostanze colorate chiamate antocianine. Queste sostanze sono molto impiegate nell’industria alimentare come coloranti e sono ottimi indicatori di pH (le viole impiegate da Boyle contenevano proprio antocianine).

Teorie sulla natura degli acidi

Sempre nel Seicento va di moda la concezione meccanicista per la quale il mondo è come una macchina perfetta realizzata da Dio. Nell’ambito di questa concezione tutte le cose sono costituite da particelle (è ancora presto per parlare di atomi o molecole) le cui proprietà determinano le proprietà delle cose stesse. E così Nicolas Lémery ipotizza che gli acidi siano formati da particelle “appuntite” mentre le basi da particelle “porose”. Il sapore aspro deriverebbe dunque dalla puntura delle particelle di un acido sulla lingua.
E in una reazione di neutralizzazione le particelle appuntite di un acido si infilano nei pori delle particelle di una base, neutralizzandosi.
Nel Settecento, Antoine-Laurent Lavoisier propone una spiegazione diversa. Egli si accorge che quando fa bruciare alcuni elementi come lo zolfo o il fosforo, ottiene sostanze (si tratta di ossidi) che sciolte in acqua diventano acidi. Deduce che durante la combustione debba esserci nell’aria qualcosa, un “principio”, che entra in queste sostanze e le rende acide. Identifica questo principio in un gas scoperto pochi anni prima e che battezza ossigeno, dal greco oxýs (acido) e génos (generazione), cioè generatore di acidità. La teoria in base alla quale tutti gli acidi contengono ossigeno viene confutata nel 1810 da Sir Humphry Davy. Il chimico inglese scompone l’acido cloridrico grazie all’elettrolisi e dimostra che, pur essendo indubbiamente un acido, non contiene ossigeno ma soltanto due elementi, idrogeno e cloro. Prende piede così una nuova teoria che vede nell’idrogeno il principio presente in tutti gli acidi. Lavoisier non può ricevere la notizia perché già morto, ghigliottinato.

Celle per l’elettrolisi dell’acqua

Arrivano gli ioni

Un allievo di Davy, Michael Faraday, approfondisce gli studi sull’elettrolisi e nota che questo processo avviene in presenza di certe sostanze, ma non di altre. Chiama le prime “elettroliti” e le seconde “non elettroliti”. Ipotizza che quando si scioglie un elettrolita nell’acqua si formi qualcosa in grado di trasportare la corrente elettrica e chiama quel qualcosa “ione”, dal greco ión che significa “viandante”. Ma non sa che cosa sia.

Verso la prima definizione scientifica di acido e base

Il passo successivo è compiuto nella seconda metà dell’Ottocento da Svante August Arrhenius. Il chimico svedese comprende che gli elettroliti sciolti in acqua si dissociano formando particelle con carica positiva e particelle con carica negativa. Queste particelle cariche possono essere atomi singoli o gruppi di atomi: in ogni caso si tratta proprio degli ioni ipotizzati da Faraday.
I sali si dissociano in questo modo formando ioni, e la stessa cosa succede con gli acidi. Questi ultimi, secondo Arrhenius, si dissociano liberando ioni negativi, che cambiano a seconda del tipo di acido, e ioni positivi che sono sempre gli stessi indipendentemente dal tipo di acido: sono gli ioni idrogeno, dotati di una carica positiva e indicati con H+. Davy aveva quasi ragione, gli acidi contengono sempre idrogeno ma non in forma atomica neutra bensì in forma ionica carica. Arrhenius studia anche le basi e osserva che la loro dissociazione in acqua genera sempre ioni ossidrilici OH-. A questo punto presenta la prima definizione con la quale si distingue chimicamente un acido da una base: “Un acido è una qualsiasi sostanza che sciolta in acqua è in grado di dissociarsi e liberare ioni idrogeno H+, mentre una base è una qualsiasi sostanza che sciolta in acqua è in grado di dissociarsi e liberare ioni ossidrilici OH-”. Così diventa facile spiegare cosa succede nelle reazioni di neutralizzazione tra un acido e una base: gli ioni H+ reagiscono con gli OH- formando H2O, cioè acqua, la sostanza neutra per eccellenza.

Esempio di indicatore di pH

L’importanza del pH

A questo punto i tempi sono maturi per l’introduzione del concetto di pH che avviene nel 1909 a opera di Søren Peter Lauritz Sørensen. Il pH è un valore numerico legato da una formula matematica alla concentrazione di ioni H+. È in pratica un modo diverso, più comodo, per indicare l’acidità o la basicità delle sostanze. Oggi si sente parlare spesso di pH.
Per pubblicizzare un certo prodotto commerciale o una certa dieta. Ma anche perché gli acidi e le basi trovano innumerevoli impieghi, dalla produzione dei coloranti a quella dei saponi.
E il nostro metabolismo, come quello degli altri esseri viventi, dipende dagli equilibri acido-base e, di conseguenza, dai valori di pH. Il nostro sangue ha un pH di 7,4 e questo valore viene mantenuto costante con una certa accuratezza da una serie di complessi meccanismi di regolazione: un loro minimo malfunzionamento può compromettere la vita. Il pH è un concetto relativamente nuovo, ma è meglio tenerlo in conto.

L’invenzione del pH

Nel 1901 il biochimico danese Søren Peter Lauritz Sørensen diventa direttore del dipartimento di chimica del Carlsberg Laboratory di Copenhagen. Tra le sue ricerche si occupa dell’effetto sulle proteine di piccole variazioni di acidità. Per misurare l’acidità impiega un elettrodo sensibile alla presenza di ioni H+ con il quale compie misure potenziometriche. Il potenziale di un elettrodo dipende dal logaritmo della concentrazione degli ioni H+ e per lo scienziato è più comodo impiegare tali valori che non quelli delle concentrazioni stesse. Propone quindi nel 1909 di indicare l’acidità di una soluzione con il logaritmo negativo della concentrazione di H+, cioè con una nuova grandezza che chiama pH (da pondus hidrogenii, potenziale dell’idrogeno), uguale appunto a -log[H+]. Nasce anche la scala del pH che va da 0 a 14, con valore 7 per soluzioni neutre. Il pH di una soluzione si può ottenere facilmente immergendo al suo interno l’elettrodo del cosiddetto pHmetro (si legge piaccametro).

Dieta acida o alcalina? Il nostro organismo mantiene costante il pH del sangue, qualsiasi siano gli alimenti che abbiamo assunto

Una bufala nel piatto

Da diversi anni gira in rete la proposta della cosiddetta dieta alcalina, una dieta a base di particolari alimenti, come le verdure crude, che dovrebbero alcalinizzare (cioè alzare il pH) del sangue e dei tessuti. Chi la propone sostiene che questa dieta, oltre a far dimagrire, possa combattere infezioni e tumori. Ma in realtà è una bufala, totalmente priva di fondamento scientifico. Per quale ragione? Semplice: gli alimenti sono quasi tutti acidi e il nostro organismo è predisposto a gestire l’acidità senza problemi. Tanto più che lo stomaco produce acido cloridrico e il pH può raggiungere valori compresi tra 1 e 2: quando il cibo raggiunge lo stomaco viene comunque acidificato e non può influire sul pH del sangue e dei tessuti. Tale pH è mantenuto costante intorno al valore di 7,4 da un complesso sistema di regolazione basato soprattutto sulla respirazione. Se venisse alcalinizzato si andrebbe in alcalosi metabolica, potenzialmente mortale (su questo tema leggi anche un approfondimento dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro)

PER APPROFONDIRE

Scheda didattica

Il gusto del pH

di Vincenzo Guarnieri

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Il gusto del pH

di Vincenzo Guarnieri

 

Vincenzo Guarnieri: chimico e ha un dottorato di ricerca in biochimica e biotecnologia cellulare. Si occupa di comunicazione della scienza. Ha pubblicato Maghi e reazioni misteriose (Lapis edizioni, 2007), una storia della chimica per ragazzi. È autore di Curiosi di chimica e Masterchimica (Pearson Italia, 2017).